lunedì 18 marzo 2013

Padre e figlio


“E’ ribelle chiunque è costretto dalla propria natura a una relazione con la libertà”
(E. Junger “Trattato del ribelle”)

E’ Domenica. prendo con me un coltello. Lo scelgo accuratamente tra quelli esposti in vetrina: lo Hissatsu.
Un coltello che ha già una sua storia, nell’ideazione e nella realizzazione: (http://www.crkt.com/Hissatsu )
Una storia piccola, breve, lo ha anche questo esemplare in mio possesso. Lo acquistai da un militare di professione, di stanza a Vicenza. Mi è stato compagno in una seduta di terapia volta ad “aprire” la botola ferrea che la cliente teneva stampata sul volto. Poi, in alcuni momenti di formazione marziale particolarmente tosti.
Con lui, in una valigetta, c’è la mia pistola a gas.
E’ Domenica. Una domenica mattina soleggiata e percorsa da un vento allegro e spavaldo.
Sono in Dojo con Lupo, per un paio d’ore di sana e profonda complicità maschile.
Padre e figlio, io e lui.
Ci unisce la pratica del coltello, l’acciaio: “Un uomo senza acciaio è un uomo senza vita” (Fehrman Knives). Così io interpreto la bella frase che contraddistingue l’opera di questi coltellinai U.S.A.
L’acciaio, simbolo maschile per eccellenza, che rimanda all’animale Tigre nella cosmogonia taoista: il coraggio e la violenza, la passione e il senso dell’agguato.
O ad Ares, il turbolento dio greco della guerra che poi, se ben educato ( ex ducere = condurre fuori ), si evolverà nel dio romano Marte, la cui forza guerriera lo farà generoso ed attento protettore della comunità.
Così, guido Lupo lungo la pratica del coltello, quello che alcuni hanno definito il “ servo silente”.
Prima Lupo impugna il suo coltello d’allenamento, poi gli metto in mano un “Finn Bear”, leggero ed affilato coltello della Cold Steel.
Sono fendenti ed affondi a vuoto, fino ai tagli vibrati sul bersaglio che si offre inerte alle nostre lame avide.
Il coltello, ovvero il contatto responsabile con un’arma, tagliente ed affilata.
Un piccolo, minuscolo, gradino verso la crescita.
Quei momenti, quei riti di passaggio, che una società lassista e femminilizzata, consumista e frivola, ha ormai dimenticato. Perché si nasce di sesso maschile, ma “maschio” si diventa. Forse.
E si può solo attraverso un apprendimento continuo ed appassionato: “ Il bambino – ragazzo ha un bisogno vitale che un uomo, il padre possibilmente, gli fornisca un orientamento per guardare dentro di sé, per stimarsi, ma anche per criticarsi, quando occorre. Un orientamento nato dalla cultura da cui il suo corpo, i suoi istinti e la sua psiche provengono: quella maschile” ( C. Risè “Essere uomini” ).
La cultura della lotta, della caccia, del saper accettare il conflitto, della frugalità e del sacrificio. Del tenere alta la testa nei momenti di avversità. Tutti elementi che, se appresi sin dall’infanzia, permetteranno un passaggio all’adolescenza blandamente traumatico: “(…) alcuni giovani affrontano e gestiscono le sfide dell’adolescenza meglio di altri; di loro diciamo che sono più resilienti e che possiedono miglior strategie di fronteggiamento” (K. Geldard & D. Geldard “Il counseling agli adolescenti” ).
Ora impugno la mia Walther CP99. Il carrello scorre rapido ed i “pallini” fioccano tesi e diretti sulla sagoma di cartone.
Lupo sorride. Tocca a lui e quella pistola sembra enorme nelle sue manine.
Non amo per niente la “armi da fuoco”, nemmeno in questa versione “giocattolo”. Non c’è il confronto fisicoemotivo, non c’è il sincero guardarsi dritto negli occhi. Non c’è il contatto.
Ma mi piace introdurre Lupo, attraverso un giocattolo ed un gioco, dentro un mondo che esiste ed ha il suo senso.
Un mondo dove le perversioni umane, le follie omicide, i raccapriccianti resoconti di “cronaca nera”, mi paiono nient’affatto differenti dalle vili paure che demonizzano le armi da fuoco; dalle urla isteriche ed ansiogene che le vorrebbero mettere al bando. Come a dire “eliminiamo le armi da fuoco” invece di educare, formare, l’uomo, colui che le impugna.
Bel salto di incoerenza, di non assunzione di responsabilità.
Ecco, assunzione di responsabilità, esplorare i nostri materiali più profondi, mettere coraggiosamente le mani nel caos, perché la salute di ogni individuo dipende dalla possibilità di essere creativo, cioè di “autorealizzarsi”, e coincide con l’espressione sincera delle proprie potenzialità, con il dispiegarsi delle caratteristiche neoteniche proprie della specie umana.
Confido che anche da una mattinata come questa, Lupo impari.
A casa, insieme, puliamo i rispettivi coltelli. Azioni semplici, ma simboliche. Un rito breve, ma intenso. Simboli e riti non consentono mai ad una parte di prevaricare le altre, rappresentano sempre gli opposti, le diversità, tenute insieme perché solo insieme sono una forza. Anche questo è un insegnamento prezioso.
Poi, metto le mani in cucina: una gustosa pasta per tutta la famiglia. Perché Lupo assimili che un buon maschio è tale se sa lottare, sa sostenere il conflitto, ma sa anche occuparsi della “tana”, della casa. Sa occuparsi della famiglia che ha creato. Sempre.

