mercoledì 24 dicembre 2014

Stille Nacht 2014


“Ti ho conosciuto dolore in una notte di inverno
una di quelle notti che assomigliano a un giorno
Ma in mezzo alle stelle invisibili e spente
io sono un uomo….e tu non sei un cazzo di niente”
 
by ldn_rdnt
E’ il regno  dell’oscurità, del buio. E’ il potere della notte. L’indaco plumbeo degli angoli in cui la poca luce geme, trepida e come terrorizzata dal buio incombente; l’antracite screziata degli spazi ormai piegati al potere dell’oscuro; il grigio che strappa spazi risicati ai corpi in movimento.
E’ il regno del silenzio, della parola mutilata, afona.
Pratichiamo Kenpo, così, silenziosi e immersi nel buio, affidandoci alle pulsioni, all’inconscio: sequela possente di suggerimenti e richiami a cui le immagini, il fantasticare, reverie, danno forme incerte, a cui gesti ed azioni danno corpo, danno sangue.
La didattica maieutica, fatta di domande, i koan zen fisicoemotivi, tutti i mezzi espressivi, creativi, sono buoni se ilfine è incontrare e ingaggiare pulsioni ed inconscio.
Immagini inconsce non oniriche, gesti rapidi e letali.
Sudore e labirinto di mani sul corpo.
Grumi di rabbia ad esplodere, armature di repressione e di arroccate difese a vacillare, a frastagliarsi in pezzi e rottami consunti. Dolore antico che riemerge, chiede ascolto, chiede una vendetta che odora di perdono.
Kenpo a combattere, a lottare, uno contro l’altro, uno sopra l’altro.
 
Poi, il saluto finale, la luce, la parola condivisa e non è detto che sia una liberazione.
Birra, vino, dolci, per il brindisi corale, questo sì allegro e spensierato, all’anno che sta per arrivare.
E il cammino, la lotta, per chi sia guerriero autentico, continua.

 “Abbiamo incontrato il Nemico. E il nemico siamo noi”
(G. Washington)



lunedì 15 dicembre 2014

I cacciatori di distruzione, ovvero riflessioni intorno al Wing Chun Boxing


Tutto quello che hai sempre voluto è dall’altro lato della paura”
( G. Addair )

Alte tempeste che inondano il ventre, lo divorano di passione ruvida e purpurea. Gomiti come pugnali sguainati.
Senza uno scopo chi saremmo ?
E quando lo scopo è ostruito da un ostacolo, la fame aumenta a dismisura e l’ostacolo null’altro è che, appunto, un ostacolo: insignificante nullità che osa frapporsi tra noi e la nostra decisione.

Le maglie nere della Scuola si tendono e si gonfiano sopra schiene lisce, animali sinuosi e feroci.
Entrano divorando la distanza, puntando quegli angoli morti che permetteranno loro di sbriciolare ogni resistenza.
Colpi, percosse, ossa e carne allo scontro.
Lo spirito del Wing Chun è tutto qui.
Maledizione dei secoli, brutale istinto di sopravvivenza, lame di incubi che si fanno corpo e respiro e sudore.

Lo so, sarebbe più semplice “costruire”, preparare allo scontro, il guerriero sfiancandolo con pesanti esercizi fisici o torturandolo con frequenti apnee. Oppure lavorandone il respiro perché, di ritmo frenetico e di ampiezza profonda, avveleni il cervello intellettuale inducendone semplici ed immediate risposte  rettiliane. Ed eccolo allora pronto a combattere.
Ma non puoi prepararti ad innamorarti, nemmeno ad incontrare la morte. Quale stolto si può illudere, ed illudere altri, di prepararsi alla distruzione totale, all’aggredire per non morire, di più, per uccidere, di più ancora, per togliere quell’insignificante ostacolo tra noi e il nostro scopo ?
E ti innamori, così, d’improvviso. Ti innamori della collega d’ufficio una settimana dopo che ti sei sposato con la ragazza che hai da dieci anni. Ti innamori della cassiera del supermercato proprio mentre tua moglie sta per mettere al mondo tuo figlio. Ti innamori, i tuoi capelli già ingrigiti dal travaglio degli anni, di quella sconosciuta che sale con te alla stessa fermata dell’autobus e neppure sai come si chiami.

Non puoi prepararti. Puoi solo fare, immediatamente fare, semplicemente stare nel tuo “qui ed ora”.
E questo è il nostro Wing Chun Boxing. Da subito cacciatori di distruzione, per un’ora sola ma, in quell’unica irripetibile ora, totalmente votati alla distruzione di quell’insignificante ed inutile ostacolo che si frappone tra te e la tua decisione.
E non importa se quell’ostacolo ha occhi che ti guardano e un respiro che è del tutto simile al tuo: essere uomo come te. Lui è l’insignificante ostacolo da abbattere, da disintegrare. Ad ogni costo.
L’essenza, il cuore, del Wing Chun è tutto qui.

