venerdì 22 dicembre 2017

Musica e non sense



La serata prende avvio con un ricco happy hour al “Taxi Blues”.
E, finalmente, un hh come si deve!!
Negli anni della mia adolescenza e gioventù, l’happy hour non esisteva, solo l’aperitivo, ovvero al bere erano accostati un pugno di patatine e qualche oliva.
Poi venne l’happy hour e fu un trionfo di carne e pasta e salumi e formaggi.
Da alcuni anni, invece, sarà per risparmiare, sarà che l’happy hour lo trovi ovunque, la carne è pressoché sparita, la pasta è scadente e troneggia la verdura.
Dunque, ben venga la nuova sede del Taxi Blues, proprio a due passi da casa mia, dove l’happy hour, già provato più volte in questi mesi, è un trionfo di opulenza culinaria!!

Proseguiamo, io e Monica, con un salto alle “Dolci Melodie”, dove il caffè è da sempre squisito e l’accoglienza sempre affabile, dove non può mancare un seppur piccolo “peccato di gola”.

Siamo pronti per il teatro.
Sì perché Lupo, dolcissimo, per l’anniversario del nostro matrimonio: il 21 Dicembre, ci ha regalato due biglietti per lo spettacolo “The Dual Beatles Nonsense Circus

Ed è serata di grande godimento, tra alcune delle più belle canzoni dei Beatles, reinterpretate e cantate con un impasto di voci fortemente accattivante e prezioso, e brevi scenette tratte dall’irriverente repertorio dei Monty Phyton.

I Monty Phyton, sul finire degli anni ‘60, riprendendo le orme lasciate da Lewis Carrol e dai fratelli Marx, stravolsero la comicità spargendo a piene mani il nonsense, ovvero il paradosso e l’assurdo, intanto che irridevano mentalità e costumi della borghesia, della società inglese e degli standard televisivi.
Il loro umorismo, apparentemente sconclusionato, mentre sbeffeggiava le ipocrisie della società, mentre mostrava un nuovo e paradossale punto di vista da cui osservare la vita attorno a noi, in realtà invitava a non ritenere giusta, esatta, una sola lettura, una sola interpretazione delle cose, perché tutto può essere capovolto.

Negli stessi anni, o meglio, già negli anni ’60, i Beatles ribaltarono ogni corrente musicale allora in voga e non solo musicale, presentandosi con un look eccentrico e fuori dagli schemi.
Le loro musiche, negli anni a seguire, avrebbero influenzato l’hard rock, il metal e la psichedelia; il loro look avrebbe dato vita ad un completo cambiamento nelle pettinature e nell’abbigliamento di milioni di giovani.
Erano gli anni dei grandi moti ribellistici e rivoluzionari, di Marthin Luter King e delle “Pantere Nere”, della “primavera di Praga”, della nascita del fenomeno Hippy, dello sbarco sulla luna, ed I Beatles furono sempre parte integrante di quegli anni. Tanto che il compositore Aaron Copland ebbe a scrivere: “Se volete conoscere gli anni Sessanta, ascoltate la musica dei Beatles”.
In italia si esibirono in un’unica tournee, nel 1965, ed io ebbi il gran piacere di vederli, al Velodromo Vigorelli, con il mio amico Paolo e accompagnati da mia sorella Anna, di cinque anni più grande di noi, perché quelli erano tempi in cui era impensabile che un tredicenne andasse da solo ad un concerto; di più, erano i concerti stessi ad essere impensabili. Una tournee che raccolse poche adesioni, di contro all’enorme successo che i Beatles già avevano in tutto il mondo. Ma l’Italia, e non solo quella canora, è sempre stata un passo indietro!!

Lo spettacolo è coinvolgente, frizzante, scenette e brani musicali si intrecciano e si susseguono a ritmo incalzante. Qualche sbavatura non fa che rendere ancor più vicini gli interpreti. Il buon umore, in sala, è palpabile e gli attori/cantanti “costretti” ad un bis dopo l’altro.

