mercoledì 28 ottobre 2015

Incanti e incantesimi nascosti


“Vi sono state date in dono due estremità: una perché vi ci sediate sopra e l’altra da utilizzare per pensare. Il successo nella vita dipende da quale delle due avrete utilizzato di più”
(A. Landers)

 
De Amicis 17. Primo cortile

A volte mi pare un sorso d’acqua tra le dita, scivola via e niente e nessuno potrà fermarlo.
A volte, basta aprire una porta, svoltare un angolo e l’incanto appare.
Anche in una Milano che dicono grigia e brutta, anche in una Milano che io so grigia e brutta.
De Amicis 17. Secondo cortile
Eppure, io non voglio mai riempire i miei occhi di quei sogni che non sanno emozionare. Così, e nulla accade per caso, dietro ad un portone varcato per obblighi burocratici, associativi, un po’ rivedo un po’ scopro dal nulla angoli ed ombre, alberi e prati, bianchi muri lisci e resti archeologici di quanto le mani dell’impero romano costruirono qua, duemila anni or sono.

Incanto di pace, incanto di un passato lontano, remoto, a ricordarmi di essere solo un granello di sabbia nel deserto sterminato, ad ammonirmi che nessuno è invulnerabile ma anche a mostrarmi che ogni granello, insieme al vento, può spostare paesaggi, ogni granello può ospitare scorpioni velenosi e rivoli d’acqua sotterranei.
Mai sottrarsi al proprio impegno, alle prove di audacia, disposti a chiedere al meglio del proprio cuore
De Amicis 17. Parco dell'anfiteatro romano
una guerra di coraggio e dignità.
Incanto di angoli quieti e nascosti, dietro un anonimo portone di legno, mentre fuori stridono i freni e lacerano l’aria i catarrosi motori di una Milano rampante e sempre affannata.

Basta aprire una porta, anche piccola e sconosciuta, come la nostra, dello Z.N.K.R., per scoprire un  minuscolo mondo di uomini in lotta. Uomini guerrieri che ne fanno di strada, lasciando una ginnastica d'obbedienza per un gesto semplicemente umano che ha il sapore della violenza, dentro e fuori.
Spirali di gesti, incanti trovati che sottendono pratiche dimenticate  di incantesimi che si fanno sempre più ampi e profondi. Impossibile comprenderli tutti, forse nessuno mai comprenderà chiudendolo l'ultimo, ma ogni guerriero ci vuole provare.
Anche se l’acqua da nulla si fa imprigionare e ovunque fugge, lasciando solo flebili tracce che il tempo nasconde e scompare, lasciando solo dita di uomo protese nell’aria.

Ah, è cosi bello aprire una porta o un portone, dentro questa città di cemento a scoprire mille cuori ed affetti e ricordi ancora pulsanti; aprire una piccola porta di scuro legno e scoprire che ognuno può lottare per svegliarsi dal sonno, spezzare il “pensiero unico” e vivere.
ZNKR Kenpo Taiki Ken

 
“Quando mai si pretenderebbe da un cigno una delle prove destinate al leone? In che modo un brano del destino di un pesce si inserirebbe nel mondo del pipistrello? Pertanto fin da bambino credo di aver pregato soltanto per la mia difficoltà, che mi fosse concessa la mia e non, per errore, quella del falegname, o del cocchiere, o del soldato, perché nella mia difficoltà voglio riconoscermi”
(R.M. Rilke)

 




ZNKR Wing Chun Boxing

lunedì 26 ottobre 2015

Un grande dono


Seminario Kenshindo. Sabato 24 Ottobre

 

“Tutti coloro che ascolteranno le nostre grandi gesta si interrogheranno e diranno, pienamente convinti, che nella lunga storia della nostra lotta questo è stato il periodo migliore”
(S. Scarrow)

 
Il clan guerriero
Star dietro alle cose della Scuola, la nostra Scuola, è diventato sempre più difficile.
Tanta passione, e sudore e fatica e sorrisi e imprecazioni e incontri che diventano scontri per poi tornare intensi ed emozionanti incontri, è stata diffusa tra la distesa colorata dei tatami e le calde tonalità del canniccio.
Tuttavia, né l’amore per l’Arte né l’impegno costante, quotidiano, sono riusciti a far sì che degli allievi che se ne andavano, altrettanti ne prendessero il posto, a nascondere i vuoti, sempre più numerosi, nella fila al saluto.
Eppure, ancorché pochi, pochissimi, ogni sera come ad ogni Raduno o Seminario, noi ci siamo.

