martedì 29 agosto 2023

Aggressività, combattimento, sessualità

Da decenni propongo la pratica marziale come “Via”, percorso di crescita per l’individuo e per il suo stare nelle relazioni. Accosto il confliggere, l’aggredire, alla capacità di trovare soluzioni insieme all’altro da sé. Faccio dello scontro, della lotta, una metafora che ci prepari ai mille e mille scontri quotidiani con le diverse parti di noi che in noi albergano e ai mille e mille scontri quotidiani con l’altro in campo affettivo, sentimentale, lavorativo ecc.

Scartate

- le pratiche scazzottatorie dei diversi sport di contatto (che hanno altre valenze legittime o meno, e confido nessuno si illuda di crescere come individuo semplicemente colpendo un sacco o pestandosi con un compagno di palestra);

- le pratiche marziali per cui, ripetendo gesti e forme, imitando modelli dati, in virtù di chissà quale miracolo si raggiunga “illuminazione”, “pace interiore” o anche crescita psicofisica e miglioramento interiore: E perché mai? (1)

A. Gentileschi. Giuditta uccide Oloferne
intendo confrontarmi con l’aggressività. Un’area che sovente suscita sdegno o almeno distacco (2), un’area in cui pare impossibile coltivare quei propositi di crescita e consapevolezza, di equilibrio, che sono gli obiettivi di un’autentica Arte marziale, che è arte dell’uccidere per non essere uccisi, nel suo evolversi, appunto, da Jutsu a Do senza perdere, nel secondo, nulla dell’efficacia del primo.

Scrivo di aggressività, non più vissuta come risposta alla frustrazione nella ricerca del piacere (così la interpretava Freud), ma rivista come modalità critica necessaria per un'assimilazione personalizzata. Aggressività positiva, come intende la matrice semantica di ad-gredior (che significa avvicinarsi, raggiungere). Aggressività che però, in un sottile gioco di equilibri come ci racconta il taoismo, comprende sempre anche un significato di distruttività, di annientamento, altrimenti qualsiasi movimento, qualsiasi “andare – verso” sarebbe aggressività.

La storia degli uomini è una storia di sottomissioni, di vincitori e vinti, in questo senso di aggressori e aggrediti; non a caso la sessualità (che Freud descrive come una delle pulsioni fondamentali), il sesso, è assimilato ad una lotta, e questo non solo tra i singoli individui ma anche nelle società succedutesi nei secoli, perché era loro comodo (e lo è tutt’ora) far divenire strumento di potere l’imbrigliamento ed il controllo della sessualità.

Ecco, l’aggredire, che è fondamentale nelle relazioni, tanto più quelle conflittuali di ogni tipo che siano, allo Spirito Ribelle, grazie ad una didattica ed una andragogia apposite, integra le tre funzioni: Es, Io e Personalità (3). C’è sempre molto “Io” in ogni azione aggressiva, sarà il confronto con l’altro in un ambiente protetto a permettere di sperimentare la miglior possibile integrazione per far emergere un individuo equilibrato.  

Questo lavoro profondo sulla propria aggressività, di necessità, invaderà anche il campo della sessualità; una sessualità letta non solo come pratica puramente di copulazione, ma anche, gestalticamente, come pratica emozionale, sentimentale, erotica.

V

R. Mapplethorne. Autoritratto
iviamo immersi in una cultura del benessere, del cibo, dello sport, ma privi di una cultura dell'eros, quell’eros che è vitalità e apertura, energia che tende all’avvicinamento, alla reciproca comprensione. Sessualità, invece, è ora purtroppo sempre più assimilabile a pornografia, a consumo di corpi quando non arrogante e narcisistica finzione virtuale. Nelle Arti Marziali Spirito Ribelle essa, invece, riprende il suo cuore di Eros, quello che danza abbracciato a Thanatos: “Siamo essere sessuali e l’energia sessuale è la radice di ogni sviluppo, intelligenza e creatività” (Aneesha Dillon, educatrice neo-reichiana, studia con Osho fino a creare una sua sintesi di tecniche orientali e occidentali per l’esplorazione interiore e la crescita personale, in “La pulsazione tantrica”).

