martedì 28 febbraio 2017

35° Kangeiko. Stage invernale


25 e 26 Febbraio.
Agriturismo il Palazzino Maserno – Montese

 
Fluido e felpato. Sono queste le parole d’ordine, è questo il “cuore”, del nostro 35° Kangeiko

Andiamo incontro al nostro campo di battaglia, che è scontro tra il movimento legnoso, meccanico, privo di consapevolezza, tutto sforzo e muscolatura superficiale, e, invece, la capacità di ascoltarsi, di cogliere il flusso che ci scorre dentro trasformandolo in agire, agire “fluido e felpato”. Agire in cui ogni movimento contiene già l’avvio del successivo. Sorta di spirale ed onda di movimento, dal bacino, attraverso il torso espandendosi per onde in tutto il corpo.
Sono evoluzioni che disegnano nello spazio un’architettura insieme preziosa e potente, scaturita dai significati interni dell’agire e dal crogiuolo di emozioni, non da modelli imposti e copiati.

Le domande, in un approccio maieutico sensato, unico capace di far progredire il praticante, qualsiasi praticante, “Quale parte di te corpo si muove?”, “Quale direzione prende il tuo muoverti?”, “Quale è la tua velocità di esecuzione?”, “Quale è il livello di concentrazione dell’energia osteo-muscolare che vai utilizzando?”
Le domande, a condurre il praticante dall’ostinata resistenza del più rigido apparato locomotore, dell’intransigenza al cedere, allo sprofondare, verso un nuovo allineamento delle forze. Sarà questo allineamento a formare risposte motorie sensate, credibili, efficaci ed efficienti.

Sarà lasciare emergere gesti e movimenti inconsci che, nel rispondere pratico alle domande di cui sopra, diventano riappropriazione consapevole e comprensibile.
A guisa di koan zen fisicoemotivi. E torna, eccome se torna, la Tradizione della trasmissione da Maestro ad allievo, laddove il Maestro non dà ne è la risposta, non è la mamma che ti accudisce e risolve ogni problema, ma è il “nato prima, il Sensei, che ti pone nel problema e ti accompagna, senza risolvertelo, nei meandri e nei conflitti che del problema sono l’essenza; è il padre, che ti propone i rudimenti della caccia ma poi a cacciare l’orso sei tu.

Di fronte a tanti bimbi trentenni e quarantenni, smarriti, capricciosi, deboli, che corrono ansiosi tra le braccia del Maestro-mamma ad imparare le tecniche, questa o quell’arte di combattimento, non posso non vedere l’assenza del padre, la lontananza del padre. Non posso non vedere la ricerca parossistica di una mamma onnipotente che, nel proteggerli ed insegnare loro, li renda forti!!
Noi, invece, oltre i confini dell’edulcorato imparare o dell’ottusa fatica fisica addentata per dimenticare, attraversiamo le nostre interiori terre sconosciute. Attraverso la forza del potere, giungerà presto il momento della trasformazione. Il momento del “fluido e felpato”.

Per farlo, navighiamo su mari dai colori diversi, tra diverse correnti, che si chiamino Danza Sensibile o Chi Kung, Kiko o Feldenkrais, Tai Chi Chuan o Gestalt, fino alle terre del Kenpo Taik Ken.
Lì, camminiamo, agiamo, per una vittoria incerta, una vittoria mai definitiva, ma che è certamente la nostra personale vittoria.

Noi, qui, al 35° Kangeiko dello Z.N.K.R., non siamo i prescelti, non siamo i fortunati, semplicemente abbiamo voluto scegliere di esserci. Scegliere come avviene per tutti, ma proprio tutti, in ogni momento della vita quotidiana, su ogni occasione della vita quotidiana.

Noi, qui, al 35° Kangeiko, sappiamo che non possiamo fallire ora, non possiamo allontanarci dal prezioso tesoro che queste terre racchiudono in sé e, se mai falliremo, se mai cadremo, sarà per rialzarci e rialzarci ancora.