Ancora una volta, la “Dual Band” si dimostra capace di coinvolgere ed emozionare. Gli artisti in scena paiono essersela goduti a loro volta e questo non fa che rendere ancor più forte, intenso, il legame con chi li applaude, a ringraziarli per una bella serata.

Serata divertente, che mette il buon umore, ma, tra le pieghe dei testi, dei gesti, lascia intendere uno spessore culturale, un approccio diverso alle cose.
E, forse, nella bellezza inconfutabile delle loro musiche, nello spasso esplosivo dei loro sketch, è questo che Beatles e Monty Phyton volevano comunicare.

 



venerdì 15 dicembre 2017

Ad ognuno, che sappia, i suoi fiori del male



Lascio a casa Monica e Lupo, contenti di godersi la finale di X Factor e mi avvio vero lo spazio Avirex.

Il bello di abitare a Milano, e pure in una zona prossima al centro, è proprio l’aver a portata di … “gamba” più d’una occasione di semplice svago o culturale
Così, venti minuti di camminata, e sono seduto in poltrona, pronto per “Charles Baudelaire, come i fiori”.

Baudelaire è un poeta che lessi negli anni dell’adolescenza, in un confuso e variegato mescolarsi tra i deliri di Charles Bukowski e le fragili poesie di Jacques Prevert, la scoperta dell’immenso e sconosciuto Dino Campana e il misticismo di William Yeats.

Ho sempre amato le poesie, di un amore ormai difficilmente comunicabile in questi tempi in cui esse sono finite nel dimenticatoio, quand’anche appartenute ad artisti di grande valore. Figuriamoci a chiedere a chiunque un dialogo sulla poesia contemporanea, anche solo italiana. Tolto il nome di Alda Merini, temo che siano ben pochi a conoscere qualcosa della poesia italiana contemporanea. Lode dunque al mio vecchio compagno di liceo Marco Saya che, da anni, ha fondato una minuscola casa editrice aperta ai nostri poeti contemporanei. Troppo poco, però, perché il mondo della poesia sia poco più che una nicchia.

Così, mi lascio cullare dalla magia del teatro dove due giovani attori, Francesco Errico e Margherita Forte, portano in scena momenti di vita insieme tra Baudelaire e la compagna Jeanne Duvall, un po’ attrice e un po’ prostituta, nella Parigi ottocentesca.
Sono gli anni della paralisi alla mano e dell’alterazione estrema indotta da vino e droghe, delle angosce profonde e della noia, delle parole a germogliare come fiori.
Sono gli anni che vedono alla luce “I fiori del male”, raccolta in grado di suscitare tanto scandalo, nella bigotta società del tempo, che il libro viene i processato per immoralità, costringendo l’editore a cassare alcune poesie.

Mi godo lo scorrere dei versi, mentre Charles e Jeanne intrecciano duetti amorosi e conflittuali nel loro tran tran quotidiano.
Dentro, salgono emozioni che nessuno, fuori che me, può mai conoscere; una melodia solo mia, sorta di eco di un’eternità che si sospende su giorni che a volte sono di grazia, altri di rabbia. Un sottile riandare a posti a cui sono appartenuto, in cui io ed un altro di me abbiamo camminato insieme.
Come se fosse possibile avere l’occasione di diventare qualcuno di nuovo, qualcuno che io, o altri, potrebbe amare di nuovo.

Le luci, in sala, si spengono. E’ il tempo degli applausi e degli inchini dei due protagonisti.
Lei, di una fisicità prorompente, ancora sul viso i segni del dramma vissuto che ha saputo trasmettere, nonostante un impasto vocale spesso non limpido.
Lui, dignitoso in una parte che avrebbe richiesto, a mio parere, una presenza scenica ben più pregnante e poi colpevole di una serie di incidenti linguistici.