Così eccoci capaci di individuarsi e crescere cogliendo, nella pratica del contatto fisicoemotivo, la dinamica per cui Thanatos, istinto di morte, la “fantasia di sparizione” (come la chiamava Massimo Fagioli, psichiatra), divenga trasformazione, creatività.

L’incontro / scontro tra Eros e Thanatos produrrà quella vitalità che “Non permette alla delusione del desiderio di far impazzire gli uomini, non permette all’anaffettività di essere onnipotente” (M. Fagioli in “Bambino, donna e trasformazione dell’uomo”).

Quanto di ciò, del praticare Arti Marziali così intese, sarebbe interessante e proficuo anche per intervenire sulle distorsioni e le interpretazioni esclusivamente violente e prevaricatrici della sessualità in cui manca del tutto l’aspetto di fusione, di congiunzione e le cui conseguenze criminali campeggiano sulle pagine della cronaca nera, non è di mia competenza. E comunque, dubito anche solo possa incuriosire quel vasto mondo di terapeuti e psicoterapeuti del tutto immersi in pratiche logocentriche, in cui il corpo Leib non compare se non casualmente.

 

1. “Entra in un dojo dove coltivare lo spirito e ritrovare valori come sincerità, rispetto e autocontrollo” per esempio recita la pubblicità di un noto Dojo di Karate. Sì ma come? Quali modalità didattiche? Quali pratiche a ciò indirizzate? Quali competenze formative hanno i “Maestri”? Sanno di conduzione di gruppi, facilitazione dell’apprendimento, comunicazione non solo verbale, sanno capire ed agire sul “saper fare” e sul “saper essere”? E’ sufficiente, il diploma di “Maestro di...” e, quando c’è, una laurea in scienze motorie o, per andare dentro l’uomo, ci vuole ben altro? E chissà se sanno di sé …

2. Nel campo lavorativo, dove sempre più la parola d’ordine è il successo personale anche a scapito del collega, le parole aggressione, aggredire, sono sostituite da resilienza, affermazione, successo. Ridicolo!!

3. https://www.igf-gestalt.it/2013/06/11/teoria-del-se-e-ciclo-del-contatto/



 

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 24 agosto 2023

Il guerriero e madre Natura. Estate 2023

Bassano del Grappa

La prima settimana

A.    A.  Chissà che mondo sarebbe quello in cui l’uomo si accostasse alla Natura come un dono e non come un oggetto da depredare, da spogliare; in cui tutto fosse trattato con modi di coesistenza e un legame appreso dalle fatiche.

La Via, il “Do” del guerriero nipponico, è da intendersi come “coscienza espansa”, che è stare nel mondo e nelle cose del mondo guardandole con occhio tanto capace di stupirsi quanto di riconoscere e gestire il tessuto emozionale che ci suscitano dentro; agendole in modo efficace ed efficiente, riconoscendo l’impatto che le nostre azioni hanno con il sistema più grande che abitiamo; cogliendo gli echi di un mondo, di un cosmo, fuori da noi, dalla nostra immediata comprensione che pure, indistintamente, ci è presente.

Di nuovo, ad alcuni anni di distanza, a calpestare le mura di cinta che difendevano il borgo di Cittadella (1) nel medioevo o poco più. Questa volta, con Monica e Kalì, ci sono Laura ed Alberto. Con loro lungo l’unico giro di mura interamente percorribile in tutta Europa. Alberi maestosi attorno, una vista che si perde oltre tetti e colline, la schiena che freme di brividi perché lì è scorso il sangue ed ha cantato il lamento di feriti di generazioni, una dopo l’altra, succedutesi in secoli lontani.

Di nuovo, ad alcuni anni di distanza, a percorrere il “Sentiero del silenzio” (2) in montagna, oltre i 1600 metri d’altezza.

I miei occhi si inumidiscono, ombre e dolori a danzare nel cuore. Orrori di guerra e violenze, l’intreccio forte di radici che scaturiscano dal terreno scosceso per rigarne il percorso legando albero ad albero, parole di morti e poeti, sculture e rappresentazioni artistiche di uccisione e di amore. Ovunque, tracce di quella che fu guerra e massacro.