“Scopri allora che la tua vita ha un senso, una direzione, e un interesse, proprio in quanto è la tua propria vita, di te come essere umano, di genere maschile”
(C. Risé “Essere uomini”)





lunedì 4 marzo 2013

ACAB, delle passioni e del vivere


“Jack si è rialzato e ha gridato “Voi non potete sapere quanto dura sia la lotta – bisogna rivoltarsi la pelle … perché se lotta deve essere che lotta sia per sempre !”.
(M. Philopat “La banda Bellini”)

A volte ritornano. A volte.
Sotto forma di emozioni forti: paura, terrore, rabbia immensa, follia distruttiva. Contro tutto e tutti.
A volte sono i visi a riaffiorare, quelli di amici e quelli dei “nemici”; quelli che avevo accanto, Maurizio, Marco, Francesco, quelli guardati contro, Amedeo, Toni, Andrea. Quelli sconosciuti che erano con me fianco a fianco, casco e spranga in pugno. Quelli altrettanto sconosciuti spiati di fronte tra caschi e passamontagna, manganelli e coltelli tra le mani.
Altre volte sono le strade della mia amata Milano a prendere colori inquietanti, percorsa oggi per futili motivi, ieri, un ieri datato ma mai dimenticato, attraversata tra cortei urlanti, cariche della polizia, puzzo di fumo ed auto incendiate, agguati ai “nemici” fatti o subiti. Orde o manipoli furiosi, incazzati, ciechi di odio e passione.

Sullo schermo di casa scorrono le immagini di ACAB, “All Cops Are Bastards”, potente pellicola di Stefano Sollima.
Tre poliziotti della “celere” alle prese con la quotidiana violenza fuori, nel loro mestiere, e dentro, dentro non solo le loro vite private ma anche il loro animo. Ed un novizio, da iniziare ai riti della “fratellanza”.

Non importa se quella è Roma e le bande estreme sono di ultras del calcio vagamente invischiati nella politica.
La marea di ricordi, di emozioni, non conosce distinzioni.
La “bestia”, il “passeggero oscuro”, ghigna dentro.
Sono solo in casa. Troppo solo perché gli innocenti giochi di Lupo o il bellissimo portale tibetano, regalo di amicizia vera, autentica, mi scaldino il cuore. E’ l’acciaio in bella mostra sulle pareti a cavalcarmi il cuore, ad offrirsi prezioso alleato. A stuzzicarmi perché la “bestia” mugoli più forte, fino a tirar fuori gli artigli e le fauci affamate.
Le immagini scorrono rapide ed intense. Uomini, maschi, adulti o giovani. Tutti inerti tra le mani del dio della guerra, di un Ares impazzito di violenza vomitata del tutto a caso e senza limiti. Come è sempre quando è Ares a regnare: “Ares reagiva emotivamente; i suoi sentimenti lo portavano a dr battaglia, schierandosi al fianco degli uomini cui si sentiva legato, spesso dal sangue. La lealtà e la vendetta erano le ragioni che lo spingevano all’azione e avevano il sopravvento su altre considerazioni.” (J.S. Bolen “Gli dei dentro l’uomo”).

So che è la mia pratica marziale l’arena in cui lasciar giocare la “bestia”, lasciarla agire. Perché solo se la ri – conosco posso integrarla nelle mille parti che mi compongono.
E questo vale per ognuno di noi, ognuno di noi le cui pulsioni, più o meno latenti, più o meno potenti, sonnecchiano nel fondo del buco.
Questo è praticare Arti Marziali. Davvero. Perché l’Ombra non si allunghi quando è lei a volerlo; di più, perché essa sia preziosa alleata quando lo scontro, qualsiasi scontro, si farà duro e cattivo.
by aspius
Altrimenti beleremo come pecore alla tosa: di fronte al capoufficio o nell’incapacità di indicare la direzione ai figli; nell’accasarsi con una donna-mamma che provveda per noi o nello scappare di fronte alle responsabilità; subendo un lavoro che detestiamo o rifugiandoci  in un lavoretto da poco che tanto c’è chi ci mantiene; scoppiando gonfi d’ira e di pretese contro un altro per non guardare in faccia la nostra miseria d’animo; sfogando la frustrazione in una palestra tra pesi, guantoni e musica metallara pesante o incollati davanti alle slot machine.

Pellicola impressionante ACAB. Da far vedere certo a tutti quegli esaltati delle gare sportive a contatto o del Kung Fu “arma letale” o della preparazione fisica o delle colorite caterve di discipline paramilitari sbocciate come funghi dopo il temporale. Questo perché, forse, riusciranno ad annusare un po’ di quel che vuol dire combattere e rischiare la pelle, invece di crogiolarsi nelle loro sciocche certezze di superman da palestra. Ma anche da far vedere a tutti coloro che non comprendono cos’è praticare ogni giorno di pugni e di calci, praticare al freddo e nella neve alta, praticare la notte per otto ore di seguito, impugnare acciaio vero e non giocattolini per adulti ritardati. Che non comprendono o vogliono fuggire dal divenire adulti.

“La violenza del maschio è stata invece sempre riconosciuta e organizzata da tutte le società passate più sagge. (…) Tutto ciò serve ad abituare il maschio a riconoscere e accettare la propria violenza, e a ricondurla fin dall’ingresso nella vita adulta sotto il controllo della società. E’ come se l’individuo maschio per formasi, crescere, assumere la propria identità, dovesse riconoscere dentro di sé un nucleo di forza oscura, violenta, ed entrare in contatto con esso”.
(C. Risè “Diventa te stesso”)