lunedì 21 ottobre 2013

La donna incontra l’arte della difesa personale

Vi faremo la cosa peggiore che si possa fare a un avversario:
vi toglieremo il nemico”
(Georgij Arbatov, consigliere di Gorbaciov)

Inutile raccontar palle: la difesa personale, antiaggressione, proprio perché è difesa da un predatore violento, rabbioso, è pratica anche lei violenta e che pesca nell’animalità più truce, negli istinti primitivi e selvaggi.
Nulla a che vedere con i corsi “in rosa” e simili grottesche pratiche che vanno ora tanto di moda: le difese da presa al collo, le raffiche di palmate al viso, le leve articolari contro un pugno, le ginocchiate ai genitali. Tecniche e, più in generale, pratiche poco o niente efficaci in sé e tanto meno quando prive di un approccio  al fisicoemotivo, alle emozioni della donna a cui sono vendute; quando prive di un recupero dell’energia aggressiva femminile che è stato rimossa, sostituita da autoaggressività, ovvero frigidità, depressione, ansia di controllo, ecc. e repressione del desiderio in toto.
Le donne mi sembrano ipoaggressive oppure iperaggressive per compensazione. In altre parole l’ipoaggressività e l’iperaggressività si presentavano come diverse manifestazioni sintomatiche di uno stesso problema: la difficoltà a riconoscere e a proteggere la propria identità e il proprio progetto di vita.” (Marina Valcarenghi: “L’aggressività femminile”)
Quando poi a proporre corsi e lezioni  sono docenti , maestri, professori,  da un lato privi di esperienze “di strada”, di aggressioni fatte e subite, di violenze perpetrate e subite, dall’altro privi di alcuna formazione ed esperienza nell’accompagnamento ed accudimento del dolore e del panico femminile, di soggetti donna traumatizzati, ecco che il corso deficiente ed illusorio è bello che impacchettato per donne abbindolate e docenti business man.
Con questa consapevolezza,  della “fuffa” che circola ovunque e della profonda differenza con quanto noi siamo in grado di dare, eccoci a proporre una serata in cui “ La donna incontra l’arte della difesa personale”.
Promossa in collaborazione con il Caffè Biologico “NaBi”,  la serata ci ha visto occupare un tratto del marciapiede di via Cadore, la sera di sabato 19 Ottobre.
E’ solo un incontro, un assaggio”, ho subito precisato per le presenti, perché, appunto, ci vuole tempo e capacità di lasciar uscire le emozioni difficili, senza soffocarle con consigli o direttive;  tempo e conoscenza profonda della personalità umana, in particolare quella femminile che non è quella maschile; tempo e conoscenza di un minimo del corpo umano, laddove l’emergere  dei corticosteroidi, i fomentatori di pensieri frammentari e inconsulti, sia sostituito da un ascolto profondo; tempo e capacità di lasciar riaffiorare i gesti istintivi, che poi sono diventati ovvi e meccanici, per recuperarli nella loro spontaneità mondandoli da ogni aspetto down, di sottomissione, per tradurli, di nuovo, in gesti, in azioni up, che sappiano rispondere efficacemente in una situazione di crisi improvvisa; tempo e capacità di accettare le forze pulsionali che si agitano in noi, le uniche a cui attingere perché il difendersi abbia possibilità di riuscire: “Accade spesso che la sfida faccia sì che il mostro si trasformi in un alleato” (A. Jodorowsky: “Psicomagia”)
Per questo, abbiamo lavorato, pur se restando in superficie, su distanza ed intimità, capacità di sostenere uno sguardo e assertività, recupero di pochi gesti istintivi e loro adattamento alla soluzione del conflitto.
Per questo l’abbiamo fatto affidandoci, principalmente, al sapere del Wing Chun. Arte che, almeno nella nostra interpretazione che delle sciocchezze che vedo in giro non mi assumo alcuna responsabilità, più si adatta, nella sua frugalità e violenza estrema, ad essere linguaggio adatto alla difesa antiaggressione.
Una serata breve ma … intensa.
Poi, per chi ha voluto, pizza e birra e chiacchiere fino a tarda sera, come ben si confà ad una comunità di individui amici che, insieme ed ognuno con il suo “passo”, costruisce di sé e del proprio crescere nelle relazioni.
Un grazie a tutte e tutti coloro che sono intervenuti, che sia stato per praticare o solo per vedere, che fossero della Scuola o  semplici amici, che fossero volti noti o volti sconosciuti: per una sera, comunque, insieme.