Apprendere l’arte dell’attesa e del silenzio, del muoversi piano, lentamente, è condizione fondamentale per accostarsi al mondo naturale. Arti, queste, formate passo dopo passo nell’apprendimento marziale per agire intuitivamente e non per intenzione, per pianificazione cosciente; il che è anche capacità di governare tanto il cambiamento improvviso e lampante quanto il minuscolo e sotterraneo cambiamento che avviene dentro lo stallo, l’immobilità che lo contiene. E’ il terzo anello, il “libro del Fuoco”, parte del “Libro dei cinque anelli” del guerriero Myamoto Musashi. E’ l’insegnamento profondo del Chi Sao e del SuiShuo. E’ uno dei tratti che concorre a distinguere il sapere marziale tradizionale dagli sport di combattimento. E’ ciò che si nasconde e mimetizza in Ritsu Zen e dentro ogni postura apparentemente statica che statica non è.

B.    Un ex allievo, amico profondo, mi chiede spiegazioni intorno alla mia frase: “Quello che, guerrieri, ci fa inseguire i morti perché non siano loro ad inseguirci”. E’ non aspettare che il tormento e la dannazione di morti mai del tutto dimenticati, si affacci alla coscienza. E’ andarne a caccia senza aspettare che si affaccino sull’uscio. E’ accompagnarli per un tratto, qualunque sia la sofferenza che ci impongono. Solo così, arte dell’attesa e del silenzio, eviteremo che siano loro a darci la caccia, a imporsi nel nostro mondo attuale depotenziando la nostra missione. Missione la cui qualità e potere ora, più che misurarsi con chi abbiamo sconfitto, si misura con chi abbiamo e stiamo proteggendo.  E magari non sono solo morti di carne, ma anche defunti di un passato che, a volte, fa ancora male: Quel grande amore che ci ha abbandonato distruggendo, per vanità e futilità, una famiglia e abiurando la promessa fatta; il figlio che ci ha voltato le spalle e rinnega la parola “padre”; l’allievo che ha insozzato la nostra fiducia. Il guerriero non dimentica. Il guerriero sa stare accanto ai “morti” con il sapere profondo e le armi del lampo e del tuono e mai si lascia sorprendere dal loro arrivo nel cuore e nella coscienza. Piuttosto, è lui ad andarli a stanare.

 

C.    Percorriamo il sentiero lungo le rive del Brenta. Scorre il tempo, mentre, passo dopo passo, maciniamo quattordici chilometri di sassi, sterpaglie, radici improvvise a spuntare dal terreno, erbe capricciose nel loro arricciarsi filo su filo, ombre gigantesche di alberi ancor più tali. Il rumore del fiume accanto, qualche uccello a lambire l’acqua, radi passanti che rumoreggiano attorno.

Penso alla difficoltà di vivere in una società consumistica, in cui il valore del benessere si misura col denaro da spendere. Camminare lungo il Brenta è una immediata sensazione di libertà, di non costrizione, e di una misura in disparte del tempo che neppure le chiacchiere con i miei compagni riesce a intaccare. Acque di un verde smorzato, ambiguo, che lasciano intravedere vite occulte fatte di rumori sottili, sussurri tra rocce e anfratti, contrasti di forme e colori apparentemente senza causa. Il Maestro Tokitsu Kenji, riprendendo un  pensiero di altri, scrive “Nello yi chuan non c’è un momento particolare di riposo, perché si può praticare anche mentre si riposa” (Yi Chuan). Come a dire che, in musica, anche le pause concorrono a fare melodia, in una conversazione, anche i silenzi costruiscono un significato. Ed io sto praticando anche ora. Intensamente e con passione.

 









D.    D. Incantevole il lago di Mis, acque verdi e montagne a custodirle in un abbraccio protettivo. Alle opere di ingegno naturale qui si affianca quanto costruito dall’uomo. Tocca ai Cadini del Brenton (3) far riemergere la Natura in tutta la sua esplosiva varietà: la danza irregolare dei getti d’acqua tra rocce acuminate, le chiazze d’acqua cristallina a riposare tra un anfratto e l’altro, gli scoscesi sentieri ad inerpicarsi tra gli alberi e poi a precipitare sinistramente verso il greto del fiume. Tra queste sollecitazioni visive ed uditive, a cui l’olfatto non è estraneo, densi odori di terra e radici, l’incontro tra umano e naturale prende forme concrete.