Gekken
Baluginare d’acciaio, per corpi che scivolano tra le trame fitte del sole e le chiazze d’ombra; fruscio di hakama, la lunga gonna del samurai, a segnalare il pericolo e l’agguato.
Un cammino senza posti definiti in cui andare, a prendere soltanto il primo viottolo e chissà dove ci porta.
Consapevoli che siamo chi siamo, ora, ma chissà cosa resta di noi, cosa resta dopo aver sfoderato l’acciaio, dopo aver masticato il dolore e la gioia, dopo aver simulato uccisioni e ferite mortali.
Praticare comunque è gioia, anche nei fendenti che sibilano nell’ampia sala del dojo, nelle falciate ascendenti in cui il kissaki del katana punta dritto verso le vetrate malamente rattoppate eppur degnamente dipinte dal nostro Giovanni.

Kenshindo, la “Via dello Spirito della Spada”.
M° Giuseppe e sullo sfondo Donatella

Certo, come fai a spiegare al curioso di turno che impegni tempo, energia e soldi ad impugnare una sciabola come se fossi un guerriero del medioevo ? Che, nel rapido ed elegante sfoderare, preludio alla morte certa tua o degli occhi e del respiro che hai di fronte, convivono, alchimia folle e grottesca, il sorriso del bambino e la crudeltà dell’assassino ?
Quante volte abbiamo attraversato il confine tra l’abitudine umana e l’attitudine predatoria, quante volte ancora lo passeremo, qui o altrove, scoprendo senza sorpresa che ogni volta è un colpo all'anima, uno strappo al cuore.

Lama Danzante
Le stuoie di paglia, corpi anonimi di anonimi “nemici”, davanti ad ognuno di noi. Dolorosa ed insieme inebriante capacità di riconoscere, in ognuno di essi, la parte più tetra, più malamente ingombrante, di ognuno di noi. Tameshigiri, il taglio della stuoia, come apice, come apoteosi, di una pratica marziale che è terapia di conoscenza ed individuazione, che è crescita adulta.

Sapore amaro certo, sapore di fatica dentro, ma, insieme, mai disgiungibile, gusto vivace di vivere, di libertà, di scambio tra esseri umani vivi. Di piacere e financo divertimento. Per uomini e donne che non sono né santi né asceti, apprezzano la buona musica ed il buon bere, qualche volta mentono e altre ficcano il naso in faccende non loro, sanno distrarsi per un nonnulla e scorreggiare vergognandosene un poco, affollano rumorose tavolate al ristorante e visitano città d’arte. Come te, come tutti. Solo che, andando e venendo, fermandosi e ripartendo, cercano un senso al proprio esistere al mondo, un senso che, a volte sorridendoci altre facendosi malamente beffe di noi, alla fine è tutto qua, in questo stare qui e ora.

Silvano e l'acciaio
 “Non possiamo indurre deliberatamente il cambiamento, né in noi stessi, né negli altri. Questo è un punto decisivo: sono molti quelli che dedicano la propria esistenza a realizzare una loro concezione di come ‘dovrebbero’ essere, invece di realizzare se stessi”
(F. Perls)

Tra uccisioni e ferite





 

mercoledì 14 ottobre 2015

Le parole che danzano


Martedì 13 Ottobre, in Dojo

 E’ festa. Piccola, tra pochi, ma sentita.
C’è, tra di noi, chi ha ormai cuore e corpo nel passato e chi sta dritto nel presente.
Non so, nessuno di noi sa,  quanti dei presenti siano guerrieri del quotidiano vivere e quanti restino a guardare il tempo che scorre loro tra le dita, e a me non importa niente di saperlo.