Divertìti nel nostro sputare sangue e sudore, sorridenti nel nostro faticare tra l’equilibrio precario di calci studiati in un modo del tutto nuovo solo per imparare di bilanciamento di pesi e di forze, di stiramento tendineo e muscolare; tra successioni di gesti a richiamare le caratteristiche della gru; tra giochi e spostamenti ad occupare spazi inusuali.
Soprattutto contenti di questi due giorni insieme, consapevoli che ogni individuo sano, autenticamente guerriero, sa che non può guardare solo dentro se stesso, e già farlo non è poco, ma ha il compito Tradizionale di guardare anche al di fuori, a riorganizzare le sue relazioni con chi e cosa lo circonda.

Perché, almeno questo è il mio pensiero, “In un tempo senza ideali né utopia, dove l’unica salvezza è un’onorevole follia” (G. Gaber), questa follia, questo allontanarsi dal pensiero unico che regna nelle Arti Marziali / sport da combattimento come nei mezzi di comunicazione, in politica, nell’istituzione scolastica, ecc, è, guardia sempre alta, offrirsi come testimoni, come esempi, pur fragili, vulnerabili e contraddittori o forse forti proprio di questo, agli abitanti sordi, ciechi, di questo mondo in decomposizione.

 
“Non è la lotta che ci obbliga a essere artisti, è l’arte che ci obbliga a lottare”
(Albert Camus)

 

PS) Sul prossimo numero di SHIRO, on line a fine Marzo, altre foto ed i commenti di alcuni dei protagonisti

 











lunedì 20 febbraio 2017

Il ritmo della spirale. Cap. 3 La via di mezzo


 
Abbiamo capito che il ricongiungersi con il punto di partenza: i primi movimenti incerti, poi il lasciarsi andare in acqua, poi il contattare la Terra, intesa sia come semplice suolo sia come Madre Terra, il femminile da cui ognuno di noi è sorto, infine lo strisciare, sono momenti indispensabili per capire di sé: il filo (filo – genesi) è tornare indietro, è, come si dice in psicoterapia, tensione tra entrare ed andare… se questo legame si sfilaccia, si rompe, il percorso già avviato, scompare agli occhi del cuore e del corpo, si fa indistinto quando non nemico, si fa terreno privo di riferimenti.

Fingere di essere forti, che è l’abitudine, l’imperativo dei giorni nostri, tra tatuaggi e muscoli gonfi esibiti come medaglie al valore, fingere di essere fragili, nascondendosi in sfacciati silenzi a coprire la mancanza di ardire, di coraggio anche di errare, ma pur sempre coraggio.
Comunque fingere, più o meno convinti che tutto scorra, mentre invece tutto accade, intorno e dentro te, tra inciampi e salti e rovinose cadute e fughe vigliacche e risalite incerte.

Eppure, solo se hai contattato la Terra / terra puoi avvolgere il filo della spirale che ti porterà in piedi, alla stazione eretta. E allora fingere ti sarà difficile. E fingere ti sarà manifesta espressione di superficialità quando non di codardia.
Qui, nei primi giochi di spirale, si sta nel mezzo che è pressione sul terreno sì, ma condotta nell’affondo, nello scomparire dei femori, si sta nei primi fluttuare e torcere della colonna vertebrale, nei primi movimenti compiuti del cingolo-scapolo-omerale.
Non dimentichi certo il mondo passato, te ne fai forza per estenderti, per alzarti in piedi.

Il “come fare”, che è sempre più del “cosa fare”, ci fa lasciare l’appiglio del ginocchio.
Questi è l’articolazione dell’umiltà e della duttilità interiore, serve per piegarsi, inginocchiarsi; è segno di obbedienza, quando non di resa; è centrale nelle espressioni “Sentirsi il latte alle ginocchia”, “Le ginocchia fanno giacomo giacomo”, “Mi sento in ginocchio”, che sono appunto, espressioni di resa, di manifesta difficoltà, di dichiarata sottomissione.
Non possiamo certo affidarci alle ginocchia per trovare la forza di alzarci né, tanto meno, su di loro possiamo scaricare il peso del corpo!! (1)