“Due passi” nelle ombre che avvolgono il parco sotto casa e nel traffico sempre sostenuto di corso Lodi.
E’ ora di abbracciare il senso della casa, della famiglia.

martedì 5 dicembre 2017

Il Ribelle Guerriero



Poi le cose accadono, ci accadono addosso, ci accadono contro: Il distacco di una persona cara, un imprevisto collasso economico, un accidente fisico, l’insuccesso ad un esame universitario, la perdita del lavoro.
A volte, le cose accadono, ci cadono addosso, ci cadono contro, come una lenta agonia, un tormentato crescere di malessere: una relazione che si fa povera e ci intristisce giorno dopo giorno; la crescita di un figlio che sempre più si rivolta alla nostra educazione, ai nostri valori; una passione che va a scemare; una salute che “le ingiurie del tempo” sempre più espongono a cadute e malanni; un futuro che si snoda ai nostri occhi monotono e noioso; il crescente rimpianto per quel che non è stato, quel che non abbiamo scelto.

Sono accadimenti che ci conducono in uno stato di malinconia, di malessere, a volte ad un senso di impotenza, altre di rabbia, altre ancora sfioriamo il mondo della depressione. Sono i momenti lunghi, troppo lunghi, del volto rigato di lacrime, degli occhi bassi, dell’autostima che finisce sotto i piedi, o dell’arrabbiatura scomposta, dei gesti inconsulti, delle imprecazioni e delle persone, fisicamente o metaforicamente, sbattute per terra, malmenate.

Eppure, per l’autentico Ribelle Guerriero, questi accadimenti insani, perniciosi, sono anche e soprattutto un viaggio nei luoghi sotterranei, dove dominano le nostre parti ombra, dove spiriti invisibili ad occhio umano e mostri antichi ci aspettano sornioni.
Questi accadimenti, per il Ribelle Guerriero, sono l’occasione, dura ma imprescindibile, per entrare nella sua cantina privata, quella polverosa e buia, quella dove si sono accumulate le ingiunzioni dei genitori, le scorie degli anni precedenti, i sogni mai realizzati, le aspettative tradite, le costrizioni castranti del pensiero dominante, ma anche le tue risorse più genuine, quelle animalesche e potenti, quel tuo spirito libero che hai lasciato addormentarsi in nome di mille e mille compromessi.

Lasciarsi soggiogare da questi accadimenti, che siano unico pesante colpo di martello o lento dissanguarsi, significa entrare riottosi nella cantina e lì trovarci solo gli strumenti perché la tortura si faccia ancora più crudele, perché la caduta sia ancora più rovinosa, perché gli specchi opachi e polverosi rimandino di te un’immagine incerta e malferma.
Accogliere questi accadimenti, che siano unico pesante colpo di martello o lento dissanguarsi, accettarli come parte essenziale di ogni viaggio di vita, significa entrare in cantina a testa alta e lì trovarci, con vecchi orpelli in disuso e rimandi crudeli alla tua incompletezza, alla tua vigliaccheria, anche le forze della tua individuazione, della tua ennesima rinascita.

Hai solo da lasciarti andare, andare davvero, perché il gusto pieno delle emozioni ti inondi tutto. Perché tu posa lasciarti pervadere dai sapori melliflui della nostalgia e da quelli acidi della rabbia, dalla forza irragionevole delle tue pulsioni e dall’estremismo onirico delle tue visioni.
Così, lasciarti andare in uno stato che il Taoismo chiama “sung”, come a dire denso e presente; denso e presente nel tuo essere fisicoemotivo, nella tua carne e nel tuo respirare.

Nessun controllo, solo, ti lasci andare, ti affidi.

Perché il Ribelle Guerriero si fida anche di quel che non sa, di quel che non conosce. Apprezza la forza disperata della paura, usa la vulnerabilità come sciabola affilata; si affida al fluttuare instabile del piacere anche quando questi si immerge in una profondità priva di luce fino a scomparire, perché il Ribelle Guerriero sa aspettare che torni a galla, torni ad essere mare d’onde cristalline.