Qualcuno riempie i bicchieri di vino e io invito a berlo.
Forse, nessuno di quelli che lottano e cadono e si rialzano e sono qui a festeggiare un passaggio di grado, uno scurirsi di cintura, è tipo da accostarsi facilmente alla felicità. Però, guardandoli negli occhi, una voce dentro mi dice che qui, allo Z,N,K,R,, tra pugni e cozzar di acciaio, hanno potuto scoprire  che sta a solo a loro non cadere nel tranello, nelle fauci sporche del mostro che li invita, una volta loro davanti, anziché a combatterlo e a cominciare daccapo se occorre, a colludere con lui, a divenire come lui.
Loro hanno imparato che vivere è ottenere il meglio da ciò che incontri lungo il cammino, perché un uomo che non sia contento di ciò che ha, probabilmente non lo sarebbe nemmeno di quello che non ha. Poi, solo poi, può voltarsi altrove e lottare per altro.
Non so, tra chi oggi è qui e chi da tempo se ne è andato, sovente inanellando scuse e piccole bugie e rinviando un confronto franco prima di tutto con se stesso “mi sto attrezzando per venire”, “fra tre mesi riprendo”, “ mi prendo un anno sabbatico”, “non ho i soldi né il tempo”, soffra  quel buio che ha preso il posto del coraggio di vedere, di ascoltare, di lottare.
So che qui insegniamo, se mai si possa insegnare, a non parlare sotto voce o nel chiuso delle stanze, ma a cantare di libertà e lotta e guarigione.
Mentre Annalisa sorride lieta e Davide e Celso se la “contano” alla grande, gli altri attorno, la bocca piena e il bicchiere anche, mi chiedo come sia accorgersi di non sapere dove andare quando il mondo ti sembra darti addosso e tutti attorno a te ti chiedono di tirare fuori gli “attributi”, le palle. Come sia sapere, perché ogni uomo lo sa, che non si vincono le battaglie, gli scontri, i drammi, che si vogliono perdere.
E, forse, è questo il grottesco paradosso di questo nostro praticare, sempre in meno eppure sempre più coraggiosi e decisi.
Anche perché, suonerà sprezzante ai più ma io ci credo, solo ai lottatori, ai guerrieri, è concesso essere generosi.

La serata si chiude, raccogliamo piatti e bottiglie ormai vuote.
Ognuno per la sua strada. Ognuno, ne sono certo, sa come e dove sta andando. Ognuno, col permesso accordato dal proprio destino che invero sta costruendo con le sue stesse mani: “Gli essere umani non sono semplicemente codardi o eroi, si è entrambi e nessuno dei due a seconda delle circostanze. A seconda di chi è dalla tua parte, di chi invece è contro, a seconda della vita che hai vissuto. A seconda della morte che intravedi in attesa” (J. Abercrombie).

  
 
 
 

mercoledì 7 ottobre 2015

A spasso con l’intelligenza


Un Sabato pomeriggio, con Monica, Lupo e Valerio, suo compagno nella nuova classe scolastica,
al “Museo del ‘900”.

Lì è dove Lupo, a Settembre, ha partecipato ad un campus in cui ha girato un breve filmato https://www.youtube.com/watch?v=VZ2O85ZDB3AL’arte di uccidere
Ne è talmente stato impressionato, da averci spinto a farci una visita.
Io ricordo gli anni in cui spesso visitavo il  PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea), ma di questo “museo” nulla sapevo.

Scoperta entusiasmante.
L’edificio è bellissimo, proprio nel cuore di Milano. E un tuffo al cuore è l’aprirsi sul “Quarto Stato”, di Pellizza da Volpedo: un rimando immediato nel ventre del ’68, negli ideali e nelle aspirazioni di chi come me, ingenuamente ma animato da una passione travolgente, voleva cambiare il mondo in un paio di giorni.
Poi lo snodarsi delle sale e delle opere.

Complici le spiegazioni di Lupo, mi accosto a Boccioni. Io che non amo la scultura, mi incanto davanti a forme in movimento. Sì, i confini ci sono, certamente, ma la scultura si mostra come se fosse in movimento, movimento esterno, d’immagine, e movimento interno, di flussi e onde e spirali. Emozionante. Emozionante sentire in essa lo spirito e il fare del Tai Chi Chuan. Ecco, Boccioni sì è che è un ottimo praticante Tai Chi Chuan. Un’ottima fonte di ispirazione. Quella scultura è forma in movimento, è Tai Chi Chuan puro, semplice e bellissimo, è forma unica della continuità nello spazio.

I quadri di Morandi. Mi ricordo che tra i motivi che mi spinsero ad abbandonare la passione per la fotografia ci furono proprio loro: mi accorsi che fotografavo cercando, inconsapevolmente, di riprodurre i suoi quadri. Inconscia pretesa artistica che cozzava miseramente contro il già creato, già deposto sulla tela e con mano mirabile.