Questa forza la troviamo nei piedi. Sono i piedi, alla nascita, a testimoniare la fretta del bambino che li usa come puntello. I giochi della fase precedente, “Terra”, ci hanno mostrato che tutta l’evoluzione psicomotoria sta nei piedi, dal dorso – coda del muoversi in acqua allo strisciare sul terreno; ora scopriamo il reggersi dell’alluce in corrispondenza dell’aggrapparsi, poi l’avanpiede come sforzo che prende dalla terra l’energia del sollevamento, allo slancio, ora sì, del ginocchio per uscire dalle condizioni di resa ed affrontare lo spazio circostante.
La troviamo nell’affondare, nello scomparire dei femori nel bacino, là dove attingono l’energica spinta alla verticalizzazione, là dove le anche sono la “madre” degli arti inferiori tutti. L’affondare dei femori, il vuoto, crea il pieno, il moto ascendente che ci lancia nello spazio: “…l’osso sacro è la base d’appoggio su cui insiste, in equilibrio, lo stelo vertebrale ‘attivo’. Poiché il sacro è saldamente ancorato alle ossa iliache, l’uno e le altre si muovono consensualmente, come un tutt’unico; e come un tutt’unico queste ossa configurano anatomo – funzionalmente la pelvi o bacino” (R. Caillet ‘Il dolore lombo – sacrale’).
La trasmettiamo attraverso la colonna vertebrale. E’ da essa, nella parte prossima alla curva dell’utero, che originano le prime doglie espulsive. Come a dire, “Lascio la comoda tana del grembo materno e mi affermo come essere nel mondo, che io sono !!”.
Così, per staccarci da terra, la colonna vertebrale funge da frusta, da onda travolgente continuando ed intensificando le scariche di successione che percorrono il corpo tutto.

Si fa urgente saper rispondere alle prime domande: Quale parti di me corpo sto muovendo? Dove inizio il movimento? Come lo espando attraverso il corpo?
Ma occorre anche saper compiutamente rispondere, dato che lo spazio lo stiamo ora, nella “via di mezzo”, prendendo “di petto”, alle domande che ci chiedono Dove sto muovendo il mio corpo nello spazio? Quale è il raggio d’azione del mio spazio personale? Come muovo il mio spazio personale nell’ambiente?

Nello spazio, nell’ambiente stesso, le tre espressioni formali sono “irradiazione – esplosione, spirale – avvolgimento, meandro – ondulazione” (S. Guerra Lisi). In chiave pedagogica e andragogica, possiamo assimilare l’esplosione con il fattore stimolante (moto dall’interno all’esterno), la spirale – avvolgimento con la considerazione (sui propri bisogni che originano le motivazioni, sulle origini vere o presunte), i meandri ondulati con l’espressione creativa, che, attraverso una flessione verso l’inizio, sia  atta a nuove spinte creative.
Metaforicamente, molteplici fiabe e giochi popolari inducono il protagonista, in stato di impasse, a tornare sui suoi passi, così in numerosi miti religiosi dell’antichità.
Altrettanto avviene nel nostro percorso di movimento, percorso fisicoemotivo. Dalla Terra alla “via di mezzo” e ritorno, in un moto incessante, che si fa fluido e continuo. Che è movimento vitale. Che ci prepara all’avventura della stazione eretta ed all’esplorazione, da bipedi, dell’ambiente.

 
(1). Le ginocchia di migliaia di praticanti, non importa di che Arte Marziale o sport di contatto, ne sanno qualcosa, come lo sanno i loro sfortunati “proprietari”, costretti a mesi di stop quando non a fermarsi definitivamente o, quanto meno, a ridurre l’intensità dei loro allenamenti e ad abbassare la qualità delle loro prestazioni.
Le mie ginocchia ne sanno qualcosa, dai primi tormenti delle posizioni basse, bassissime, del Karate Shotokan tradizionale, alle sollecitazioni violente dei balzi nella pratica del Contact e dello Yoseikan Budo, fino alle torsioni rapide e dolorose indotte, nel Kenpo Taiki Ken, da spostamenti circolari mai strutturalmente spiegatimi. Un doveroso e sentito grazie al Maestro Aleksandar Trickovic che, anche in questo, mi ha aperto un mondo, ed ora MAI il peso a gravare sulle gambe e tanto meno sulle ginocchia. MAI.

