martedì 26 febbraio 2013

32° Kangeiko – stage invernale –


Febbraio 2013. Agriturismo “Il Palazzino” Maserno – Montese (MO)

Non importa soffrire, tanto più che proverai gioie intense. Quel che importa è non mancare la propria vita”.
(S. Weil)

Ogni volta che ci alziamo dal letto, dopo la dormita notturna, è un “ricominciare”. Magari lo facciamo “in automatico”, come trascinati da un tran tran ( un “copione”) che ci pare scritto da altri e non creato ed interpretato, di giorno in giorno, da noi stessi.
Lo facciamo e basta, inerti detriti trascinati dalla corrente. Oppure ci aggrappiamo ad un domani, ad un evento che accadrà domani in attesa del quale ( aspettando Godot ?) sopportiamo il quotidiano succedersi di cose ed incontri che nemmeno ci appassionano e, forse, nemmeno ci appartengono.
Ecco, scegliere il Kangeiko, lo “stage invernale”, è certamente un atto di coraggio. Un prendere, per una volta, coscienza di quel che siamo e facciamo.
Altrimenti, che ci faremmo alle 07.00 del mattino, a praticare i fondamentali del Tai Chi Chuan  a meno 2° ? Che ci faremmo, sotto la neve che fiocca ininterrottamente e su cui sprofondiamo fino alle cosce, a misurarci col Kenpo prendendoci a bastonate e pugni e spintoni ?
No, non è temerarietà, nemmeno machismo, neppure masochismo. Nulla da dimostrare né mostrare.
Solo il coraggio di entrare a viso aperto nel “qui ed ora”, magari mettendo in discussione, con la propria di vita, anche quell’ambiente sociale, culturale ed economico in cui viviamo.
Il coraggio di ascoltare la natura in un contesto dove la mano umana, pur presente, non ne ha distorto ed offeso l’intima essenza. La natura, folgorante ed intenso luogo di accoglienza. Essa si concede in una vita vissuta che solo la pratica marziale sincera, laddove combatti per non morire e non certo per tonificare il fisico o vincere una medaglia, conosce nella sua purezza intatta. Nulla di essa appare invano, tutto ha un suo peculiare modo di apparire ma anche di sprofondare nell'invisibile. Un darsi, un comunicare inesauribile che coinvolge e suscita tutto il nostro essere, sensi ed immaginazione, cuore e respiro.
Si possono e anzi si devono sognare altri mondi, ma il cuore ci insegna che dobbiamo respirare nel mondo in cui ci troviamo” (C. Riva in “Conflitti” 2013 a. 12 n°1).
E questo, immersi nella neve, è il nostro “qui ed ora”, il nostro precario e per niente sempiterno mondo. Un mondo, personale e collettivo, in cui ascoltare il nostro respiro: inspirare ed espirare, ovvero stare fermi ed agire, accogliere e dare. Un altalenarsi, un incontrarsi e scontrarsi di ascolto ed azione,
Per una volta, per due giorni, a prendersi cura di sé e di chi ci sta accanto, a immergersi nel creato, anche nelle sue manifestazioni più violente e inospitali.
Ognuno di noi guerriero del Kenpo, povero e forte insieme della propria fragilità umana, energico ed entusiasta, generoso e propositivo; ognuno a suo modo  cogliendo il ritmo delle cose e della vita.

“Io ritengo che sia necessario ritrovare ciò che appare  fondamentale nella vita di un uomo, una tensione spirituale continua nel corso degli eventi quotidiani, la tensione tipica di colui che sa attendere con animo vigile il momento del pericolo”
(Y. Mishima “Lezioni spirituali per giovani samurai”)














venerdì 15 febbraio 2013

La festa di Biagio


“Nessuno può vivere senza il piacere”
(san Tommaso d’Aquino)