“Il controllo di se stessi non si ottiene  mediante ragionamenti, ma attraverso l’educazione di un essere vivente. Occorre quindi provocare delle emozioni per imparare a controllarle” (M. Feldenkrais)







lunedì 14 ottobre 2013

Sulle tracce di un pugilato primitivo

“Poiché lo scopo è l’insegnamento di un metodo d’azione, poco importa il particolare movimento che servirà a questo scopo. Si vuole insegnare un metodo d’azione che è fisiologicamente il più adatto all’uomo”.
(M. Feldenkrais)


E’ una forza esplosiva. E’ arte che vive nel conflitto, vive di conflitto.
Cinque adepti del Wing Chun Boxing, ai giardini delle Rotonda della Besana, Milano, tra mura che sanno di antico, un cielo ombroso ed una luce incerta a colorare le ombre nere.
Le ombre nere di noi artisti del Wing Chun Boxing.
Rallento nei gesti, respiro aprendo le narici al vento lieve, mi prendo cura di me. E accudisco il crescere dei miei allievi.
L’ironia ed il sarcasmo di Claudio. La femminilità aggressiva di Angelica. L’impegno di Giovanni. La concentrazione totale di Valerio.
I gesti si fanno esplosivi. Il cuneo del Wing Chun Boxing prende forme diverse, tutte espressioni dell’identico istinto predatorio.
Le radici sprofondano e si espandono nella terra umida, come l’assalto guerriero si riversa, forza gentile e letale insieme, a soffocare ogni spazio intorno, a frantumare ogni ostacolo davanti.
Il nostro Wing Chun Boxing è materia viva, è arte drammatica.
Niente a che vedere con le meccaniche sterili che ne mostrano una forma fissa, un carapace di ripetizioni, privo di energia animalesca, privo di cuore e pulsioni.
Niente a che vedere con i goffi tradimenti, le approssimative scopiazzature che appiccicano all’Arte del Wing Chun tecniche e soluzioni malamente importate dallo sport o da altre conduzioni lottatorie.
Noi abitiamo il tocco sottile che è risveglio del corpo, che esprime Wing Chun: L’Arte della continua trasformazione, dell’incontenibile risveglio, della “Eterna Primavera”, così recita la traduzione dalla lingua cantonese.
E siamo in Autunno, nel mese di Ottobre, a intrecciare relazioni, incontri e scontri, a praticare Wing Chun Boxing per un pugno di ore, nei giardini della Rotonda della Besana.

“Volgendo lo sguardo al cielo, posso distinguere una stella più piccola, perché ce ne sono di più grandi e se non ci fosse il cielo nero, non ci sarebbero nemmeno le stelle. Non si tratta di  una lotta tra il bene e il male, ma piuttosto  del fluire come onde nell’acqua”.

(Bruce Lee)






mercoledì 2 ottobre 2013

Gyo. Sì ma dove ? Come ?

Il piccolo semicerchio davanti a me. L’incenso brucia.
E’ matsuri: la cerimonia di nominazione del mio nuovo katana.
Chiamo a me il M° Valerio ed Angelica.
Silenzio.
Le mie parole escono lentamente, mentre parlo di impressioni … un predatore agile e famelico,  una lama scorrente e luccicante che appare e scompare fra le ombre del verde stropicciato ai miei piedi. Mentre rievoco radici lontane, profonde, echi di un mondo selvatico, di libertà e di caccia, di senso dell’agguato. Mentre parlo di chi ha condiviso con me il primo incontro col katana: un amico carissimo, Paolo, e mio figlio Lupo. Un figlio a cui ho dato il nome beneaugurante di un cacciatore, di un essere libero tra i liberi, di un abitatore di un mondo oscuramente rievocato nelle pulsioni: un nome che è augurio di libertà e determinazione, di perenne contatto con i propri sensi.
Il nome con cui riconosco questo katana è Lupo.
Il mese in cui questo katana è venuto a me è il mese dell’autunno che transuma dal rosso caldo dell’estate al gelo dell’inverno. Il mese delle foglie trapuntate di colori avvolgenti, del verde che si perde nell’oro e nel marrone, nelle sfumature di rosso e di viola. I colori che vedo ornare il koshirae, l’ “abito” del mio katana. Il mese in cui è morto mio padre.
Il mese in cui tutto ciò è accaduto è Settembre.
Gyo, che è andare, procedere, trasformarsi. Sì, ma dove ? Sì, ma come ?
Lupo di Settembre,  è questo il nome completo che io dono al mio katana.
“Mio” nel senso che condivido con l’amico Paolo: è un’arma, un oggetto prezioso, che vive da quattro secoli e di cui ora io testimonio la presenza. Non ne sono il proprietario. Io sono solo colui che ne testimonia  la presenza attraverso lo scorrere del tempo, degli anni. Io sono il suo temporaneo custode.
Come tale, Lupo di Settembre mi accompagnerà lungo il mio percorso, onorando io la sua storia di secoli ed adattandovi la mia.

Perché il nostro Gyo sia denso di potenza e rispetto insieme. Per tutto il tempo che vorrà Iddio, il Grande Coniglio, il mistero della vita …