 





 

 

martedì 14 febbraio 2017

Il ritmo della spirale. Cap. 2 Terra



Terra
 
I miei gesti, i miei movimenti, sono il giorno, sono l’alba del vivente e la notte probabile dell’uomo.

In un processo di catabasi ciclica, dalla madre Terra nasciamo e lì vi torniamo a morire. Forse è dare un senso esoterico alle Tenebre, al primordiale, quasi a offrirne un’accezione di suprema trascendenza.
Sono vecchie reminiscenze mai del tutto trascurate, sono anche strade nuove non ancora illuminate.
Movimenti, gesti, inchiodati sul ciglio di un pensiero, così incerti, approssimativi. L’avvio di una vita dall'inizio immaginata, tutto quello che ognuno di noi è stato e dorme nel ventre, sepolto dalle scorie violente di un’umanità parodistica.

Il contatto col suolo, poi il movimento a strascicarsi sul suolo.
L’importanza del sapere, del conoscere il peso del corpo, in un incessante dialogo dinamico che ci fa muovere tutt’attorno.
A scoprire il peso del corpo tutto e dopo, ma solo dopo, quel peso sul piede, sapientemente ripartito tra alluce, quinto dito e tallone.

Un viaggio in solitudine, in cui il tempo sarà lungo e il percorso incerto.
Uno scontrarsi continuo con l’attrito che dà la terra, un lasciarsi andare continuo all’elevazione che dà la terra.

E’ una legge scritta in ogni cosa di questo mondo, perché chi non lotta per qualcosa, per andare verso qualcosa, per abbracciare qualcosa, ha già comunque perso. E anche se la fatica, in questo primordiale muoversi e trascinarsi, fuori dall’accoglienza del dondolare e del lasciarsi nuotare, fa tremare il sangue nei polsi, chi lotta per qualcosa, verso qualcosa, non sarà mai perso.
Allora impariamo che dal dondolare, dal rotolare, nasce lo strisciare, nasce quell’animale primitivo che dall’acqua conquistò la terraferma.
Giochi e gesti e movimenti fondamentali per conoscere le origini. Per avere la forza, quella dentro, l’elasticità, quella dentro, di avviare il processo che ci porterà ad alzarci, ci porterà in piedi.

Dobbiamo fare i conti con lo spazio che abbiamo attorno, ambiente che è anche resistenza al nostro attraversarlo, è raccogliere le forze agendole contro forze esterne. E’ accogliere, con il primordiale, il primitivo, quel dio Pan che è maestro selvatico dei nostri istinti, la necessità di farsene forza per abbracciare invece potenti sforzi ritmici. A partire dal centro del corpo, bacino e torso, vero la periferia, in una dialettica relazione di sostegno e scontro con la terra. Muoversi a terra, con e contro la terra. Altrimenti, come mai faremo ad imparare ad alzarci e poi a muoverci sulle gambe?

E questi primi gesti incerti, faticosi ed affaticati, sembrano quasi agire da soli e divenire movenze libere e compiute. Paiono prefigurare, anticipare, un elevarsi ed un andare lontano. Paiono sabbia mossa dall’acqua, in attesa di essere plasmata da mani abili per divenire figura compiuta.

Ecco, un’esperienza come questa, occhi ancora dentro un orizzonte limitato, va vissuta e rivissuta più volte.
Sorta di piccolo e fragile uomo che respira dentro un universo immenso che respira a sua volta.
Perché la terra gira, gira, gira e noi su e dentro essa.





mercoledì 1 febbraio 2017

Il ritmo della spirale Cap. 1


 

 

