giovedì 27 ottobre 2011

Esperti ... impostori ?

Ma c’è qualcuno
che chiederebbe ad una Tizia, che da sempre porta i capelli tagliati a spazzola, consigli sull’uso dello shampoo ?
Ma c’è qualcuno
che porterebbe ad aggiustare la propria automobile da un meccanico d’auto privo di patente automobilistica e che né guida né possiede un’automobile ?
Ma c’è qualcuno
che studierebbe canto da un docente stonato e che non abbia mai cantato né in pubblico né in privato ?

Se chi mi sta leggendo ora, al pari di me, non facesse nulla di quanto sopra, interrompa pure questa lettura: gli sarebbe  del tutto inutile.
Se, invece, chi mi sta leggendo ora, si identificasse nell’ipotetico signore di cui sopra , allora lo invito a darmi un aiuto: ne ho bisogno.
Mi aiuti a capire perché dovrei ascoltare con attenzione e rispetto, poi magari aderendovi, le ipotesi di alzare l’età pensionabile che vengono da chi in pensione ha il diritto di andarvi dopo appena cinque anni di lavoro; di chi non si è mai, in vita sua, non dico per quarant’anni, ma nemmeno per dieci anni, alzato all’alba tutte le mattine e timbrato il cartellino in orario ( che se no sono censure e diffide fino al licenziamento) per poi lavorare “sotto padrone” per uno stipendio ai limiti del dignitoso.
Perché dovrei  ascoltare con attenzione e rispetto, poi magari aderendovi, le teorie e le proposte risolutive sulla crisi economica quando vengono da persone che mai ho visto, accanto a me, fare la fila in una finanziaria per ottenere un prestito con cui pagare il dentista; mai in una concessionaria d’automobili a mercanteggiare per acquistare, a rate, un’utilitaria; mai davanti ad una pizzeria a controllare i prezzi del menù per decidere se possa permettermelo; mai a confessare le proprie paure sull’incerto destino lavorativo dei figli, tra contratti a termine e lavori “in nero”, quando non sul proprio che già così è dura arrivare a fine mese.

Se questo “qualcuno” c’è, mi aiuti !! Altrimenti sono nel giusto a considerare i signori e le signore che ci dettano ricette e soluzioni, che si chiamino  Maurizio Sacconi o Matteo Renzi, Renato Brunetta o Francesco Giavazzi, Jacopo Morelli o Mariastella Gelmini,  degli autentici  impostori.

martedì 18 ottobre 2011

Arti Marziali Interne

O cosa ?
 