Ad altri i passi a “pinocchietto”, il “giro delle mani”, le integrazioni con tecniche e faccende copiate da altre arti o altri sport. Anche quando meccanicamente corrette, che senso hanno se prive del mostro della distruzione, della violenza dell’uccisione ?
Per altro, che ne possono capire atleti da performance o lottatori da ring ? Questi fanno bene ad irridere il Wing Chun ed i suoi praticanti. Ne osservano le tecniche, la motricità e sono palpabili i limiti. Ma anche quando gesti e forme appaiano efficaci, la loro comprensione si ferma lì. Se ( se) praticassero, come loro chiesto, dentro le regole scritte e non scritte di una pratica sportiva, mai a costoro sarebbe consentito annusare il rosso della passione violenta, l’estrema brutalità dell’agire che distrugge. Dentro, nell’animo prima ancora che nel corpo. Droga cieca che ti irrora le vene.

Incerti sul destino dell’eroe, sulla riuscita delle sue opere, il mondo retto con mano d’acciaio da una divinità malvagia dalle mille sembianze, la cenere di un pensiero decadente che, dal cielo, scende ad inquinare città e campagne, la nebbia di valori incerti e sgangherati nella loro superficialità che rende l’atmosfera inquietante, un gruppo di cacciatori, di predatori, decide che se le antiche profezie erano tutte false nemmeno  possono aspettare un nuovo Godot che giunga a salvarli. Perciò decidono di agire per conto loro. Non riusciranno mai a cambiare la situazione né tantomeno il mondo. Ma nemmeno questo a loro importa.  Importa solo tornare uomini e donne guerrieri, deboli nella loro potenza. Che, forse, si sono innamorati e si innamoreranno ancora, forse ascolteranno le loro emozioni, sposteranno oggetti e forze, energie di questi oggetti ed eventi,  accresceranno i propri attributi fisico emotivi, forza e resistenza e sensi profondi, costruiranno relazioni sane, anche conflittuali e probabilmente sane proprio per questo. Consapevoli della propria immensa forza acquisita quanto dell’ineluttabilità dell’altro da sé. Portatori di doni.
E comunque, vittoriosi o sconfitti, sicuramente, vivranno.

 “Gli ostacoli sono quelle cose spaventose che vedi quando togli gli occhi dalla meta”
( H. Ford )



martedì 9 dicembre 2014

Non è più come prima


"Salmoni che risalgono?"
"Non è triste? Risalgono fin qua su per poi andare a morire. Se sono destinati a morire perché faticano tanto?"
"Loro vogliono tornare nel posto dove sono nati."

Lo so, succede sempre così. E’ come quando ti scappa da orinare e tu la trattieni senza sforzo alcuno, poi, entri in casa, e ti sembra che se non corri subito in bagno, sfondando la porta e buttando giù pantaloni e mutande con la stessa foga che useresti per salvare tuo figlio dalle grinfie di un bruto, te la farai “sotto”.
E’ così. Infatti, al secondo giorno di permanenza in quel di Bassano del Grappa, crollo come un fantoccio, dormo per ore e ore di seguito, nemmeno mangio perché il sistema nervoso, il “pilota automatico”, intravista la pausa, ha deciso STOP, basta. Uno zombie.
La sera, però, riesco ad organizzare (grazie Roberto !!) la visione di una pellicola di cui sono in caccia da tempo: Departures.

Storia di un violoncellista che, perso il lavoro, diventa una persona che di mestiere si occupa di comporre i morti, quello che comunemente è definito “tanato esteta”, un film del 2008, regista Yojiro Takita.
Pellicola struggente, delicata, commovente. Probabilmente solo un asiatico, in particolare un giapponese, poteva dedicare, e in questo modo, un film al tema della morte. Noi occidentali siamo più grossolani sul tema, più portati ad evitarlo nel suo spessore profondo o a squalificarlo per farne una merce o un oggetto di spettacolarizzazione mediocre e banale, laddove Heidegger e le sue dissertazioni sono patrimonio di pochi.
Eppure, nello stesso Giappone, la figura del tanato esteta è avversata dai più. Probabile retaggio del concetto scintoista di Kegare ( traducibile con sporcizia, profanazione), una sorta di condizione di impurità determinata dal contatto con situazioni spiacevoli.

Dunque un film da leggere, per me, attraverso diverse lenti.

Quella di  infrangere il silenzio sulla convenzione sociale più radicata e sacra, ovvero non parlare dei morti, arrivando a mettere in scena la morte stessa. Autentico pugno in faccia per una società, la nostra, in cui la morte è talmente quotidiana e spettacolizzata e data in pasto ai media, da sembrare banale, soprattutto se riferita ad altri e non a noi. Per non parlare dei videogiochi “sparatutto” lasciati in mano ai nostri figli, ai quali passiamo l’idea che sangue e morte e sbudellamenti siano solo finzioni, di più, istigandoli a prevalere sull’amichetto nel collezionare pedoni da investire o persone da squartare o maciullare con seghe elettriche, bombe a mano e coltellacci. Quegli stessi bambini che non hanno lo stomaco per reggere una lieve ferita sul loro corpo o la vista di un coniglio spellato !!!

C’è questo filo che unisce l’arte, manuale e “spirituale”, del suonare uno strumento e l’arte lieve, precisa e raffinata, di comporre i morti. Come a dire che l’Arte, l’essere artista, si manifesta ovunque ci sia un interprete all’altezza, altezza emotiva e sentimentale prima ancora che tecnica.