Ho dato questo nome ad una sere di “esercizi” atti a promuovere il miglioramento del nostro agire nello spazio.
Esercizi sempre in continuo divenire, sia perché alcuni diventano obsoleti mentre altri nuovi si affacciano alla ribalta, sia perché praticandoli, come cambio io, così cambiano sensazioni e modi di agirli.
Esercizi tratti, “paro paro” o modificati, dalle mie esperienze sia di pratiche marziali che di pratiche corporee.
E, dato che io sono un ricercatore eretico mai domo e dallo “spirito ribelle”, vi è facile capire perché sopra ho scritto di “continuo divenire”. (1)
Non a caso, dopo adolescenziali intermittenti incontri con la pratica ginnica e sportiva, fu la mia prima vera occupazione professionale a farmi entrare nel mondo della “ginnastica” e della preparazione fisica. Erano i primi anni ’70 e, proprio il ruolo che professionalmente ricoprivo, mi permise studi e pratiche allora del tutto sconosciuti in Italia, misurandomi in prima persona con lo stretching by U.S.A., l’allenamento con i pesi by U.R.S.S. e D.D.R., i primi corsi di “Ginnastica per la Terza Età”, le prime sperimentazioni di Psicomotricità giunte a noi attraverso Jean Le Boulch, medico e fondatore della psicocinetica e della psicomotricità funzionale.
Studi e pratiche che, con gli anni, hanno attraversato diverse aree del movimento e della corporeità e, “mai smettere di cercare”, oggi, a oltre quarant’anni da quei primi incontri, ancora sono miei.

 

Capitolo 1: Ginnastica? No grazie, preferisco vivere e vivere bene!!

 In numerosi miei precedenti scritti, ho spiegato, da varie angolazioni, perché

la ginnastica / la preparazione fisica come comunemente intesa, sia sovente dannosa alla salute
                        e poco efficace per muoversi fluidamente e potentemente.

Dunque, a quanto lì scritto vi rimando.
by cubesona
Oggi, in questo post, voglio sottolineare alcuni errori tipici della ginnastica / preparazione fisica, aggiungendo alcuni commenti, oltre che sul “cosa” fare, sul “come”. Che, spesso, è il “come” a fare la differenza.

La premessa, anche questa scritta più volte, è che ginnastica / preparazione fisica considerano il corpo “altro” da sé, una macchina da preparare, il che è un atteggiamento quanto meno nevrotico, il viatico eccellente verso la psicosi.
Quel “mens sana in corpore sano” che già definisce una separazione per un’entità che, invece, è unica, è entità psicofisica: “Ogni fase di movimento, ogni minimo trasferimento di peso, ogni singolo gesto di qualsiasi parte del corpo, rivela un aspetto della nostra vita interiore” (R. Labàn)

Ma lasciamo alle spalle questa premessa, per altro spartiacque tra meccanici del corpo e del movimento e artisti / autori di sé corpo, sé movimento, per mettere il dito su alcune grossolane piaghe nella pratica dei primi.

-       Avete presente quella bella sfilza di macchine luccicanti che fanno tanto “Gym” e che, per lo più, hanno sostituito l’uso dei pesi?
Ebbene, usare quelle macchine altera il modo in cui il corpo si muoverebbe in situazione “naturale” e riduce la gamma di movimento, ovvero impedisce il naturale e corretto flusso dell’azione, in cui l’ordine nel quale le parti del corpo si mettono in movimento ne stabilisce correttezza ed efficacia / efficienza.
Questo limita fortemente la capacità di attivare completamente tutte le fibre muscolari, il che significa meno combustione di grassi e meno definizione muscolare. Peggio ancora, le macchine possono causare sforzi eccessivi per le articolazioni, a loro volta causa di lesioni durante l’allenamento.
E’ fondamentale che gli esercizi permettano al corpo di muoversi naturalmente con tutta la gamma di movimento che gli è propria, in modo da incidere sul metabolismo e tonificare tutto il corpo.
Seduti sulle macchine, non si utilizza la muscolatura profonda, quella deputata all’equilibrio del corpo, quella che, in realtà, è il motore primario, con il sistema articolare, di ogni nostro gesto.
Eppure un meccanico d’auto sa che la potenza del motore va sempre rapportata ad ammortizzatori, telaio, carrozzeria, pneumatici; possibile che questi “meccanici del corpo umano” non sappiano che le diverse qualità di sforzo (per riferirci a Labàn) risultano da una composizione interiore (conscia o inconscia) verso i fattori dell’agire: peso, spazio, tempo e flusso?
Capisco che ai cultori dell’estetica, degli addominali a “tartaruga”, dei bicipiti gonfi e del petto a “tacchino”, non importi nulla di essere fluidi ed efficienti mirando, invece, a rientrare a pieno titolo nei canoni estetici comuni, atti ad attirare le attenzioni di allegre fanciulle, anche loro provviste di un bell’intreccio di muscoli per cui sarebbe facilissimo scambiare un loro braccio o una coscia per un arto maschile ( tanto ambedue, maschi e femmine, sono avidi cultori della depilazione !!) ma chi si allena sulle macchine per ottimizzare le sue performance sportive che senso dà alla nozione di peso “the only thing they're good for is for sitting down while you tie your shoes or catch your breath!” (così scrive Shin Othake, strength coach, Fitness & fat Loss expert), spazio e tempo e flusso?
Insomma, se proprio volete fare ginnastica, almeno usate i pesi !!
Alcuni moderni cultori di ginnastica / preparazione fisica, hanno fatto un ulteriore passo avanti, propugnando l’uso di kettlebell e, addirittura, sacche riempite d’acqua. Sono piccoli attrezzi che, per come sono fatti, impongono una continua ricerca dell’equilibrio migliore durante la pratica ginnica, ovvero un coinvolgimento sia della muscolatura profonda sia di una più estesa gamma di muscoli.
Che ne penso? Ottimo, appunto un passo avanti. Fatto salvo che il “come” dell’utilizzo è totalmente, a dir poco, rivedibile, e che tale innovazione era già nella pratica marziale di qualche secolo fa: sarebbe bastato dare un’occhiata al passato per capire e modificare la stupidità del presente. D’altronde, chi pratica con me in Dojo, ha già fatto esperienza delle taniche riempite d’acqua che fanno parte degli strumenti della mia formazione marziale.