Sì, proprio il nostro Biagio. L’allievo che, con Claudio, mi accompagna nel percorso marziale dai tempi dell’Umanitaria. L’allievo che, giunto allo Z.N.K.R. alle soglie dei cinquant’anni, ne ha compiuti ottanta a Febbraio. E li ha voluti festeggiare insieme a noi, a noi tutti suoi vecchi e nuovi compagni di viaggio. Così ci ha invitato alla “Taverna degli amici”, godibilissima trattoria in zona, perché insieme facessimo festa.
Una bella ed allegra tavolata. Discorsi seri e “cazzeggio” si sono intrecciati; praticanti di lunga data come i Maestri Giuseppe e Massimiliano e praticanti da un paio d’anni come Luigi e Roberto; Angelica, ovvero la nipotina di Biagio, e mio figlio Lupo; compagne dei praticanti, come Monica e Carla, insieme alla famiglia di Biagio e Michele, suo figlio, anche lui praticante di “lungo corso”, dal 1984.
Grazie Biagio, cintura nera 3° dan. Grazie di esserci stato e di esserci tutt’ora, col tuo immancabile gi bianco ed i piedi scalzi, i tuoi pugni ficcanti ed imprevedibili, la tua voce seria e la tua passione profonda. Sempre presente, sempre attento ed impegnato: esempio ferreo per chi è arrivato ed arriva in questi anni. Nuovi praticanti che portano con sé, spesso, una gracilità d’intenti ed una presenza discontinua la quale stona con l’impegno che una radicale pratica marziale chiede per offrire, in cambio, crescita e maturazione adulta.
Grazie di cuore, allievo ed amico Biagio.













martedì 5 febbraio 2013

Elogio dell’assassino ( e dell’artista )


Tameshigiri = test di taglio di un katana

Il Tameshigiri è pratica  fisica e concreta. Non è imitazione del tagliare l’avversario, Tameshigiri è un mezzo per riproporre il tagliare l’avversario. Ciò che avviene, deve avvenire realmente, in quell'istante, deve essere reale.
Per questo il praticante sceglie di dare la morte ad un altro essere vivente. In questo senso il praticante è crudele, Dal punto di vista dello spirito crudeltà significa rigore, applicazione e determinazione implacabile, irreversibile, assoluta. Come scriveva Antonin Artaud: “E' un errore attribuire alla parola crudeltà un senso di spietata carneficina, di ricerca gratuita e disinteressata del male fisico".
Crudele, assoluto, perché, con un gesto, spegne una vita.
Questa decisione “ Tu muori, io vivo”  fa sì che il praticante sia presente nel “qui ed ora”, un essere fisicoemotivo, perché ciò che vive lo vive davvero, non finge. L'azione che compie in tali condizioni è quindi un'azione liberamente scelta, intesa come condizione che realizza la piena coincidenza di volontà e azione: “La vita umana è strutturata in modo tale che soltanto guardando in faccia la morte possiamo comprendere la nostra autentica forza e il grado del nostro attaccamento alla vita
(Yukio Mishima ‘Lezioni spirituali per giovani samurai’)
Il Tameshigiri, come noi lo intendiamo, affonda nelle pulsioni primitive, nell'inconscio, conduce a stati di coscienza espansa,  così che il gesto esteriore del tagliare rivolti l’habitat interiore del praticante.
La violenza dei sensi ha il sopravvento e la percezione dell’atto comunica qualcosa di nascosto e sotterraneo.
Esso è pratica terapeutica, è  ascolto delle sollecitazioni che giungono dal profondo, è porsi  dinanzi alla nostra più profonda  natura accettandone le mille voci contrastanti, accettando la potenza illimitata di Eros e Thanatos, accettando di convivere con le parti Ombra.
Viviamo tutti con il desiderio di sopravvivere ed evitare per quanto possibile ciò che è marcio, sporco, triste, tutto ciò che simbolizza la morte” ( C. Madanés ‘Amore sesso e violenza’)
Ma crescere, diventare adulto autodiretto, guerriero ( colui che sa stare nel confliggere), è contattare quell’area critica che possiamo chiamare limite ed affondarci le mani dentro.
Yukio Mishima
L'obiettivo del Tameshigiri non è tanto il successo nel taglio, quanto  la consapevolezza, il contatto totale con l'istante presente ed irripetibile. Il gesto fisico, attivando forze e pulsioni profonde, emozioni ( emos = sangue e mozioni = modificazioni),  si fa beffe di ogni forma e codificazione formale per creare  realtà.
Sarà, poi, il trancio di stuoia stesso a dirci della veridicità profonda e liberatoria del gesto: se il trancio resta un istante, incredibilmente lungo, lì fisso, ancora prolungamento della stuoia tutta, poi cade giù in verticale ai piedi della stuoia, perfettamente pulito e nitido nella sua superficie di stacco, ecco questo ci dice che il taglio è riuscito. Il praticante è stato letale e crudele, ovvero sincero con se stesso ed i “mostri” che lo abitano. Altrimenti … altrimenti il percorso che lo attende non solo è ancora lungo ed irto di insidie come per chi ha tagliato di netto, ma, forse, ancora egli non ha davvero deciso di denudarsi di ogni orpello, di gettare la maschera, e mettersi in cammino:
"Se sono un poeta o un attore non lo sono per scrivere o declamare poesie, ma per viverle. Quando recito una poesia non è per essere applaudito, ma per sentire corpi d'uomini e di donne - dico corpi - tremare e volgersi all'unisono con il mio". (A. Artaud )
Abbiamo intrapreso questa azione spinti dall'ardente desiderio che voi, che avete uno spirito puro,
possiate tornare ad essere veri uomini, veri samurai!”
( Yukio Mishima, letto il 25 novembre 1970, pochi istanti prima di fare seppuku, togliendosi la vita )