Allora, come in un insight improvviso ed imprevisto, ritroverai le tue intuizioni vincenti, la tua prorompente vitalità, il tuo erotismo più pieno e rotondo.
Allora saprai emergere dalla cantina, Ribelle Guerriero ferito e malconcio ma ancora più forte, ancora più bello. Aspettando il prossimo accadimento, che sia unico pesante colpo di martello o lento dissanguarsi, come ennesima prova del fatto che tu vivi, né dormi né sopravvivi, ma vivi, anche contro tutto e contro tutti.
Tu che vivi e pratichi un autentico Spirito Ribelle




venerdì 1 dicembre 2017

Ci salverà un pugno ed una fatica



Ed arriva perfettamente puntuale lungo la traiettoria del braccio, attraverso il pugno appena guantato.
Riesco a sentirlo impattare il volto, occhi che strabuzzano

Una voce dentro chiede “Chi è lo schiavo, chi è il padrone?
Sarà quella voce a rubarmi la passione, a lasciarmi un buco dentro?

Non è che io creda di non essere abbastanza forte; non è che io creda di non sapere trovare una soluzione. So di poter contar su di me.
E’ che ci sono più mondi a contendersi l’egemonia del mio pensiero, del mio cuore. E faccio fatica, ancora fatica, a non considerarmi il mio peggior nemico.

Ritorno col pensiero agli sporchi, ma così esaltanti, anni della mia adolescenza, della mia giovinezza. Mi guardo, ora, muovermi in tondo, appena appena sudato, mani alzate “in guardia”, a proteggere ed insieme ad offendere.
Chi saranno mai i giovani, e i meno giovani, che portano su di loro il peso di ogni tentazione, di ogni orrore, fino a scuotersi ventre e cuore?
Io, uomo allo specchio di me stesso, volto a fare, forse, la cosa giusta; volto al combattimento, al conflitto, che sia di esempio, di sprone per i giovani ed i meno giovani che arrancano, a volte consapevoli, altre no, sotto il peso di ogni tentazione, di ogni orrore, fino a scuotersi ventre e cuore.

Mi vien da ridere pensando ai goffi tentativi che la scuola fa per spiegare, per contenere, il fenomeno del bullismo.
Più in generale, mi lascia basito lo scorrere insensato di violenza che attraversa questa società, come lo scorrere di effimere mode e meschini modi, quei sotterfugi malsani e quel fuggire codardo, quelle prevaricazioni mascalzone sui più deboli e quel girare il capo dall’altra parte fingendo di non vedere, quel sostenere una debolezza ed una piaggeria che ci stanno portando tutti al decadimento come se fosse questa la “Via”, il nostro destino tutto. E, dall’altra parte, quell’esposizione di muscoli e facce truci, di idee machiste che non sanno cogliere la forza dirompente ed il valore guerriero della flessibilità e dell’emozionarsi.

 

Grazie Lucio per questo intenso film – documentario: Eat your enemy

http://www.cultureunplugged.com/documentary/watch-online/play/8690/Eat-your-Enemy

 

Si parte da alcune domande sulla violenza e si viaggia attraverso destini di uomini che hanno fatto del male. Si incontrano esperienze di “recupero” che tanto farebbero bene alla nostra scuola, presunta verginella, a volte iper servizievole mamma protettrice di bulli e delinquenti, altre matrigna del tutto incapace di amore.

Gli appassionati marzialisti incontreranno esperti del calibro di Jan Kallenbach, l’uomo a cui si deve l’introduzione massiccia del Kenpo Taiki Ken in Europa, o la figlia di Wang Xiangzhai, il creatore dello Yi Quan, da cui Kenichi Sawai originò il Kenpo Taiki Ken.

 

A volte mi commuovo, verso delle lacrime, anche qui, in Dojo, perché sto con Perls ed il suo “Ogni volta che accade qualcosa di reale… questo mi commuove profondamente
Succede quando sento il freddo incontrarsi e scontrarsi col caldo, quando la sofferenza esplode in gioia dissennata o, al contrario, è la gioia degli occhi a tradire la sofferenza del cuore.
Succede, ed è sempre bello. Anche quando accade qui, nel luogo delle “Formazione guerriera”, della formazione al confliggere.

Succede, per maschi e femmine vere.