La schiera di futuristi, Giacomo Balla, Carlo Carrà, Mario Sironi, Achille Funi, Gino Severini.
Quel movimento centrato sull’intuizione che la cultura del Novecento doveva calarsi nei processi di trasformazione socio-economica in atto: industrializzazione, urbanizzazione spinta,  l’apoteosi della rapidità nei  mezzi di comunicazione come nei  mezzi di trasporto, la violenza abnorme e distruttiva delle nuove armi. Quadri, sculture, impregnati dal bisogno di agire e dalla disperata  volontà di  rappresentare il dinamismo.
Un calderone contradditorio, spesso informale, politicamente venato da un nazionalismo acceso ed interventista.
Tratteggio con Lupo qualche breve riflessione su cosa significhi imparare per poi dimenticare quanto imparato al fine di trasformarlo, perché, da un lato, ogni nuova creazione comunque eredita dal passato, non nasce dal nulla, ma, dall’altro, è necessario lasciare, abbandonare, per permettere all’uomo, all’umanità, di scoprire altro e oltre.
Credo sia il messaggio fondamentale che ogni padre debba lasciare ad un figlio. Compreso che ogni trasformazione, come ogni opera umana, non è solo “bene” o solo “male”, ma ne racchiude l’ambivalenza, ne esprime le mille sfaccettature. A partire da sé, dall’individuo stesso che non è monolitico né monade, bensì è mille diversi sé, sempre e comunque in gioco con l’ambiente e gli altri.
Un percorso artistico, qualsiasi esso sia, ne è ottima testimonianza. I futuristi, forse ancor più esplicitamente di altri. E quei quadri, quel che ricordo delle vite di quegli artisti, mi aiutano nell’educazione  del piccolo Lupo.
Compreso il dare sempre fiato, spazio, al suo gioioso istinto di sapere. Se il malessere attuale delle giovani generazioni  non risiede, come era per noi sessantottini, nell’opposizione, nello scontrarsi tra sogno e realtà, ma nell’assenza di sogno, del sognare, ogni incontro con le forme della cultura, dell’arte, può essere un’avventura, un viaggio, denso di comprensioni intellettuali quanto, soprattutto, emotive profonde ed audaci insieme. Può essere, di contro alla psico – apatia di cui scriveva Galimberti, un’esperienza di coscienza accesa.

Altre stanze, altre opere ci attendono: quelle informali del secondo dopoguerra, poi le forme d’arte dei decenni successivi, dagli ambienti del Gruppo T alla pittura analitica milanese.
Una sguardo rapido alle ultime entrate: opere pop provenienti dagli U.S.A. Ma sono solo, Monica non apprezza, Lupo e Valerio sono “ in pausa” seduti sulle seggiole. Allora un’occhiata e via. Una parte di me si lacera, occhi e cuore sulle opere di Renato Guttuso, come a dire la mia giovanile militanza, anche “professionale”, nel P.C.I., e i dibattiti sullo stalinismo e  il realismo nell’arte, un’altra si bea di fotografie ed opere di autentico stampo U.S.A. che di “artistico”, secondo l’opinione immediatamente leggibile, hanno poco o nulla. Beh, se ripenso a come è stato difficile spiegare a Lupo la “merda d’artista” di Manzoni e il suo significato nel contesto artistico del tempo.

Ancora insieme per le ultime incursioni, tra sculture e quadri spesso destabilizzanti.
All’uscita, Valerio si allontana con i suoi genitori. Noi ci aspetta la libreria Feltrinelli, opulenta e tentatrice, gravida di libri di ogni genere, ben accucciata nella galleria più famosa di Milano.

Un museo da visitare e visitare ancora. Per genitori insieme ai figli, ragazzi o adolescenti che siano. Per adulti tutti.