“E’ il tentativo di separare l’intelletto dall’emozione che è mostruoso, e secondo me è altrettanto mostruoso (e pericoloso) tentare di separare la mente esterna da quella interna, o la mente del corpo” (G. Bateson, antropologo, sociologo e psicologo. “Verso un’ecologia della mente”).

Allora mi godo questo bagno nella Natura. Così come, nella pratica marziale Spirito Ribelle che io propongo, eleganza, fluidità ed armonia di contrasti sono da privilegiare; una spiccata attenzione al senso della vista induce una amplificazione degli altri sensi capaci di percepire mutamenti improvvisi, cambi di ritmo e possibili pericoli, come tatto ed udito. Tutto è formazione guerriera, in ogni contesto. Tutto è ricongiunzione con madre Natura, in ogni sua manifestazione. Tutto è riconducibile a questa riflessione: “Il vero dono de I Ching è forse il poter essi guardare lontano “al di là del proprio naso” (Paracelso, Paragranum), un lontano che può essere il dentro, il molto lontano, cioè il molto profondo: se stessi” (Ernst Bernhard, pediatra e psicoanalista. “I Ching, una lettura psicologica dell'antico libro divinatorio cinese”)

 





La seconda settimana

A.    A. Non gli si dà particolare attenzione, forse nessuna. Il volatile bianco attraversa a lento procedere il sentiero: Nulla di insolito? Lui sa muoversi lieve, con noncuranza, celando chissà quale intenzione. Se intenzione c’è.

“L’azione di un maestro appare come un gesto semplice, pienamente inserito nel ritmo delle circostanze” (è il quarto anello, il “libro dell’Aria”, nel “Libro dei cinque anelli” di Myamoto Musashi). Forse quel bianco uccello è un Maestro. Forse lui padroneggia yomi (intuizione) e yoshi (ritmo), senza i quali ogni prestazione marziale è poca cosa, ogni eventuale vittoria non si sa se sia guadagnata con abilità o ricevuta in dono dal caso.

Intanto, mi par di scoprire nelle ombre che dimentica sul terreno, tra i sassi, un mondo più grande, più elevato. Quando spicca il volo radente l’acqua verdognola, sembra che il cielo si appiattisca tra le ali e guardarlo un attimo scomparire dietro gli alberi mi prende il respiro, che l’eternità del mondo è racchiusa, ora, in un solo flebile e intenso momento.

 

B.    B. La serata è calda, sul terrazzo di Susy. Con noi anche Anna, esperta professionista della pallavolo, e Alberto, imprenditore del giardinaggio, da alcuni anni ciclista dilettante alle prese con gare amatoriali. Monica cucina uno squisito “spaghetti e vongole”, il vino bianco scorre languido.

L’intreccio delle discussioni è tanto rapido quanto acceso. Si incontrano e scontrano idee, pregiudizi. Si alza la voce e si interrompe l’interlocutore. Si afferma semplificando e si ode l’altro parlare, non so quanto “ascoltandolo”. Nulla di nuovo. E’ prassi che colgo consolidata sovente, in ogni ambiente e su ogni tema.

Le discussioni vivaci, dove ognuno porta se stesso con tanta foga, sono caotica danza sostenuta dagli ormoni dello stress, i corticosteroidi, quelli che, appunto: “stressati”, producono pensieri frammentari e superficiali. Solo calmare questi ormoni potrebbe consentire a una persona coinvolta di ascoltare e padroneggiare cosa gli sta succedendo dentro. Solo creando uno spazio interiore daremmo vita ad una respirazione, una lentezza e un orientamento dell’attenzione capaci di indirizzarci verso l’interno di noi piuttosto che verso l’esterno e il conflitto con l’altro. Solo silenzio e lentezza sposterebbero il confronto che vede generalmente l’essere più colpiti dall’impressione che l’altro suscita in noi piuttosto che analizzare il contenuto della condivisione.

Siamo tutti, più o meno, fatti così. Convinti che sia l’apparato mentale a elaborare desideri, pulsioni o strategie e dimentichi che è invece un complesso d’input originati dal corpo “Leib” (4) continuamente condizionato da come noi ci percepiamo; che molti meccanismi cerebrali e anche funzioni che solitamente definiamo come “mentali”, dunque di cui noi saremmo consapevoli (!!) e capaci di padroneggiare, avvengono in modo automatico seguendo schemi appresi e giacciono sperduti nel nostro profondo.