-       Avete presente tutti quegli esercizi fatti per isolare un singolo muscolo, tipo, - andiamo di inglesismi che fa tanto yankee e cool -, curl per i bicipiti e dips per i tricipiti? Ecco, servono a poco, non portano risultati significativi. Ogni ripetizione che fai, agisce semplicemente su quel muscolo non stimolando le fibre muscolari abbastanza per costruire massa muscolare magra o consumare abbastanza energia per massimizzare il tuo bruciare calorie.
Se vuoi costruire massa muscolare magra mentre bruci i grassi in modo da poter realmente definire la muscolatura, quel corpo dai muscoletti in evidenza che fa tanto figo, è necessario eseguire esercizi che stimolino il maggior numero di muscoli e, allo stesso tempo, facciano consumare quanta più energia possibile.
Tanto più che i muscoli generatori di ogni movimento stanno nella zona pelvica, mentre i muscoli delle membra semplicemente posizionano le ossa in modo tale da permettere la trasmissione della forza motoria, dunque il loro compito è indirizzare il movimento, non produrlo.

-       Ripetere gli stessi singoli gesti come la stessa routine più e più volte, è un modo sicuro per non ottenere risultati.
Queste pratiche, vere e proprie stereotipie dal sapore ossessivo compulsivo, presenti, ohibò, anche nelle pratiche marziali più diverse (disgusto !!), saturano l’attenzione, divengono sfondo indistinto ed inarticolato; fino a occupare tutto lo spazio della coscienza divenendo ossessione, possessione (ob – sessus: posseduto). La ripetizione fa perdurare nel tempo e prolungare nello spazio un gesto, un’espressione di per sé limitati nel tempo e nello spazio, è “immobilità nel movimento” (I. Fonagy, filosofo e linguista), Ossia una stereotipia è un muoversi continuamente per restare sempre nello stesso punto, nella stessa posizione o situazione.
Quelli che praticano spinning, sudano, si arrabattano pedalando in bici per stare sempre sullo steso posto, ne sono l’esempio grottesco più palpabile. Un po’ come un continuo e ripetitivo andare su e giù non solo là dove ... la fantasia non va oltre la propria mano, ma pure senza mai raggiungere l’orgasmo!!
Poi, il nostro sistema nervoso, il corpo, hanno una notevole capacità di adattarsi rapidamente e quando lo fanno, quando hanno “imparato”, procedono “di conserva”, non solo senza aggiungere alcuna informazione in più, ma, progressivamente, rilasciando e rifiutando quanto precedentemente appreso.
Chissà quale sorta di narcisismo maligno impera in tutti questi atleti, ginnasti, frequentatori di palestre, dediti alla coazione a ripetere. E magari si lamentano di avere, professionalmente, un’occupazione lavorativa ripetitiva !!