Per chi voglia, attraverso quadri e sculture, riandare con la memoria ai tempi in cui l’uomo scoprì il colore, imparando ad estrarlo dalle cose della natura, ad impiegarlo associandolo a valori simbolici, estetici, emozionali. Per questo l’uomo ha frantumato le terre, spremuto le piante e gli insetti, lasciando una traccia colorata della propria esistenza e della propria storia, fino ad intraprendere un percorso a volte scomposto, alienato, ma sempre riferito al vivere.
Una risposta a Jean Clair (ex direttore del Musée Picasso di Parigi e conservatore del Patrimonio di Francia, nonché direttore della Biennale di Venezia del centenario, dal 2008 membro dell' Académie Française) che scrive dei musei come di Grandi Magazzini “Depositi di civilizzazioni defunte” dove si allineano i dipinti secondo criteri cronologici e in cui  si affollano  individui solitari, che trovano nel “culto dell' arte la loro ultima avventura collettiva”.
Forse, ma forse non è così. O almeno non lo è stato per me, grazie anche all’entusiasmo del mio Lupo e di Valerio. Anzi, questa come mille altre, è stata l’occasione per confermare l’energia di un vivere e pensare e fare che è sempre e comunque vitalità, quand’anche condito di disgregazione, oscurantismo, scadenti ambizioni di marketing e di successo, modeste imitazioni e imbecilli presunzioni artistiche. Perché anche questo è l’uomo, è vivere. A ciascuno di noi, poi, la responsabilità “guerriera” di portarvi sinceramente il meglio di sé. Il futuro ci dirà se incontreremo il “sol dell’avvenire” o un apocalittico Armageddon.
Io, intanto, vivo.


giovedì 1 ottobre 2015

Il segreto del buon apprendimento



1998 Teatro Marziale
Pare che il fondatore  del coaching (1), così come arrivato ai giorni nostri, sia stato Tim Gallwey, istruttore di tennis degli anni '70, il quale si chiese cosa accadeva nella mente dell'atleta quando la palla non era in gioco e come quei pensieri avrebbero influito  sulla sua prestazione. Egli Individua così un “gioco  esterno”, quello che si vede, e un “gioco interno”, quello della mente, sviluppando delle tecniche “non direttive” che hanno lo scopo di portare  consapevolezza sul gioco interiore e affidare la responsabilità della crescita prestazionale all'atleta stesso.
Sono passati più di quarant’anni, e 2.500 circa dalla nascita di Socrate a cui dobbiamo la maieutica (2), e ancora siamo, nelle Scuola di ogni ordine e grado, nelle pratiche sportive fitness o agonistiche, nel sentire generale, a dare modelli da imitare, a considerare l’allievo come un contenitore da riempire, in un’ottica che, in linea con la società capitalista, privilegia efficienza e prestazione, l’acquisizione delle competenze come “indici subordinati al criterio acefalo della produttività” (M. Recalcati): numeri e quantità, sono i termini di paragone.

Cominciamo  con lo scrivere che, in qualsiasi ambito del sapere ci si muova, non vi sono cose come la “storia”, bensì solo storie. Che non c’è una cosa come l’ “oggettività”, bensì solo gradi diversi di soggettività; che qualsiasi cosa diciate che una certa cosa è, non lo è; che le definizioni, gli assunti, e le metafore di un individuo determinano i fatti che scoprirà; che il mondo vive un costante processo di cambiamento e che non possiamo mai “vederlo” né comprenderlo tutto; che ognuno dei nostri sensi è … un censore, e così anche ciascuna delle nostre frasi e interpretazioni.
Banalmente, consumo e di nuovo consumo tempo ed energie per spiegare, ogni volta, a mio figlio Lupo che non esistono i valori assoluti: “Torino è distante da Milano ?  Dipende. Lo è più di Abbiategrasso ma meno di Parigi. Se ci vai in Mercedes, con accanto un paio di amici, mentre guida un autista, lungo un’autostrada sgombra è ben poco distante rispetto a raggiungerla pedalando in bicicletta in un giorno di vento e pioggia”; che tutto muta, basta guardare le teorie nutrizioniste o quelle sulla materia; che ogni mutamento o “scoperta”, in qualsiasi campo, si accompagna sempre a “poteri forti” che lo indirizzano in una direzione piuttosto che nell’altra a seconda di interessi economici e di potere, altro che verità ed oggettività !!
2006 La Notte del Guerriero

Purtroppo, vigono ancora, e sono generalmente condivisi, concetti del tutto fallaci:

·         il concetto di “verità” assoluta, fissata, immutabile, in particolare da una prospettiva dualistica di buono/cattivo.

·         Il concetto di certezza. C’è sempre una e una sola risposta “giusta” e questa è assolutamente “giusta”.