Ecco, in questa densa serata tra amici, mi ricordo del bianco volatile, del suo vivere dentro yomi (intuizione) e yoshi (ritmo). Sì perché praticare un’arte marziale, così come noi facciamo allo Spirito Ribelle, è imparare come funzionano le cose nel mondo reale, quello di tutti giorni, proprio sperimentandoci nelle varie forme del combattimento con e contro uno o più avversari e facendone sapere esperienziale strategico e tattico, emotivo ed intuitivo, da investire nei confronti familiari, amicali, lavorativi ecc.

Apprendere l’abilità nel gestire con destrezza il ritmo, di percepire il momento giusto e utilizzarlo in ogni nostra azione, racconta una delle più pregiate capacità che l’individuo possa sviluppare e da cui dipenderà in gran parte il suo saper stare negli incontri e scontri di ogni dì. Anche in questa calda serata tra amici, montagne sullo sfondo e cielo come scavato da brividi sotto i quali la concitazione di noi umani chiama altri brividi, prendendoci un po' alla testa.

 

C.   C.  Il palazzo, bellissimo, non smette mai di stupirmi. Lì dentro, palazzo nobiliare seicentesco, una immensa libreria (5), tra legno, marmo ed affreschi, un giardino a piano terra ed una terrazza all’ultimo piano entrambe a disposizione di chi voglia sfogliare questo o quel libro o, semplicemente, rilassarsi all’aria di Bassano. E’ la Libreria Roberti.

So già dove dirigermi, io che sono un avaro lettore di romanzi (6). Salgo al piano superiore e mi reco presso gli scaffali che ospitano libri di psicologia nei suoi vari aspetti e filosofia di ogni parte del mondo. Lascio che il tempo scorra lieve. Come il ventre di un enorme mostro, qui abbondano idee e narrazioni di pratiche che parlano di leggende, miti, scontri a volte titanici a volte scontri piccoli di vita quotidiana, soprusi e investimenti passionali, dissertazioni dotte e pompose e frasari violenti, teorie di vita possibile e investimenti culturali di vita migliore. Sempre bello muovermi dentro il ventre del mostro, leggiucchiando qui e là, soppesando l’equilibrio difficile tra portafogli e prezzi, tra voglia di sapere e tempo che ho da dedicarvi, tra sogno di conoscenza e mie reali capacità di comprensione. Poi, arriva il tempo di uscire dalla bocca del mostro… con un paio di libri in mano!!

 

D.   D.  Impressionante come il frastuono di fondo della pianura scemi rapidamente, mentre in auto saliamo verso la cima Grappa, a oltre 1700 metri. Avvolgiamo tornante dopo tornante, nel silenzio di qualche ciclista affaticato. Arrivati in cima, ci accolgono odori e colori di uno spessore che andrebbe attraversato tutto per assaporarne la profondità. Ma la voglia di inerpicarci per uno stretto sentiero che serpeggia lungo il monte è tanta, troppa per farci fermare ad ascoltare. Un vento debole, il sole sul viso, le postazioni che videro all’opera di morte e sangue le mitragliatrici ci scorrono ai fianchi. La prima volta che venni qui fu una decina di anni or sono e, con Monica, Lupo bimbetto e la coetanea Emma, ci prendemmo tutto il tempo per entrare nei ricordi di un mondo nefasto, fatto di soldati impauriti e di coraggio nel resistere al nemico, per attraversare trincee, per scalare i gradini che portano al santuario (7) che ricorda gli orrori di quella che fu la “Grande Guerra”. Oggi la visita è più lieve. Complice la presenza di Kalì, che non ha accesso al santuario, è la sola Monica a visitarlo di nuovo, lei che lo conosce bene data la giovinezza passata a Bassano. Io mi fermo a guardare il panorama, io che nella montagna, in ogni montagna, ritrovo gli echi delle intense pagine che vi dedicò Julius Evola. Sarà lo scorrere degli anni, dei decenni, che si è accumulato sulle spalle, sarà quel gioco un po' sciocco e un po' perverso di lasciar sfilare i giorni che son passati, di rievocare incontri e avvenimenti che la mente comincia a dimenticare, sarà per tutto questo che la montagna immobile sembra una divinità estranea che mi guarda con distacco, mentre le nuvole che dalla pianura salgono a coprirla paiono lacrime di complicità per un uomo solo che sta a lì a guardare.