C’è il processo di elaborazione della morte del padre, il quale aveva abbandonato il protagonista quando lui era piccolo e che si rivela nella ricomposizione finale del corpo del padre morto. Sorta di ricongiunzione e riconciliazione, quanto di ammissione della debolezza umana, come testimonia l’intreccio di storie minori anche loro intessute di abbandoni traumatici.

C’è questo legame rappresentato dal dono reciproco di un sasso; leggenda, favola che il padre gli ha narrato in tenera età e che rimanda ai segnali muti, alle presenze forti anche quando è l’assenza, l’allontanamento, a regnare nelle relazioni. Perché basta un segno, un simbolo, a tenere vivi i sentimenti veri ed autentici, a reggere lo scorrere degli anni, le fughe e le perdite di senso, financo i silenzi e le sparizioni.

C’è la mediocrità di una donna, la moglie, che non regge la squalificazione sociale del lavoro del marito e lo abbandona. Salvo poi tornare una volta che si accorge di essere incinta, ma pur sempre per comandare al marito di lasciare il suo lavoro. Ci vorranno alcune scene toccanti ed intense del film, ci vorrà il senso estetico e la profonda arte di Daigo, il protagonista, per farla ricredere. Plateale esempio della mediocrità dell’animo umano; di come sia cosi difficile, anche in una relazione di coppia, dunque d’amore, praticare se non l’arte del dono, almeno il fare “un passo in disparte” per il bene dell’altro, per il bene della coppia.

Soprattutto, per quanto mi riguarda, c’è un’ora e mezza di infinita poesia.

Ah, per i più esigenti, la lavorazione del film è durata una decina d’anni,  quelli necessari all’attore protagonista per imparare a suonare il violoncello e per imparare il mestiere del tanato esteta.
Poi c’è qualche attore che si vanta di essere andato in palestra o di essere stato a dieta qualche mese per interpretare un film. Ma dai !!

 "Grazie di tutto. Ti raggiungerò!"

 

lunedì 24 novembre 2014

L’ala protettrice


“Nella pratica delle Arti Marziali, tutti sono utili, tutti servono. Nessuno, tranne il Maestro, è indispensabile”
(M° Yamazaki Ansai)
 
Resto immobile, cercando di capire, di ragionare.
L’allievo, scomposto come un kick boxer in affanno, sciorina diretto e gancio, malfermo sulle gambe, una spalla ridicolmente sollevata, forse a proteggere la guancia ? Forse perché fa “tipo tosto” ?
La mia proposta, in sintonia con gli insegnamenti del M° Aleks, è di colpire in movimento. Questo lo facciamo già da anni, ma ora non ci affidiamo più alla muscolatura superficiale, che origina scatti e strappi e pause, ma alla sinergia muscolatura profonda / articolazioni.
Solo così, il movimento sarà realmente fluido, il combattente scivolerà sul terreno come vento che corre.
 
Resto immobile, cercando di capire, di ragionare.
Perché c’è chi fatica a togliersi i movimenti “vecchi”, ed è giusto che sia: ti hanno dato tanto, è difficile allontanarli per abbracciarne di nuovi, anche se questi ultimi funzionano di più e meglio.
Ma c’è anche chi, è evidente, di questo modo di “tirare”, che non è nostro da almeno vent’anni, guardia pugilistica “sportiva” e spalla avanzata alta, si è appropriato in questi mesi.
 
Resto immobile, cercando di capire, di ragionare.
Forse starà facendo delle esperienze di Kick Boxing o di Daido Juku (l’ultima moda importata dal Giappone, una sorta di Yoseikan Budo ma più grezzo), di pratiche simil sportive. Libero di farlo, ma che c’azzecca con quanto ho proposto da vent’anni a questa parte, e che c’azzecca con la straordinaria pratica intrapresa da un paio d’anni a questa parte ?
Sempre alla ricerca del meglio, del fluido, dell’efficace ed efficiente.
E mi vengono alla mente, si aggiungono, immagini di una paio di settimane or sono, al Raduno. Vedo che, tra gli allievi, certe differenze di qualità, nel movimento, nel realizzare i colpi a segno e nell’evitarli, si sono affievolite, fino a diventare incerte. Chi prima svettava, ora incespica, arranca: la pratica discontinua allo Z.N.K.R.; l’aver scelto di abbracciare una pratica altra, ben diversa dalla nostra; l’orgoglio delle proprie certezze che impedisce alle nuove di nascere e crescere. Questi sono tutti fattori che, inevitabilmente, livellano, fino a iinficiare, ad intorpidire, qualsiasi progresso.
 