·         Il concetto dell’identità isolata, l’idea che “A è A”, semplicemente e una volta per tutte.

·         Il concetto di stati e “cose” fissati, con l’idea implicita che se si conosce il nome si conosce anche la “cosa”.

·         Il concetto della causalità semplice, singola, meccanica; l’idea che ogni effetto è il risultato di una causa unica, facilmente identificabile.

·         Il concetto che le differenze  esistono solamente sotto forma di paralleli e di opposti: buono – cattivo, giusto – sbagliato, sì – no, corto – lungo, sopra – sotto, ecc.

·         Il concetto che la conoscenza è “data”, ovvero che essa emana da un’autorità superiore e che dev’essere accettata senza dubbi né discussioni.

2006 Stage Estivo
Del tutto in modo antagonista, scrivo pure “alternativo”, la nostra Scuola, lo Z.N.K.R. è una fucina, un laboratorio, in cui proporre e sperimentare, attraverso didattica e pedagogia / andragogia di stampo maieutico. Ovvero un metodo che ponga l’allievo al centro di ogni pratica,  cominciando da quello che egli sente, quello che teme, per cui si commuove, quello a cui aspira, quello che più lo emoziona .Perché egli è individuo fisicoemotivo e nella forma visibile del corpo si traduce sia il modo di essere che il modo di agire, poiché l’unità psicofisica collega le tre componenti, vita psichica, vita vegetativa inconscia e vita tonico – motoria, sia cosciente che riflessa: “La struttura delle tensioni muscolari determina i movimenti, il portamento, e la caratterialità” (S. Guerra Lisi)
Il continuum che le tiene insieme è il movimento. Infatti, qualunque essere vivente, anche se apparentemente statico, è in movimento: non solo respirazione e pulsazione cardiaca ma i moti d’animo, l’imago – azione, sia pure in stati alterati di coscienza fino al coma stesso. (3)
Dunque, noi allo Z.N.K.R., proponiamo una pratica esperienziale che si proponga di sviluppare un individuo “guerriero” (colui che sa stare nei conflitti), capace di agire flessibile, creativo, innovatore, tanto tollerante quanto assertivo, in grado di affrontare incertezza e ambiguità con coraggio ed audacia.
2011 Kenshindo, M° Valerio ed Angelica

Noi allo Z.N.K.R. siamo consci di una cosa tanto ovvia ma che nessuno ricorda più, ovvero che “ La funzione fondamentale di ogni tipo di istruzione, anche quella più tradizionale, consiste nel fatto di aumentare le prospettive di sopravvivenza del gruppo. Se questa funzione viene svolta, il gruppo sopravvive. Se no, esso muore” (N. Postman).
E non sono i valori assoluti o le certezze dogmatiche, le tecniche o le tecnologie, a stabilire chi sopravvive e chi muore, ma è la persona dietro a queste tecniche e tecnologie e come le impara e le gestisce e cosa e come si spinge oltre, verso nuove scoperte, verso nuove … incertezze !! (4)

2012 Festa in Dojo
Attenzione al rischio paventato dalle menti più attente: “Nello scientismo, di cui l’ideologia delle competenze è un’espressione attualissima, il sapere anonimo e robotizzato dell’Altro domina senza limiti e riduce il soggetto a un contenitore passivo, da riempire  di contenuti. Nella psicosi come nello scientismo non c’è posto per la singolarità” (M. Recalcati).
Per restare nel nostro ambito, le Arti Marziali e parenti prossimi, andate a vedere ( e a praticare, se vi regge lo stomaco !!)  là dove l’insegnante detta ordini, mostra gesti da copiare, movimenti da imitare mentre la pletora di juodoka, karateka, kick boxers, tai chi chuanisti ecc. si forza di memorizzare e copiare la sospirata e “pagata” verità che viene loro elargita e li renderà più sani, belli e forti. A furia di imitazioni, premiando chi ripete al meglio, chi riduce l’apprendimento alla riproduzione più fedele: massima valutazione all’allievo che sa ripetere  il più esattamente possibile gesti e movenze che gli sono stati impartiti. Schiera di modesti cloni in preda ad una diffusa anoressia fisicoemotiva, psicomotoria.
E mi spingo fino all’audacia di sostenere che il sapere è quanto ognuno scopre lungo un percorso autonomo, magari fatto in gruppo e sotto l’accompagnamento di chi ha più esperienza ( il Sensei, “colui che è nato prima”), ma senza alcun foglio delle istruzioni, senza un tracciato definito a priori. Perché questo sentiero si traccia solo percorrendolo, dunque si fa solo nel movimento e nell’agire di chi lo percorre, perché non esiste prima di esso.
Un sapere, non solo del tutto personale, ma sempre in mutamento, sorta di “vuoto fertile” (5), per usare un’espressione cara alla Gestalt, in grado di mostrare nuovi non saperi cui anelare. Porte che si aprono su altre porte da aprire.