Io non possiedo altro che la mia morte, la mia esperienza della morte, per dire la mia vita, per esprimerla, per portarla avanti. E’ necessario che io crei della vita attraverso tutta questa morte. E il modo migliore per giungere a questo è la scrittura”. Così si esprimeva Jorge Semprun (1923 - 2011 ) scrittore e poeta sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti.
A noi, noi che siamo artisti del corpo, del combattimento, spetta sostituire “scrittura” con “Arti Marziali”.
Con ciò entrando nel campo “interno” (Neijia) delle pratiche marziali
Un campo, ohibò, sovente arato e seminato (infruttuosamente !!) da chi, pur usando il termine “interno”, ne sfregia e vilipende ( per come la vedo io)  il cuore, l’essenza. Tanto da etichettare come “interno” quel che “interno” non è affatto.
I praticanti fisicisti.
Quelli che muovono il corpo utilizzando  una meccanica che studia il corpo come fosse una macchina, per altro una macchina ottocentesca. Quelli delle “ripetute” e dei “carichi”. Eppure:
D: Per chi fa sport a livello agonistico, conosci sistemi diversi dalle tecniche convenzionali di allenamento per migliorare le prestazioni sportive?
R: Esistono molte possibilità. Le metodiche tradizionali normalmente trascurano o utilizzano solo casualmente alcuni principi basilari del funzionamento del corpo. La ripetizione meccanica di un gesto sportivo, come per esempio un tiro in porta, ha lo scopo di sviluppare un certo riflesso, in modo che il corpo lo 'impari' in profondità. Ma se conosci esattamente qual è il riflesso coinvolto, allora puoi lavorarci in modo ancor più diretto facendo eseguire al corpo, in modo attivo o passivo, il movimento che evoca quel riflesso nel modo più puro. Se nel tiro in porta è coinvolto un riflesso controlaterale, questo può essere perfezionato lavorando sul corpo secondo lo schema dei riflessi crociati che presiedono ai movimenti controlaterali (per intendersi, quelli che collegano il movimento di un braccio con la gamba del lato opposto), anche senza toccare la palla. Quando poi il giocatore riprova il tiro, troverà nel suo corpo una scioltezza e una coordinazione che prima non aveva.
Questo perché ogni individuo, anche quando ripete mille volte un movimento cercando di perfezionarlo, di fatto tende a riprodurre solo gli schemi che già possiede, con tutti i loro limiti. Riuscire a evocare un riflesso più sofisticato e più efficace con un lavoro sul corpo lento e profondo, al di fuori del contesto sportivo, significa permettergli poi di utilizzarlo nel contesto abituale in modo assai più efficiente.
( dall'intervista a J.Tolja della rivista svizzera per maestri di sport 'Macolin'  )
Una meccanica tanto ignorante da considerare il corpo  privo di memorie preconsce ed inconsce, privo di emozioni. Entrare nella vita è, di fatto, “prendere corpo”, dunque qualsivoglia aspetto materiale ( fisiologico, comportamentale, sonoro, ecc.) di un essere vivente è una traccia che riporta ad un vissuto psichico e viceversa. Basti pensare a quali memorie conserva la nostra pelle; memorie addirittura preconsce, che fu la pelle la prima condizione del prendere corpo, del confine tra ciò che c’era “dentro” e ciò che c’era “fuori”: senza un confine non avremmo la forma che “lascia la propria orma quale segno confine di sé” (S. Guerra Lisi). Eppure ogni postura non è solo atteggiamento fisico nello spazio, ma anche espressione emotiva che tramite tale atteggiamento si manifesta.
Un muovere il corpo, questo “fisicista” che si affida al sistema simpatico ( osteomuscolare), dunque al superficiale, al “ginnico”, invece che al sistema parasimpatico (organi interni e viscere), dunque ad un lavoro profondo, questo sì “interno”.
Gli intellettuali.
Quelli che disquisiscono a partire dai libri, dagli scritti dei maestri del secolo scorso ( in genere nemmeno sapendo leggere i caratteri “cinesi”, ma affidandosi alle traduzioni in lingua inglese, quando non alle traduzioni in italiano di traduzioni in lingua inglese di testi scritti in … cinese). Quelli che dissertano sulle differenze  tra … e tra …. Quelli che pretendono di conoscere una fare pratico attraverso la comprensione dei testi ed attraverso questa comprensione libresca giudicano la qualità di una pratica. Quelli che stanno a vedere se il dito mignolo della mano destra è posizionato come si legge ( loro leggono nella traduzione) nell’antico testo del Sifu Cian Fru Saglia. Quelli che di “interno”, ovvero della ridda di emozioni che agitano l’individuo, dell’individuo come organismo omeostatico, dove l’organo fisico rinvia a realtà psicofisiologiche, fisicoemotive, le più disparate, nulla sanno e per nulla si interessano. Vuoti contenitori di gesti inconsapevoli, attori di un corpo morto, del tutto dimentichi che il corpo è, invece, realtà semiotica che ci permette di leggere comportamenti, espressioni, emozioni (emos-azioni) dell’umano.
 