Lama Danzante

venerdì 1 febbraio 2013

Le braccia mie e le braccia tue; le emozioni mie insieme alle emozioni tue


“Perciò un buon maestro, o, più precisamente, una guida, considera ogni studente individualmente e aiuta a risvegliare in lui la voglia di scoprire se stesso, dentro e fuori, e fondamentalmente a integrare le diverse parti di se stesso”
by Omeg
(B. Lee)

Il Chi Sao è un’area della pratica del Wing Chun
Chiamato in altri modi, è terreno di pratica anche in altre Arti Marziali, tutte attente al lavoro di contatto a corta / media distanza.
Due caratteristiche della pratica Chi Sao, qui voglio brevemente affrontare.
La prima è capire cosa accada nello “scambio di braccia incollate” ascoltando con tutti i sensi come  la cosa stia accadendo.
by Krenx
Questo significa, nell’agire, avere la consapevolezza di quel che io sto facendo insieme alla capacità di capire cosa sta intanto facendo l’altro, unita alla capacità di intuire cosa l’altro sta capendo di me.
Tre “voci” indissolubilmente legate e contemporanee. Per le quali occorre sviluppare empatia ( capacità di ascolto ) ed anche simpatia. Simpatia come coinvolgimento totale nello scambio, emozionandosi con l’emozionarsi del partner.
Questo toglie spazio al pensiero unilaterale, quello che agisce un’unica conclusione possibile., aprendosi invece ad un pensare ( ed agire) multifattoriale. Quest’ultimo, nel reciproco ascoltarsi, accede ad una varietà di scelte, in termini di vantaggi / svantaggi, prontamente offrendosi al mutare della situazione.
Poiché il tutto avviene in un contesto fortemente emotivo e temporalmente rapido, il praticante ha da affidarsi a tutte le potenzialità del cervello:
il tronco encefalitico ( cervello rettile), cui spetta, tra l’altro, presiedere il livello generale di attenzione e notare le informazioni sensoriali in entrata;
il cervelletto, che sovraintende al movimento nello spazio;
il sistema limbico (cervello mammifero), che è coinvolto in tutte le emozioni primordiali, quali, per esempio, l’autodifesa, o, per dirla all’inglese: “feeding, fighting, fleeing and fucking” (mangiare, combattere, scappare e copulare) come ebbe a definirle lo psicologo statunitense Robert Ornstein.
Una pratica che, certamente, non si sviluppa ripetendo sequenze di movimenti da memorizzare o risposte univoche a domande “chiuse”, come avviene nelle “sezioni” così in auge presso diverse correnti di Wing Tsun / Wing Chun: “tu spingi così, io reagisco cosà”. (1)
Una pratica che, invece, si sviluppa attraverso l’attenzione a quel che faccio e come lo faccio; dove mi muovo e come valuto il mio ed altrui spazio vitale;  quali emozioni attraverso e come influenzano il mio agire; qual è la mia attitudine interna mentre cambio la mia forma / struttura corporea. Il tutto, in una frazione di secondo che … piovono cazzotti !!
La seconda è la distanza spaziale da prendere nel Chi Sao. Scritto così pare una sciocchezza, ma vedo spesso praticanti che duettano a braccia tese o praticanti che si allacciano rapidamente in un grappling forsennato.