Non sono io a dovermi abbassare al vostro livello, siete voi a dovervi alzare al mio”, più o meno sono queste le parole pronunciate dal M° Aleks in uno degli ultimi nostri incontri, ad Opera.
Dunque, per me, questo significa spingere, incoraggiare tutti affinché comprendano; accogliere le resistenze di ognuno come leva per svellere quanto ancora appesantisce, infiacchisce, la pratica nuova; metter mano alle tentate soluzioni ridondanti di ognuno, quelle che, ripetute e ripetute ancora, tengono lontano dal nuovo e indeboliscono la voglia di sperimentare, per farne “cavallo di Troia” verso l’acquisizione di una gestualità diversa, potente e fluida insieme.
Questo voglio continuare ad essere in pedana.
Ma, nel contempo, non voglio essere la mamma iperprotettiva che accudisce i figli fino ai quarant’anni e oltre. La mia ala protettrice sarà occasione per aiutare a spiccare un volo libero. Non sarà né ala soffocante su “pulcini” ormai cresciuti, né si farà stanca e stremata per riportare forzosamente ogni sera quei pulcini enormi e gonfi al limitare del volo.
Così, oggi come ieri, io propongo un certo modo di praticare: chi vorrà sperimentarlo, provarlo e riprovarlo ancora fino a riuscirci, troverà sempre in me un buon facilitatore, un buon “Sensei”, sempre al suo fianco. Chi vorrà fare altro, anche in pedana, anche al Raduno o agli incontri la sera, sarà, come sempre, libero di farlo, ma io non potrò né vorrò, accompagnarlo in quel volo sgraziato e traballante che si è andato scegliendo.
Certamente c’è e ci sarà sempre spazio per tutti. Per quelli che, con passione e costanza ed umiltà, tengono aperto il cuore e la testa su quanto vado loro proponendo e per chi fa spallucce, chi sceglie di praticare altro, chi pretende un insegnamento a mò di manuale per montare un mobile Ikea, chi… col tempo, resterà a terra, naso all’insù, a vedere i compagni librarsi in volo libero.
 
“Non serve aspettare a lungo o guardare lontano, perché ti venga ricordato quanto sottile è la linea tra l’essere un eroe e l’essere una capra”
(M. Mantle)
 


 

 

lunedì 17 novembre 2014

E sono 63 !!


“Quando mi troverò di fronte a dio alla fine della mia vita, mi augurerò di non avere neanche un briciolo di talento rimasto, in modo da dirgli : ‘Ho usato tutto quello che mi hai dato’”
(E. Bombeck)

 Lo scorrere degli anni. Gli incontri, gli scontri. Le forti volontà, le forti idee ed i ripensamenti, le negazioni che giungono improvvise, malcelati assassini nell’ombra. E uccidono, decapitano, sogni e credenze, aspettative e aspirazioni.
Qualcosa resta della caccia vecchia, dei vecchi (giovani) passi, a volte felpati a volte chiassosi come imberbi studenti all’uscita da scuola. Qualcosa resta per quello che è, oppure si trasforma, prendendo sembianze sfumate, indistinte: magia nera di donna sinuosa, tremolante, nelle luci chiaroscure del vivere quotidiano.

La vita sceglie una strada, una direzione e, non sempre, è quella che preferiamo. A volte, più spesso raramente e in modo frammentario, scomposto, invece sì.
Ed io sono qui, nei locali vetusti, dal canniccio il cui colore gli anni hanno sfaldato tra le tonalità del marrone. Tatami di judo coloratissimi disposti in pedana grande e drappi di divinità asiatiche abbracciate, incastonate nell’atto più bello del mondo: Fare l’amore.  Qui, nella sala della guerra e della formazione alla guerra.
Ma questa è serata di pace, di amicizia, di festeggiamenti: oggi, Venerdì 14 Novembre, compio sessantatre anni.
Sono nato nel giorno dell’alluvione del Polesine, quando il fiume Po straripò definitivamente fuori dagli argini; il giorno della più aggressiva e disastrosa alluvione dell’Italia contemporanea. E questo vorrà pur dire qualcosa.
Qualcosa che riecheggia, bestia solitaria e famelica, nelle viscere, tra impulsi e pulsioni selvaggi, oscuri, primordiali.
Eppure i sorrisi degli allievi, degli amici; lo scorrere fresco nel palato della birra; gli occhi profondi di Giuseppe, amico ritrovato per alcuni minuti in pedana, nel Randori d’Entrade, empatia, di più, simpatia mai persa. La premura di Milena, con i suoi paninetti al wurstel e una misteriosa torta di cioccolato e fondi di caffè. I consigli di letture fantasy di Walter. Gli abbracci teneri con Alessandro, e poi Celso, Renato ed altri ancora.
Con loro la mia famiglia, Monica e Lupo, ma anche Kentaro, almeno nei miei pensieri.

Grazie, a tutti voi per esserci stati.
Grazie per il sorriso nel cuore che mi avete donato nel festeggiare insieme, come si suol dire, le mie 63 primavere.
 
“Un uomo è veramente ricco quando i suoi figli corrono tra le sue braccia, anche se è arrivato a mani vuote”
(Anonimo)

  
 
 
 
 
 
 


sabato 15 novembre 2014

La parte bella del valore


“Tutti i praticanti di Arti Marziali sono dei ‘principianti’.Diciamo che alcuni di noi lo sono da più tempo”
( J. R. West )

 C’era una volta e c’è ancora, un luogo, una comunità, di individui che, pugni e calci e bastonate e acciaio affilato, masticano di paura e di coraggio, di mani affondate nella propria melma interiore. Uomini per cui le ore, i giorni, financo, per alcuni, gli anni ed i decenni che scorrono ineluttabili, portano , con la sensazione di perderli lungo la narrazione del tempo che va, anche l’ebrezza del viverli, del gustarli appieno, “senza se e senza ma”, coraggiosamente.
Coraggio di vivere che si erode, si mutila, ad ogni scontro, ad ogni ferita per trasformarsi, se non in tutti almeno in alcuni di loro, in piena consapevolezza dell’unicità, fragile ed incerta e irripetibile, del proprio stesso vivere.
Ognuno di loro, chi più chi meno, a seconda dello scurirsi della cintura, di ferite se ne è procurate tante ed ancora se ne procura.
 