E il “come”?

Il “come” vuole, per restare nei limiti del gesto, della gestualità, il togliere e non il mettere, il sottrarre per aggiungere, il vuoto per avere il pieno.
Oggi vi farò un nuovo esempio: i piegamenti sulle braccia.
Quelli che abitualmente vengono chiamati “flessioni”.
Mi permetto: se un vostro docente, che so, vi invita a “sciogliere le articolazioni”, controllate il suo curriculum di studio e le sue pratiche sportive, potreste avere l’amara sorpresa di avere di fronte un tizio formatosi alla scuola alberghiera, o fanatico di qualche reality di cucina, più avvezzo a trattare di burro da sciogliere in un pentolino che di articolazioni da mobilizzare.
Dunque, per spiegarmi meglio, faccio notare che trattasi di “piegamenti sulle braccia”, non “con le braccia”.
by cribin
Allora, una volta proni al suolo, non premete con le mani / braccia contro il suolo (piegamenti con le braccia?) ma portate i gomiti per fuori dietro e…  vi solleverete “sulle braccia”. Sentirete lavorare principalmente i muscoli della schiena.

Anche perché, un buon albero, ha prima di tutto radici profonde che attingano dalla terra, chioma ben protesa in alto verso la luce, tronco dritto e irrorato dalla linfa e, di conseguenza, dei gran bei rami. (Vedi anche il mio “Contatto”, acquistabile direttamente attraverso questo blog).
Anche perché è questa prassi quella attenta al tessuto connettivo (2). Esso avvolge muscoli e organi – ossa, nervi ecc - tessendo una trama protettiva, detta fascia, che attraversa l’organismo tutto e che consente, con la sua elasticità, l’annullamento di ogni frizione e, con la sua coesione, il contenimento direzionale del movimento.
Il tutto, prevede un autentico lavoro interno, dove per interno intendiamo, indissolubilmente, muscolatura profonda e articolazioni e organi e viscere, pratica sensomotoria di un essere fisicoemotivo:
L’essere umano è una unità psicofisica indissolubile, pur nell’articolazione delle funzioni vitali. Il corpo è un’unità inscindibile che genera in se stessa il proprio ‘senso’. Nella nostra cultura è radicata una concezione dualistica Corpo / Anima, Soma / Psiche; costretti a muoverci in questa cultura, useremo il termine ‘Corpo’ non come entità distinta e opposta ad ‘Anima’ (o Spirito) ma come ‘aspetto’ o ‘manifestazione’ dell’unità psicofisica che è l’essere umano.” (S. Guerra Lisi & G. Stefani).

 
Ai prossimi post per entrare nel cuore de
Il ritmo della Spirale”.

 

 1. “Divenire” che comporta, ahimé, grossolani errori come quello che mi ha portato, in questi giorni, ad avere un fastidioso dolore tendineo al ginocchio. Lo so che la gamba non deve mai andare in iper estensione, con buon pace dei vari fanatici dello stretching; ma qui l’esercizio non avrebbe contemplato una iper estensione… non avrebbe … ma io l’ho fatta e ripetutamente. Va bene, impariamo dagli errori, modificando il tragitto di quell’esercizio, curando attentamente ogni piccolo gesto quotidiano a partire dal camminare per non sovraccaricare il ginocchio, affinché il “guasto” scompaia e intanto non mi impedisca di continuare il mio regolare percorso formativo.

 
2. “Le potenzialità della Fascia sono al centro delle ricerche e delle pratiche sportive di ogni tipo, dal calcio al golf fino al basket. Uno dei connubi più famosi in tal senso è quello voluto dal capo fisioterapista della nazionale tedesca di calcio Klaus Eder, che da decenni sta ottenendo risultati impressionanti grazie al suo lavoro sul tessuto connettivo.
Kristina Rothengatter, giocatrice professionista di golf, racconta così la sua esperienza: ‘Volevo diventare più mobile nelle articolazioni dell'anca e delle spalle per poter colpire più forte la pallina. Per questo mi sono rivolta ad un allenatore Fasciale’”
(in Focus Germania 7.11.2015)