La distanza equilibrata, in realtà, è figlia di criteri legati all’area emotiva ed alla capacità di non subire l’evento (reagisco), quanto  di interpretarlo per modificarlo (agisco). Questa capacità si realizza nel saper gestire ansia da prestazione, voglia di fuga o, al contrario, voglia di uno sfogo immediato, permettendo, invece,  di costruire uno spazio – tempo adeguato a capire cosa sta succedendo e ad intervenire.
Il conflitto presente in ogni relazione, dunque anche nel Chi Sao, che si svolge così …. a contatto !!, presenta sia aspetti evidenti, presenti in superficie, sia aspetti  sotterranei, profondi, interni …
L’incapacità di mettersi ad una distanza adeguata al conflitto Chi Sao, ostacola l’accesso a questa  parte nascosta, sotterranea, per cui risulta ben arduo non sbattercisi contro.
Che si tratti di braccia iper tese o di braccia che subito si avvinghiano,  esse mostrano l’incapacità di saper stare nel conflitto, volendosene estraniare che sia tenendosene alla larga o che sia  volendolo risolvere in fretta. 
by darkuitar 3000
La tentata soluzione ad ogni costo, che sia reagendo all’azione altrui o prendendo “di petto” la prima soluzione che si vede, non solo depotenzia gli aspetti formativi del Chi Sao: coniugare le reciproche risorse e scarsità per costruire possibili soluzioni, ovvero la spinta al dialogo, alla cooperazione, ma pure quelli immediatamente più palpabili “ne prendo meno di quelle che ti do”.  Perché solo se so quello che faccio e come lo faccio, sarò regista del film che è lo scontro fisico. Altrimenti agirò alla cieca, sperando nel “colpo della domenica” (2), sperando che nel caos della zuffa, i miei cazzotti centrino l’altro prima che lui centri me.
Allora, buon scambio, buona relazione Chi Sao a tutti !!

“… solo chi sa combattere può non combattere e chi non sa
combattere può solo farsela addosso (…) Le masse irresponsabili sono
invitate a “non uccidere” perché il potere abbia vita facile (…)  ma
nella realtà bisogna saper uccidere per cercare di non uccidere
più. Si, nel Judo io insegno a combattere e simbolicamente ad
uccidere, ma intanto insegno anche un principio morale”
(C. Barioli)

1.     La domanda chiusa ( “Ci vediamo alle 15.00 o alle 17.00 ?”)  richiede in linea di massima un sì o un no, essa  non dà molta libertà di scelta e quindi offre  poche opportunità di intervento.
La domanda aperta (“Quando ci vediamo ?”), invece, permette al praticante non solo di rispondere in base ai propri tempi quanto di lasciar emergere una vasto arco di azioni / emozioni. Questo, a livello strettamente combattivo, consente di vagliare e scegliere tra strategie e tattiche, di volta in volta, le più appropriate. Inoltre ( ed è quello che più mi interessa in ambito di formazione al confliggere quotidiano)  “… prendiamo coscienza delle emozioni attraverso il corpo, perché è attraverso le sensazioni del corpo che le registriamo e le rievochiamo. Ne consegue che, parallela a una semiotica del corpo rivolta verso l’esterno, c’è una semiotica rivolta verso l’interno che struttura l’Immagine di sé” (S. Guerra Lisi & G. Stefani: Il corpo matrice di segni”)
2.     Si intende per “colpo della domenica”, il gesto che arriva allo scopo del tutto casualmente, privo di consapevolezza o strategia. Certo … fa comunque male e, a volte, è risolutivo !!