Come in questo Raduno di Novembre 2014.
Ognuno di loro si pone davanti al vivere sapendo che esso si nutre di cose che accadono mentre altre se ne aspettano.
Lacerazione, questa, che la pratica marziale compone, o tenta di comporre, imponendo il “qui ed ora” fisicoemotivo, la presenza totale nello scontro, l’immergersi responsabile nell’attimo presente.
Da lì, per i più temerari, i più coraggiosi, la pratica marziale prende i colori della convivenza ardua e scontrosa  tra immediatezza del presente e anticipazione del futuro: Nel lampo di un gesto che insieme è difesa ed offesa, nell’esplosione di uno spostamento repentino che insieme evita ed occupa.
La formazione marziale, metafora e metonimia della vita, mostra che ogni incontro, ogni relazione, ogni combattimento, contiene in sé i tratti della vittoria e della sconfitta: inutile, a volte dannoso, lasciarsi abbattere da una sconfitta o esaltarsi per una vittoria, perché ogni combattimento le contiene entrambe.
“Per seguire la Via, il samurai deve mantenere l’attenzione (…)”. Così riporta Yamamoto Tsunetomo nell’Hagakure.
Mantenere l’attenzione” alla vita è essere presenti e partecipi di ogni attimo, è dare importanza anche alle cose, agli accadimenti, piccoli, è non proiettare, non scaricare su altri o altro ciò che noi stessi siamo e facciamo.
Allora la formazione del corpo marziale, attraverso ilTai Chi Chuan, come ora insegnatomi dal Maestro ed amico Aleks. La pratica del KenpoTaikiKen riletto con le componenti di cui sopra. Il combattimento libero, uno contro uno, poi la rissa, lo scontro  tra schiere e ingruppo.
Sudati, stanchi, un poco ammaccati, al saluto finale.
Un piccolo rinfresco appena terminato il Raduno, poi, per chi ha voluto esserci, la serata si conclude in pizzeria, tra cibo e birra, chiacchiere e fiumi larghi e forti di amicizia condivisa
 
(Anonimo)

 Un grazie a Donatella per le belle immagini





giovedì 6 novembre 2014

Basta piangere

“… e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia”
(dal film “Blade Runner”)

Pamphlet agile e scorrevole, “Basta piangere”, di Aldo Cazzullo, si presenta come manifesto di riscossa degli over quaranta per, in realtà, narrare vivacemente cinquant’anni di storia d’Italia e, un po’, del mondo.
A volte esagerato e generoso, altre spiacevolmente superficiale, il tutto, però, come si conviene ad una narrazione  condensata in poco più di cento pagine.
Mi permetto di consigliarne la lettura … a tutti, ai quarantenni / cinquantenni, ovvero i coetanei di Cazzullo, ma anche a chi, come me, è un over sessanta e a chi, invece, di decenni ne ha solo un paio, o poco più, sulle spalle. E, perché no, a quei genitori che vogliano leggere ai loro giovanissimi figli di un passato appena prossimo ma che, per certi versi, appare “preistoria”.
Lo consiglio perché, di agile lettura, consente uno sguardo complessivo, attento e divertito, su mondi, avvenimenti e “culture” dagli anni ’60 ai giorni nostri.
Quando mio figlio Kentaro, nato nel 1986, era un bambino, stentava a comprendere che, io bambino, non avessimo in famiglia il frigorifero: la roba da mangiare stava, in inverno, fuori sul davanzale della finestra e, in estate, mamma faceva la spesa tutti i giorni; oppure che, per nettarci il culo, usavamo le pagine del quotidiano o la “carta oleata”, quella con cui il panettiere incartava le michette. Bisognerà aspettare gli anni ’60 per avere in casa la “carta igienica” !!
Proprio in questi giorni, a mio figlio Lupo, nato nel 2004, ho parlato delle “pattine”, strumento d’obbligo ai piedi per entrare in ogni appartamento di città; o del papa precedente a questo, reazionario convinto, attivo nelle manipolazioni finanziarie e politiche. Come non ricordare la conduzione dello IOR, la banca vaticana, attraverso scandali di ogni tipo, per esempio una tangente di 108 milioni di euro, attraverso Raul Gardini, fatta passare per “aiuto ai bambini meno fortunati”; oppure il foraggiare economicamente e politicamente qualsiasi movimento anticomunista e antiprogressista, fino al coinvolgimento nel rapimento di Emanuela Orlandi o alla sepoltura nella basilica di Sant’Apollinare di un delinquente di primo piano come De Pedis, uno dei capi della “banda della Magliana.
Su questi avvenimenti, per inciso, Cazzullo, da buon cattolico di destra, scivola lieve e candido …
Dunque, un bel libretto che aiuta “grandi e piccini” a ripercorrere decenni di storia, grande e piccola, del nostro “Belpaese”.
Del libro, condivido appieno l’invito al rischiare in prima persona, all’unirsi in gruppo, in collettività, per cambiare, privato e pubblico, del nostro vivere, del nostro ambiente, ovvero la società in cui viviamo.
Come ben ricorda Cazzullo, per quelli come me,di cui scrive  “Quelli che vengono comunemente chiamati ‘sessantottini”, al nostro confronto, sono una falange macedone. Chi è rimasto comunista e chi è andato a lavorare per Berlusconi (magari dicendo di essere rimasto comunista) sono comunque uniti da un vincolo cementato nel tempo in cui si affidava alla comunità la vita e la morte” fare gruppo ed operare in gruppo, ha un senso profondo che affonda nell’adolescenza e nelle esperienze intense, appunto, del ’68. La vita dello Z.N.K.R. sta lì a mostrarlo.
Per chi è venuto dopo, la sbornia individualista ha lasciato scorie che è certamente dura trasformare in forza piena di cambiamento collettivo.
Taccio delle pecche e delle generalizzazioni, e non sono poche, che costellano il libro, tra un incauto apprezzamento a Balotelli e l’affermazione generica “i giovani chiedono lavoro” che cozza, quest’ultima, con la mia esperienza di quasi vent’anni proprio a contatto di giovani alla ricerca di un lavoro e, soprattutto, con le esperienze e gli scritti di operatori del settore che operano su scala nazionale.
Preferisco sottolineare il piacere e le emozioni legati ai ricordi che il bel libro mi ha suscitato: Anche tu hai voglia di emozionarti ?