Da un lato, nella pratica marziale ma anche nell’istruzione scolastica di ogni ordine e grado, nella pratica sportiva ma anche nella trasmissione educativa familiare, domina l’illusione di raggiungere il sapere come supremazia, come riempimento certo ed assoluto di una mancanza, un sapere che  pretende di estromettere incertezza ed errore.
Nel nostro lato ( e di pochi altri 6), c’è lo sforzo per tenere sempre accesa la passione dell’imparare; l’errore come “maestro” insostituibile e fondamentale per farci procedere; la consapevolezza che ogni cosa ne significa un’altra che conduce ad un’altra ancora, svelando tutto il limite di un sapere che non è in grado mai di  chiudersi e consistere in se stesso; il docente come testimone appassionato di un suo personale viaggio che tale passione mette a disposizione degli allievi, alimentando in loro il desiderio di viaggiare a loro volta.

D’altronde, nei mesi scorsi, quando mi capitava di parlare con qualche mamma ( i papà no. Mai. E chissà perché in questa, come in altre occasioni, semplicemente non ci sono, latitano, delegano… avranno da occuparsi di qualcosa di più importante che il “viaggio nella vita” dei propri figli ?) sulla scuola “media” in cui mandare i figli, gli elementi in base a cui scegliere erano la vicinanza a casa / comodità di trasporto, l’assenza / riduzione di elementi considerati destabilizzanti ( soprattutto episodi di bullismo, presenza di extracomunitari), la scelta condivisa con qualche compagno di scuola elementare. Come a dire la comodità, che il pargolo va tenuto comodo e noi genitori pure; le diversità e le difficoltà della vita e del sociale fuori dalle palle; l’evitare che affronti da solo i cambiamenti, le nuove relazioni, rinviandoli il più avanti possibile.
Mi viene il sospetto che abbia ragione Neill, quando scrive: “Gli adulti danno per scontato che si debba insegnare al bambino a comportarsi in modo che disturbi la loro vita il meno possibile. Ecco perché si dà tanta importanza all’obbedienza, alle buone maniere, alla docilità”.

 
2011 Stage Estivo

 

1.“Lo scopo del coaching è di eliminare ogni ostacolo, esterno e interno, che impedisca il raggiungimento di un obiettivo”.
“Essere consapevoli, in generale, significa percepire le cose come effettivamente sono, mentre essere consapevoli di se stessi significa riconoscere anche i fattori interni che possono distorcere la nostra percezione della realtà”
(J. Whitmore: Coaching)

 2.“Da questo punto di vista ( approccio maieutico ) i bambini non imparano dall’educatore, piuttosto dalla capacità dell’educatore di predisporre delle situazioni in cui essi possano imparare da soli”
“La maieutica, come ci ricorda Socrate, è un approccio basato sul chiedere, sul fare domande”
(D. Novara: Litigare per crescere)

2013 Silvano
 3.“Nella misura in cui il movimento si accompagna nuovamente ai contenuti emozionali ai quali in origine era legato, esso torna a esprimersi come movimento primitivo.
E’ allora chiaro che possiamo introdurre il movimento costruito, cioè una tecnica che funga da catalizzatore e canalizzatore dell’energia, che aiuti ad approdare a un percorso nuovo dell’espressione psicomotoria”
(V. Bellia: Danzare le origini)