Che c’è d’ interno in tutto ciò ?
Che c’è, nelle pratiche suddette,  di scavo emozionale, di processo di individuazione, di salutistico, inteso come individuo creativo, che si autorealizza, fiducioso delle proprie potenzialità a partire dalla scoperta e dal relazionarsi con la propria Ombra, con le proprie insoddisfazioni ed i propri malesseri, come terreno su  cui crescere e trasformarsi?
Nulla. Nulla di “interno”, inteso, appunto, come Neijia Kung Fu = “lavoro duro, faticoso dentro”. A scoprire, attraverso l’agire corporeo, l’estraneità che abita dentro ognuno di noi.
Nulla del “morire”, inteso nelle sue diverse sfaccettature di simulazioni del combattere contro uno o più avversari in uno stato di regressione al primitivo, all’istintuale, all’animale; di un morire intellettuale per dare spazio e voce alle pulsioni (eros e thanatos); di un morire come dolorosa incapacità di trovare la propria autonoma risposta al vivere,  al “Perché vivo ?” a cui il praticante sano, risponde, attraverso il suo fare, affrontando le domande “Chi sono ?”, “Cosa voglio dal mio esistere?”.
Già, problemi, domande, troppo profondi, troppo “interni”, per i praticanti fisicisti e per quelli intellettuali, due caratteristiche, a volte, unite nella stessa persona, che si domanda per quante ore debba stare fermo, immobile nella posizione dell’albero, quante volte avrà da ripetere la forma 108, lui che pratica uno stile “interno”, per progredire nell’arte ?
Invece di chiedersi chi è, ora, e come sta vivendo, ora.
Domande  a cui, in un momento di giocosa ed infantile stupidità ( perdonatemi) mi vien da rispondere con una citazione tratta da un film famoso:
La vita è un temporale, prendersela in culo è un lampo”.
E, permettetemi, dietro all’aspetto un po’ naif di questa mia, a ben leggere, ci sta una risposta decisiva per chi attraversa il suo tempo, spende le sue ore di vita che più non torneranno, fermo in posizioni statiche o ripetendo modelli memorizzati “aspettando Godot”, aspettando la salute, la saggezza interiore e, magari, pure la capacità di “menare le mani” sì, ma …. In modo “interno” !!!!!!!!!!!!


Post illustrato con fotografie scattate durante la festa di via Cadore, in cui siamo stati presenti con un banchetto espositivo ed una lezione aperta di Tai Chi Chuan



martedì 11 ottobre 2011

Residenziale Kenshindo

Ottobre 2011: residenziale Kenshindo ad Acquasanta (AP)

 

Nove spadaccini, nove lame, forme d’acciaio sibilanti. Accanto, un monastero, un piccolo albergo ed il silenzio delle colline.



Il gioco del Gekken, l’improvviso aprirsi al confronto. “Tanto è un gioco” ma …senti che il morbido ken  mousse, ridicolo mattarello gommoso, è te che affondi nel corpo di un altro, te che sei sbattuto, tagliato, trafitto dal tuo avversario.
Poi puoi  essere goffo e lasso  oppure preciso ed essenziale nelle movenze; ridacchiare grossolanamente con il compagno come ad una gita aziendale oppure affacciarti deciso all’arte dello schermare; stringere e stropicciare il giocattolo che ti ballonzola davanti oppure farne il tuo artiglio letale, unico che ti permetta di sopravvivere.
Tutto, quì, ti è concesso.

Al pomeriggio, alla sera, Kinorenma ( forgiare il ki): Attraverso l’espansione dei sensi costruire l’unione io-acciaio . Il corpo, corpo fisicoemotivo, si sviluppa con le proposte che lo spadaccino  gli mostra attraverso la nudità essenziale dell’acciaio
Esprimi te stesso,  trova la via diretta, coraggiosa, per essere acciaio vivente.
Dilata i tuoi confini. Annusa … nel ventre materno l’iniziazione prenatale nel liquido amniotico crea, unitamente al tatto, una selezione di umori in sintonia con le variazioni emotive … chimica delle emozioni … non ci sarà odore che non rimanderà al primo apprendimento olfattivo precoce, rapido ed irreversibile, mai disgiunto dall’affettività … intimità nell’olfatto.
La lingua, che metaforicamente è assaporare ed assimilare la realtà realizzando  le idee …e la tua idea di acciaio, di acciaio tagliente, qual è ?
Regressione, qualcuno lo chiama. Come regredire è ispirarsi alla lotta per la sopravvivenza, al duellare per togliere una vita e salvare la propria. Combattere, per ri – conoscersi e formarsi. Di nuovo.
 