“Trovo che la televisione sia molto educativa, ogni volta che qualcuno l’accende vado in un’altra stanza a leggere un libro”
(Groucho Marx)

Post illustrato con foto scattate in un sereno pomeriggio all’Idroscalo di Milano, con famiglia ed amici.








lunedì 3 novembre 2014

Un’offerta e un dono


“La gentilezza delle parole crea fiducia. La gentilezza di pensieri crea profondità. La gentilezza nel donare crea amore.”
(Lao Tze)

 Passano gli anni, i decenni, e le cose cambiano. O forse sono io a notare le stesse cose in un modo diverso. A sentirle più pesanti, ruglio sgraziato in un oceano di voci e suoni e rumori.
Offerta e dono, che sono la stessa cosa.

Quando mi dici “Stasera non vengo a lezione”, “Sai, non mi iscrivo al Raduno”, a me basta. Sei cortese ad informarmi, mostrando che il Dojo, la Scuola, non è il bar dove bevi il caffè la mattina, prima di entrare in ufficio, quel posto dove, che tu ci vada o meno, non importa a nessuno: né a te, né a chi sta dietro il bancone. Te ne ringrazio.

by el1as
Quando aggiungi “Sai, un’improvvisa marea ha inondato la strada per arrivare in Dojo”, o “Mi hanno  invitato a cena”; oppure “E’ caduto un asteroide sul pianerottolo di casa” o “Ho un po’ di mal di testa”; o anche “C’è tanto traffico” come “Uno zombie si è appisolato sul mio divano”, beh, io resto attonito.
Io non ti ho chiesto spiegazioni o giustificazioni: Cosa ti spinge a darmele ? Come stai, nel pronunciare quelle parole ?
Tu non sei un minorenne che deve delle spiegazioni al genitore, né, per me, sei un minorato che le deve al suo tutore.
Ma accetto la tua offerta di spiegazioni, il tuo dono di giustificazioni e li prendo per come sono. Un dono un po’ goffo, quel soprammobile che stona con l’ambiente, che è un impiccio in più da spolverare. Viene da te, io ti voglio bene, l’accetto col cuore, senza chiedere a me o a te se sia un dono simile a quegli oggetti riciclati che si passano di mano in mano, “sbolognandoli” alla prima occasione o se c’è del tuo, sforzo e ricerca, in quell’oggetto; anche perché, a volte, anche gli oggetti riciclati, quelli “sbolognati”, vengono donati col cuore e allora va bene così: a me basta.

Ecco, nel momento in cui tu, però, pretendi che io, sempre e comunque, creda e ti compatisca, condivida la tua afflizione, per la marea d’acqua infuriata e violenta, eruttata improvvisa dalla bocca nera del mare, o al perentorio e improcrastinabile invito a cena; allo zombie appisolato sul divano di casa come all’ostacolo insormontabile di un groviglio d’auto che sigillano le strade della città, qualcosa in me si incrina.
by Xythanon
Quella semplice tua offerta, quel tuo piccolo dono, assumono sembianze distorte, emanano un odore sgradevole. Sembianze ed odore goffi, oso ipotizzare, su di te perché offendono la tua intelligenza e, con essa, la tua libertà di essere e fare, individuo consapevole ed autodiretto anche, e soprattutto, nei confronti del proprio vivere e relazionarsi.
Poco graditi a me che pure sono consapevole, certamente, che le cose tutte accadono a volte anche fuori dalla nostra volontà; che, per le leggi della fisica moderna, nessuno può escludere di trovarsi uno zombie in casa; che, a volte, un’occasione piacevole o spiacevole che sia, la prima la si accetta di subire, anche se di malavoglia, la seconda la si vuole accettare di buon grado. Poco graditi comunque e te ne spiego il motivo. Mi chiedo perché tu mi doni il biglietto per un concerto di Marco Carta o Cesare Cremonini, io che questi cantantucoli, come  tutta la loro genie  di “poppettari” squinternati e omofoni, aborro e pretendi che io lo apprezzi; perché, sapendo del mio disgusto per frutta e verdura, mi inviti a cena in un ristorante vegano e pretendi che ne apprezzi la cucina.