Riscendiamo a valle, aria tesa e incattivita tra noi due. Occhi differenti, cuori differenti. Cedere, non sempre paga; seminare dolori, mai. Poi, complicità e voglia di stare insieme, di leggere ognuno negli occhi dell’altro qualcosa di totalmente intimo come un “Mi sei mancato”, hanno la meglio.

 






La terza settimana

A.    Buio in sala. Movimenti lenti, ritmati. Corpi nudi a scrivere forme e gesti di una vita, di più vite. E’ Zoe, spettacolo di danza all’interno della rassegna “Opera Estate”. Anche quest’anno, la rassegna straripa di iniziative, tra musica, danza, cinema e teatro. Tra un impegno e l’altro, riesco a spuntare una sola serata di spettacolo, così, con Monica e Susy, eccoci presenti.

Decisamente brava la coreografa Luna Cenere nel proporre gesti e movenze ieratici, a volte curiosi; altrettanto bravi i cinque artisti, tra cui la coreografa stessa. Al di à di piccole sbavature d’insieme, spettacolo denso ed emozionante, esplorazione totale del grado zero della vita, dell’invisibile, del mistero racchiuso in ogni nascita e trasformazione. Non a caso la parola zoe origina dal greco ζωη, che significa "vita", vita intesa come essenza del vivere.

Unica nota negativa, i vistosi tatuaggi sul corpo di una delle danzatrici.

Ho già scritto quel che penso di questa sciocca e sciagurata moda (quanto, apparirà sul prossimo numero di SHIRO alla fine di Settembre), poi ognuno la pensi e faccia come vuole. Qui mi preme sottolineare che se, in ambito artistico, proponi un corpo nudo come simbolo della nudità, di TUTTI i corpi nudi, non puoi presentarlo con due enormi triangoli neri evidenziati appena sopra il culo. Passi, a fatica, per l’enorme disegno che, posto appena sotto l’ascella, almeno spesso scompariva nel gioco dei gesti; passi per la scritta, esile fortunatamente, che un’altra danzatrice mostrava appena sopra l’inguine, ma quei due triangoli neri erano troppo evidenti in sé, una evidenza ripetutamente sbattuta in faccia visto che per gran parte dello spettacolo i ballerini erano di spalle al pubblico. Così vistosamente tatuato, quel corpo smette di essere il corpo che è tutti i corpi, per diventare immediatamente “quel” e “quel solo” corpo. Si perde ogni magicità, ogni identificazione, e quel corpo, quel culo, restano corpo e culo della signorina, mai e poi mai corpo e culo dell’individuo – mondo.

 

B.    Spirito Ribelle incontra il fiume Brenta. Il mio sguardo si piega ad ogni sbalzo d’acqua, ogni sbuffo liquido è una carezza di troppo sul cuore. Spirito Ribelle il fiume lo accosta con riguardo, con rispetto. Lui scorre placido, mai fermo, solo, a tratti, pare assopirsi in un’ansa dove uno sguardo non distratto può ascoltare la voce vera del cielo e delle stagioni.

Mi divincolo e poi scivolo tracciando tragitti di calci, schivate e pugni; Respiro profondo, attingendo all’energia dei reni, nel coccige là dove Medicina Tradizionale Cinese e Osteofluidica indicano abitare l’energia vitale, quella comunemente chiamata Kundalini, sorta di serpente arrotolato pronto a distendersi spiraleggiando lungo la colonna vertebrale. Quell’onda shock che ci distingue, quell’onda che Spirito Ribelle sappiamo far salire dalla Terra premendo e spingendo, o, all’inverso, attrarre dal Cielo tirando. Successione di spirali, autentica forza esplosiva; Ki (o Chi) che si esprime nutrendosi di una fisiologia ed alchimia del corpo capace di amalgamare sapere taoista e studio esperienziale di tutti i sistemi del corpo secondo le più recenti esplorazioni dell’Anatomia Esperienziale e del Body Mind Centering.