 4.Come a dire, permettetemi lo schematismo, che il “pensiero unico”, quello intollerante nella sua prepotente ignoranza, impera stritolando ogni opposizione, fino a che quest’ultima, eretici ed indipendenti, liberi pensatori e creativi, pur esile minoranza, scuote e disgrega il potere del “pensiero unico” tanto da indurlo ad una mutazione che tenga conto di questi elementi innovativi, rivoluzionari. Questo nuovo “pensiero unico”, arricchito e mutato, prosegue nella strada dell’intolleranza e delle verità assolute, mentre altri piccoli nuclei di uomini indipendenti ed audaci lo combattono, fino ad una nuova disgregazione e mutazione, e così via all’infinito ( o … a finire a sbattere in un Armageddon apocalittico).
Un avanzare dialettico, a suo modo “taoista” nel tenere insieme gli opposti, in cui ognuno può scegliere da che parte stare, nella vita pubblica come in quella sua intima e privata.
Io, sin dall’adolescenza, la mia scelta l’ho fatta. Costa fatica, amarezza, ferite sempre sanguinanti e cicatrici che dolorano ai cambi di stagione, ma ha il sapore dell’errare da solo, in piena autonomia, come del conoscere e gustare sprazzi di libertà e profondità umana inauditi; dell’incontrare, per un giorno solo o per anni, uomini e donne eccezionali, famosi o meno, eccezionali anche nella loro debolezza perché autentica, spesso strambi, folli di quella follia che nella sua anima più oscura è una possibilità umana, con le sue note più o meno dolorose e con le sue penombre, con le sue inquietudini del cuore.
“Ho iniziato a capire che un guerriero deve dare prova di sé non solo in battaglia ma anche nella vita. Vive in nome di un codice (…) Il combattimento è un’estensione di quel codice, non la sua fonte.
(…)
Il suo codice in tempo di pace è lo stesso che in servizio: fa il tuo dovere, proteggi il debole e la comunità, affronta il prepotente, sii sempre pronto e vigile, sii leale, evita l’aggressività, se possibile, ma quando non lo è vinci, e vinci pienamente. Il rispetto e l’onore si guadagnano con le proprie azioni, non sono acquisiti alla nascita”
(colonnello D. Grossman: On Combat)

2014 Giovanni e Roberto
 5.“L’individuo capace di tollerare l’esperienza del vuoto fertile, sperimentando fino in fondo la propria confusione e che riesce a diventare consapevole di tutto quanto richiama la sua attenzione (allucinazioni, frasi interrotte, sentimenti vaghi, strani) avrà una grande sorpresa, vivrà probabilmente un’esperienza “Ah, ah!”; all’improvviso apparirà una soluzione, un insight fin ad ora inesistente, un lampo di comprensione o percezione”.
(F. Perls, R. Hefferline, P. Goodman: Teoria e pratica della terapia della Gestalt)

 6.Pochi, ma agguerriti di pratica e di studio e di riflessione su quanto fatto, per poi gettarsi in una nuova pratica un nuovo studio …
Penso a Daniele Novara e al suo “Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti”, alle elaborazioni teoriche ed alle buone pratiche che diffonde nella scuola dell’obbligo, sperimentando in tutta la Lombardia, là dove incontra dirigenti scolastici e personale docente attento ed aperto. O alle caratteristiche pedagogiche e didattiche delle Scuole “private” Steiner o della media “pubblica” Rinascita.
Penso, nel campo più propriamente motorio, a chi ha raccolto l’eredità di Moshe Feldenkrais e del suo stupefacente metodo. Alla “Danza Sensibile” di Claude Coldy, che in Milano vive soprattutto grazie all’opera di un’eccezionale Roberta Claren.
Cito quanto sopra perché è stato ed è  parte del personale percorso mio o dei miei figli, ma ho sentore di “altro” che circola nella nostra città e dintorni. Basta cercarlo !!
Dubito che ci sia qualcosa di simile nel campo marziale: quasi quarant’anni di pratica e di scambi, mi portano a credere che qui, nelle Arti Marziali e dintorni, regni la prassi del modello e dell’obbedienza, dell’unica risposta certa già data dal Maestro / Sifu /allenatore, dove imprevedibilità, incertezza ed autentica ricerca, siano banditi. E non parliamo di pratica come terapia di individuazione e crescita, che qui il nulla regna sovrano.
Massa di anoressici o disturbati fisicoemotivi. I quali  non sapranno mai, né vogliono sapere, che “I nostri soli maestri sono quelli che ci dicono di fare con loro e che, anziché proporci gesti da riprodurre, hanno saputo trasmettere dei segni da sviluppare nell’eterogeneo( G. Deleuze: Differenza e ripetizione)