Allora, per favore, la prossima volta che accadrà , e accadrà di nuovo e poi ancora, più volte, che il mare si riversi mugghiando per le vie della città o che il mal di testa o l’invito a cena o lo zombie sul divano entrino di prepotenza nella tua vita, e me li offrirai con una smorfia triste ( Perché poi ? Almeno per me, andare a cena con persone che gradisco, è un piacere, così come, se mai accadrà, osservare dal calduccio di casa la forza del mare che tutto spazza per le strade ) non premurarti di coprire frettolosamente, al momento, con un tratto di pennarello, il prezzo ancora stampato sull’oggetto che mi vai donando; non raccontarmi che quel coccio di vetro è un antico reperto della cultura marziana approdata in terra nel 1.000 avanti Cristo; non mi chiedere di colludere con le tue presunte sofferenze. Offri e dona così, semplicemente.
Perché un’offerta è anche un dono. Allora, lascia che sia.

 “Il rischio, qualsiasi sia la forma in cui lo si pensa o si presenta, appartiene alla vita.
Azzerarlo non si può. Si può volerlo fare a tutti i costi ma si chiama controllo, ossessione, possesso, malattia”
MP. Veladiano)



 

lunedì 20 ottobre 2014

Un guerriero del colore sbagliato


“Occorre coraggio per portar avanti un sogno; occorre coraggio per perseguire un risultato di fronte a dubbi e difficoltà; occorre coraggio per provarci lo stesso e comunque e magari anche se non sembra possibile”
(P. Ragusa)

 Ancora (incredibile !!) una Domenica mattina libera da impegni.
Ma, questa volta, non “invito” Lupo a venire con me ai giardini. Suggerisco a Monica e Susy, la sorella, di venire con me: Lupo, così, si troverebbe, suo malgrado, costretto ad uscire. Nessun tono perentorio, nessun ordine, nessuna costrizione palese, nessuno dei soliti ricatti genitoriali “Se non fai …, non vai a calcio, non esci con gli amici, non …”.
Solcare il mare all’insaputa del cielo”, così chiama questa strategia il generale Sun Tzu, autore de “L’arte della guerra”.
Me le due fanciulle, complice l’essere rientrate alle tre di notte, restano accoccolate sul divano.
Che fare ? Sun Tzu, ed io lo piego ai rapporti di coppia, scrive. “Si dice aperto un terreno in cui la forza dell’attacco è pari per noi e il nemico. Su questo terreno, sfidare allo scontro è rischioso e combattere non è vantaggioso”. Amen
 
Pratico il mio Tai Chi Chuan, leggero e potente insieme, tra cespugli ed alberi sfiorati dal sole.
L’idea di Lupo a casa, avvinghiato ad un telecomando, ad un videogioco, ad un televisore, si allarga a considerazioni più generali. Ai tanti bimbi e ragazzi fragili, di fisico ed emozioni, che vado incontrando in questi ultimi anni.
Una fatica, un livido, un contraddittorio, paiono loro ostacoli insormontabili. E questa debolezza la leggo ogni giorno nei giovani, poco più che adolescenti, che ho davanti alla scrivania mentre mi rapporto con loro alla ricerca di una lavoro, di un’occupazione professionale o di un raddrizzamento del loro zoppicante percorso di studi.
I miei pensieri marziali, serpenti agili, si srotolano lungo gli anni, gli anni ’80 e si illuminano su quel bimbetto che, dopo un’intera giornata di pratica marziale all’aperto, nei boschi, a mezzanotte, tra un pugno ed una spinta, crollò addormentato di botto  tra le braccia di Giuseppe e, portato in braccio dal bosco alla camera da letto, dormì placido tutta la notte per svegliarsi al mattino affamato e forte come un lupacchiotto; al manipolo di bimbetti che Claudio portò a correre e rotolarsi a terra su e giù per il terreno scosceso della montagna, sotto una pioggia battente e l’indomani tutti regolarmente a scuola, sani e felici; agli spettacoli di Teatro Marziale in cui  mio figlio Kentaro, non ancora dieci anni, si esibiva in teatri, palazzetti, piazze, buttando cuore e corpo oltre l’emozione di esporsi davanti, a volte, anche migliaia di persone, scambiando calci e pugni e bastonate con “avversari” adulti, grossi tre volte lui.
Mah, sono i tempi che cambiano.
Ora abbiamo bimbi ipernutriti ed iperprotetti, che indossano il casco seduti in sella ad una bici con le rotelle; che frequentano un corso dopo l’altro ma sempre sotto la tutela vigile di un adulto e mai a confrontarsi e confliggere tra pari; che vengono scortati e protetti e rassicurati sempre e mai incoraggiati ad osare, ad accettare il rischio e la sconfitta e la delusione e financo la noia come parti integranti il vivere quotidiano.
Una società ginecocratica, femminilizzata, che perpetua e crea vecchi e nuovi bisogni con i quali lega ed induce alla dipendenza perenne, si riflette nei rapporti genitori / figli. E, fattisi questi ultimi adulti, almeno anagraficamente, comperiamo loro la casa, troviamo loro il lavoro e magari pure la moglie !! Mamme che ancora cucinano e stirano per figli trenta / quarantenni, sempre che a sostituirle nel ruolo di accudimento non ci siano mogli / compagne ben poco adulte e molto, a loro volta, “mamme” !!