Il Brenta e tutti i fiumi parlano la stessa lingua, ed io, Spirito Ribelle, tento visualizzazioni e passi che mi uniscano alla sua voce, che è fluida, tenera e potente insieme, Voce, col suo andamento armonioso, che spiega come sia bene discendere, tendere verso il basso, verso il profondo, anche se a guardarlo, il fiume pare invece che si muova restando, suggerendomi qualcosa che non so ancora, qualcosa che, per esporsi, aspetta proprio me, purché io sappia attendere ed ascoltare in silenzio.

E sono i passi e i rapidi cambi di ritmo del Pa Kwa, lo scorrere dei gesti del Tai Chi Chuan, l’ebrezza letale del Taiki Ken.

Poi, il distacco. Spirito Ribelle si incammina lungo gli argini, verso il ponte che simboleggia Bassano e, piano piano, Spirito Ribelle si lascia andare, si accasa dentro di me mentre io riprendo sembianze e fattezze e pensieri del Tiziano che sono. Domani, si torna a Milano.

 

1. https://www.visitcittadella.it/monumento/la-cinta-muraria/

2http://www.sentierodelsilenzio.it/

3. https://www.magicoveneto.it/belluno/vallemis/Cadini-del-Brenton-Lago-del-Mis.htm

4.Husserl pone le basi per una nuova ontologia, distinguendo il Leib dal Körper: il primo è il corpo vivo, è la carne, esso si muove con l’essere umano ed è un corpo che sente e patisce; il secondo è il corpo cosale, che abita in un mondo fisico insieme a tutti gli altri corpi(https://www.psicologiafenomenologica.it/leib-korper-ripensare-fondamenti-psicopatologia/)

5. https://www.palazzoroberti.it/it/palazzo_roberti

6. Di questo paese, già nel 2010 Andrea Camilleri diceva che vi vivevano 2 milioni di analfabeti totali,13 milioni di semianalfabeti, che sanno firmare o leggere ma che non sanno comprendere quello che leggono, 13 milioni di analfabeti di ritorno, che hanno perso l’uso di lettura e scrittura: Metà della popolazione!! Gli anni successivi, tra indagini varie e prove invalsi, non hanno fatto che confermare quanto. In questo desolante panorama, i dati ISTAT ci dicono che, in Italia, mediamente, vengono pubblicati 237 libri al giorno (!!) e che i lettori di libri sono il 40,0% delle persone dai 6 anni in su. Tolti, così, gli studenti “obbligati” dall’istruzione a leggere, la sproporzione tra libri in vendita e lettori è enorme. Ma, si sa, in questa società di “influenzatori” e narcisisti, dove ognuno deve dire la propria su qualsiasi argomento, esibirsi con il vestitino della festa o l’ultimo cellulare uscito, scimmiottare il mondo dei vip, vuoi che qualsiasi parvenu che sappia più o meno mettere in fila due parole non scriva un romanzo? Non so chi ne siano i lettori. Forse si leggono l’un con l’altro per giustificarne la pubblicazione. Certamente, tolti coloro i quali il libro lo comprano per regalarlo ad altri (che magari poi nemmeno il libro lo legge!!) o per farne arredamento di scaffali altrimenti vuoti, tolti analfabeti e i vari tipi di semianalfabeti, mi risulta facile capire che lettori e lettrici siano gli stessi che abitano quotidianamente quella che Giampiero Mughini chiama la “fogna social”. Insomma, imbecillità culturale sostiene altra imbecillità culturale. Altrimenti non si spiegherebbe il successo di romanzi che nulla hanno da invidiare alle collezioni Harmony in quanto a superficialità e scrittura monocorde. Forse, sta qui il loro successo: Avere sostituito, con malriuscite pretese di “livello, quelle “storie di facilissima lettura e fruibilità trasversale – risultano cioè comprensibili e avvincenti anche per persone di scarsa cultura e non abituate a leggere (https://www.graphe.it/news-approfondimenti-i-libri-harmony-tra-pregiudizio-e-realta-storia-di-un-successo-nascosto-6817.html)

7. https://www.difesa.it/Il_Ministro/ONORCADUTI/Veneto/Pagine/CimaGrappa.aspx