Attraverso la consapevolezza dei propri limiti individuarli oltrepassarli, anche se, a volte, il muro dell’orgoglio è un limite che pare invalicabile, è un insulto isterico a te, prima ancora che al Sensei;  oppure è la pena del proprio corpo, della propria struttura malamente terrestre a fermare il cammino.                 
Ingaggiare. Impegnare.
Il Tameshigiri, a tagliare di netto una vita o a sbatterci goffamente contro: acciaio inerte, te inerte, te che non osi, non ti getti.
Eppure, mai tirarsi indietro ad una proposta, ad una occasione di crescita.
Sempre flessibili, sempre aperti ad accogliere, ad aprire la pancia delle emozioni per ascoltare le offerte che ti potrebbero sfuggire, per rendere il corpo fisicoemotivo, te adulto guerriero, duttile affinché tu abbia la possibilità di apprendere, di formarsi.
E abbracciare. Insieme

Alla fine del residenziale, Celso mi dice che, forse, questa esperienza, questo praticare   Kenshindo, è stato più duro, più perturbante, del residenziale “Sapere del Profondo”.

Già.










domenica 2 ottobre 2011

Da vicino, nessuno è normale


                                                                     Accompagno mio figlio Lupo ad una festa di compleanno.



Saranno le parole dell’animatrice, mentre lo trucca da belva feroce, che gli donano una valanga di complimenti sulla sua capacità di stare al gioco, di stupirsi piacevolmente per ogni occasione di regressione nel mondo animale, nel mondo delle emozioni.
Saranno i commenti tra i genitori sui “tagli” alla scuola,quelli imposti dal Ministro che sentenzia di meritocrazia lei che, dal nord, è scesa nel profondo (e più accomodante) sud per dare l’esame di stato; quella che ancora, credo, sta cercando dove sia il tunnel di 760 km…., e che lasciano i bimbi più in difficoltà, sino a quelli certificati “disabili”, in balia di se stessi. Ma la scuola serve solo a dare nozioni ( che invecchiano così rapidamente nel nostro terzo millennio)  ed ha abdicato a qualsivoglia ambizione educativa ?
Saranno quelle parole, quelle conversazioni che, proiettate sugli adulti, mi fanno pensare alla frase “Da vicino, nessuno è normale”.
Questa frase, che è anche presentazione di una ormai pluriannuale rassegna di spettacoli all’interno dell’ospedale psichiatrico Pini, a Milano, si presta, per me, a diverse interpretazioni.
Una di queste, mi riporta all’espressione taoista “tornare indietro è andare più avanti” o, con una lettura strategico politica, alla massima leninista “due passi indietro, uno avanti”.
La lettura che ne voglio dare oggi, in questo mio post, mi conduce all’evidenza dell’essere umano come creatura in grado di adattarsi ed interagire proficuamente con l’ambiente. A questa sua capacità, viene generalmente  attribuito il suo evolversi nei secoli sopra le altre specie animali e a dispetto dei giganteschi cambiamenti epocali.
Tale caratteristica  lo rende in grado, in presenza di forti traumi che ne frenino lo sviluppo, di rifugiarsi in regressive fasi primarie, in attesa di “tempi migliori”. Ovvero, la regressione come fase di stallo, come area di possibile esplorazione e ri – scoperta, all’interno del proprio naturale processo evolutivo, delle forze necessarie per andare oltre traumi ed eventi tragici.
Praticare Arti Marziali, nel modo come noi facciamo allo Z.N.K.R., (1) è forma terapeutica che, nell’affidarsi all’inconscio, sa che nell’inconscio degli individui esiste la capacità di far fronte ai problemi che essi hanno.
 Praticare Arti Marziali è sia prevenzione nei confronti di eventuali blocchi traumatici, che cura degli stessi: Permettersi, attraverso la pratica del configgere fisicoemotivo, attraverso il riconoscimento delle proprie emozioni ( emos – azioni) di mobilizzarsi, di sostenere relazioni apertamente conflittuali, di sentirsi forti, energici e vigorosi comporta anche la capacità di spostarsi dalla presunta sicurezza che dà l’inazione, dal rifugio dell'inazione stessa, verso il rischio sconosciuto dell'azione. L’ambiente  protetto e le simulazioni proprie di una pratica del combattimento insieme  all’esperienza e creatività del Sensei ( “colui che è nato prima”) o del Sifu (“il padre”) nel proporre e coinvolgere l’allievo in  pratiche esperienziali con livelli di rischio che aumentino gradualmente, offrono la possibilità di ri-appropirasi della capacità di agire nel mondo, di relazionarsi sanamente con l’ambiente.
Il sapere antico, Tradizionale, riconosceva l’azione pedagogico – terapeutica di ogni ripercorso corporeo sensoriale che riprendesse le mai del tutto sopite memorie del corpo.
Diversi autori, da Bettelheim a Guerra Lisi, ci mostrano come la fase del regresso, dell’oscuro, quale stato necessario per poi approdare ad un nuovo cammino, sia metaforicamente presente in miti ( Orfeo, che lascia una parte di sé, ovvero viene smembrato), in giochi popolari (il gioco dell’oca, in cui tornare indietro è necessario per raggiungere precisamente la meta), in fiabe (la Bella Addormentata, in cui occorre un gesto carico di sentimento ed emozione, il bacio, perché la vita riprenda).
Per dirla con J. Zinker: "L'energia è bloccata più frequentemente dalla paura dell'eccitazione o delle emozioni forti (…) Molti individui sentono che se si consentono di arrabbiarsi, annienteranno il loro ambiente; se entrano in contato con la sessualità, saranno maniacali e perversi; se esprimono amore, opprimeranno e soffocheranno l'altra persona; se si concederanno di vantarsi, si renderanno ridicoli e saranno rifiutati".
Il guerriero (“colui che sa stare nei conflitti”) è individuo integro, che nel riconoscere le proprie debolezze, accetta il rischio di contattare la propria parte istintuale, il vissuto sinestetico – sensoriale, e di essi si fa forte per creare il proprio autonomo destino.
Riappropriarsi delle personali memorie corporee; leggere nel proprio corpo e nelle sue espressioni e reazioni tonico – muscolari la “mappa” di quel che l’individuo è: storia passata ed aspettative del futuro; mettere mano a pulsioni ed emozioni; questo è costruire consapevolmente la propria storia individuale, è affacciarsi al vivere relazioni sane consapevolmente agite. Questo è accettare la regressione del combattere, dell’istinto di sopravvivenza, del corpo a corpo, come fase necessaria e formativa perche l’individuo assuma “capacità di nascere, distaccarsi e riunirsi senza paura in ogni movimento della sua vita” (S. Guerra Lisi).
Questo è come io, come noi, allo Z.N.K.R., proponiamo le Arti Marziali, per individui che decidano di uscire dal “copione” (2) e prendere la propria vita nelle mani; per individui che soffrano di momenti di stallo, di blocco energetico ed emotivo; per chi, anche, sia sprofondato nel baratro del patologico. Perché… “da vicino, nessuno è normale”.