Il mio praticare scema lentamente, in questa pigra Domenica d’autunno. Entro all’Ipercoop per un paio di acquisti: avremo a pranzo anche la nipote di Monica ed il fidanzato, allora la dispensa va rimpinguata. Un’orda immane, tentacolare, di clienti tutta stretta intorno, carrelli e persone, confezioni di cibo e sacchetti. Mai vista tanta gente tutta insieme in un supermercato. Poi, scopro l’inghippo: c’è il 10% di sconto sulla spesa e l’orda famelica di acquirenti si è tutta riversata lì.  Qualche euro in meno barattato con un paio d’ore di spintoni, affanni, piccole prevaricazioni,  screzi e fila davanti alla cassa. Boh ?!
Penso che mi spiace invecchiare e, probabilmente, mi spiacerà ancor di più morire, ma questa società non è la mia società, questi valori di “plastica”, di consumismo, di vigliaccheria e paraculaggine, non sono i miei.
Già, Giovedì sera tonerò dal Dojo e ci sarà qualcuno incollato al televisore, bevendosi l’idea che sia un giudice autorevole e qualificato chi mastica e sputa la sua fragilità tra eccessi e droghe e giovanissime concorrenti circuite e messe incinte; chi vende musica da duri del ghetto vivendo nella placida Milano  tra ogni agio e frequentando trasmissioni televisive di stampo nazionalpopolare; bevendosi l’idea che siano artisti dei giovani efebici, uguali l’uno all’altro, uguali nelle voci e nelle mossette, uguali nel delirio dell’aspirare ad una carriera da star.
Cosa ne scriverebbe il nostro Sun Tzu ? Mmmhh… “Perciò, la forma che fa conseguire la vittoria non è ben definita, ma muta ogni volta”.
Dai Tizi, non mollare. Pensa ai grandi nomi che ti hanno preceduto e, con loro, ai molti sconosciuti che, come loro, hanno lottato, che si sono battuti “contro” e lo fanno ancora oggi.
Pensa a Mario Lodi che, a scuola, capovolse la cattedra e, spintala contro il muro, ne faceva stia per mostrare come nascevano  e vivevano i pulcini; a Danilo Dolci ed al suo operare nel “Borgo di Dio”, a Daniele Novara, a Enzo Spaltro,  a Stefania Guerra Lisi, a Claudio Risè.
Dai Tizi, tu sei un modesto nano rispetto a loro, ma sei ancora qui a lottare per accompagnare chi lo voglia, per mostrare a chi lo voglia, che “adulto” è bello, adulto coraggioso ed autodiretto è bello e possibile, che valori come la frugalità ed il dono non sono (ancora) morti.

 “Così mi è apparso chiaro, questa nostra società disprezza il valore profondo della vita. L’ossessione del controllo e della sicurezza ha invaso ogni settore, le nostre città, la politica, il lavoro, la scuola, le leggi, i parchi giochi, gli asili, le relazioni, in poche parole la vita.
Sono madre di 4 figli, lavoro a tempo pieno da circa 20 anni (il mio primo ha 19 anni, la mia piccola 2 e mezzo) e in questi anni ho visto ridursi lentamente ma inesorabilmente gli spazi che nelle nostre città sono riservati al libero movimento dei nostri figli. Lentamente sono state tolte le libertà e autonomie ai bambini, e di fatto si sta spegnendo nei nostri figli quel desiderio autentico della scoperta, dell’esperienza non sotto lo stretto controllo degli adulti. “Controllo ossessione possesso malattia”: la nostra società e noi che ne facciamo parte siamo tutti affetti da questa malattia.
Uomini che vogliono controllare lo spazio che abitano le donne, donne che vogliono controllare lo spazio che abitano i figli, politici, scuola, istituzioni, che dietro la parola sicurezza costruiscono recinti nei quali di fatto le responsabilità sono scaricabili a catena. Controllo, parola che etimologicamente è legata alla parola contratto, dunque le nostre relazioni ridotte a dei contratti. Non abbiamo fatto la fame, non abbiamo fatto la guerra, non abbiamo sofferto il freddo, ma viviamo come se fossimo in condizioni estreme tutti i giorni. Ci stiamo perdendo i nostri figli ai quali neghiamo la conoscenza attraverso l’esperienza e quel credito di fiducia che ci ha permesso di diventare adulti. Abbiamo così paura dei rischi che siamo disposti a farli vivere in recinti pur di non farglieli correre, dimenticando che quei rischi sono stati il sale della nostra vita di giovani e la spinta a diventare adulti responsabili”
(R. Trucco)