(1)   Ho spiegato più volte quel che differenzia il nostro praticare profondo dalle pratiche sportive o di “stile” o di “facciata” che impazzano nel mondo delle Arti Marziali. Qui mi limito ad aggiungere che ogni scelta non fa altro che mostrare le caratteristiche individuali di ogni praticante: le sue debolezze, le sue ansie, le sue fughe dalla presa in carico di quel che è ora, le “maschere” ed i ruoli che adotta per vivere. 
L’ossessione agonistica; la ricerca macho muscolare di bicipiti possenti e pratiche ginnico – autolesionistiche; il vuoto e lezioso esercizio di stile lontano dal fuoco bruciante delle pulsioni; gli scazzotta menti caotici tesi a sfogarsi; le maniacali ripetizioni di gesti che, di per sé, dovrebbero portare alla saggezza interiore ( e perché mai ?) e quant’altro di vacuo o emotivamente catafratto o imbecille ad ognuno è dato trovare girando per palestre, Dojo, Kwoon e simili.
Da noi, per contro, paure e debolezze, fughe, “maschere” e ruoli, sono invece strumenti, per chi lo voglia, perché si scopra nudo e da quella sua nudità voglia ripartire per divenire adulto auto diretto.


(2) Pagine esplicative sul “copione” e la sua forza distruttiva, il suo essere legame perverso e soffocante, si trovano in “Fare l’amore” ( no, i benpensanti ed inibiti che mi stessero leggendo si tranquillizzino: non è un testo di sesso !!) e in “A che gioco giochiamo”, di Eric Berne, il “padre” dell’Analisi Transazionale.