lunedì 20 ottobre 2014

Un guerriero del colore sbagliato


“Occorre coraggio per portar avanti un sogno; occorre coraggio per perseguire un risultato di fronte a dubbi e difficoltà; occorre coraggio per provarci lo stesso e comunque e magari anche se non sembra possibile”
(P. Ragusa)

 Ancora (incredibile !!) una Domenica mattina libera da impegni.
Ma, questa volta, non “invito” Lupo a venire con me ai giardini. Suggerisco a Monica e Susy, la sorella, di venire con me: Lupo, così, si troverebbe, suo malgrado, costretto ad uscire. Nessun tono perentorio, nessun ordine, nessuna costrizione palese, nessuno dei soliti ricatti genitoriali “Se non fai …, non vai a calcio, non esci con gli amici, non …”.
Solcare il mare all’insaputa del cielo”, così chiama questa strategia il generale Sun Tzu, autore de “L’arte della guerra”.
Me le due fanciulle, complice l’essere rientrate alle tre di notte, restano accoccolate sul divano.
Che fare ? Sun Tzu, ed io lo piego ai rapporti di coppia, scrive. “Si dice aperto un terreno in cui la forza dell’attacco è pari per noi e il nemico. Su questo terreno, sfidare allo scontro è rischioso e combattere non è vantaggioso”. Amen
 
Pratico il mio Tai Chi Chuan, leggero e potente insieme, tra cespugli ed alberi sfiorati dal sole.
L’idea di Lupo a casa, avvinghiato ad un telecomando, ad un videogioco, ad un televisore, si allarga a considerazioni più generali. Ai tanti bimbi e ragazzi fragili, di fisico ed emozioni, che vado incontrando in questi ultimi anni.
Una fatica, un livido, un contraddittorio, paiono loro ostacoli insormontabili. E questa debolezza la leggo ogni giorno nei giovani, poco più che adolescenti, che ho davanti alla scrivania mentre mi rapporto con loro alla ricerca di una lavoro, di un’occupazione professionale o di un raddrizzamento del loro zoppicante percorso di studi.
I miei pensieri marziali, serpenti agili, si srotolano lungo gli anni, gli anni ’80 e si illuminano su quel bimbetto che, dopo un’intera giornata di pratica marziale all’aperto, nei boschi, a mezzanotte, tra un pugno ed una spinta, crollò addormentato di botto  tra le braccia di Giuseppe e, portato in braccio dal bosco alla camera da letto, dormì placido tutta la notte per svegliarsi al mattino affamato e forte come un lupacchiotto; al manipolo di bimbetti che Claudio portò a correre e rotolarsi a terra su e giù per il terreno scosceso della montagna, sotto una pioggia battente e l’indomani tutti regolarmente a scuola, sani e felici; agli spettacoli di Teatro Marziale in cui  mio figlio Kentaro, non ancora dieci anni, si esibiva in teatri, palazzetti, piazze, buttando cuore e corpo oltre l’emozione di esporsi davanti, a volte, anche migliaia di persone, scambiando calci e pugni e bastonate con “avversari” adulti, grossi tre volte lui.
Mah, sono i tempi che cambiano.
Ora abbiamo bimbi ipernutriti ed iperprotetti, che indossano il casco seduti in sella ad una bici con le rotelle; che frequentano un corso dopo l’altro ma sempre sotto la tutela vigile di un adulto e mai a confrontarsi e confliggere tra pari; che vengono scortati e protetti e rassicurati sempre e mai incoraggiati ad osare, ad accettare il rischio e la sconfitta e la delusione e financo la noia come parti integranti il vivere quotidiano.
Una società ginecocratica, femminilizzata, che perpetua e crea vecchi e nuovi bisogni con i quali lega ed induce alla dipendenza perenne, si riflette nei rapporti genitori / figli. E, fattisi questi ultimi adulti, almeno anagraficamente, comperiamo loro la casa, troviamo loro il lavoro e magari pure la moglie !! Mamme che ancora cucinano e stirano per figli trenta / quarantenni, sempre che a sostituirle nel ruolo di accudimento non ci siano mogli / compagne ben poco adulte e molto, a loro volta, “mamme” !!

Il mio praticare scema lentamente, in questa pigra Domenica d’autunno. Entro all’Ipercoop per un paio di acquisti: avremo a pranzo anche la nipote di Monica ed il fidanzato, allora la dispensa va rimpinguata. Un’orda immane, tentacolare, di clienti tutta stretta intorno, carrelli e persone, confezioni di cibo e sacchetti. Mai vista tanta gente tutta insieme in un supermercato. Poi, scopro l’inghippo: c’è il 10% di sconto sulla spesa e l’orda famelica di acquirenti si è tutta riversata lì.  Qualche euro in meno barattato con un paio d’ore di spintoni, affanni, piccole prevaricazioni,  screzi e fila davanti alla cassa. Boh ?!
Penso che mi spiace invecchiare e, probabilmente, mi spiacerà ancor di più morire, ma questa società non è la mia società, questi valori di “plastica”, di consumismo, di vigliaccheria e paraculaggine, non sono i miei.
Già, Giovedì sera tonerò dal Dojo e ci sarà qualcuno incollato al televisore, bevendosi l’idea che sia un giudice autorevole e qualificato chi mastica e sputa la sua fragilità tra eccessi e droghe e giovanissime concorrenti circuite e messe incinte; chi vende musica da duri del ghetto vivendo nella placida Milano  tra ogni agio e frequentando trasmissioni televisive di stampo nazionalpopolare; bevendosi l’idea che siano artisti dei giovani efebici, uguali l’uno all’altro, uguali nelle voci e nelle mossette, uguali nel delirio dell’aspirare ad una carriera da star.
Cosa ne scriverebbe il nostro Sun Tzu ? Mmmhh… “Perciò, la forma che fa conseguire la vittoria non è ben definita, ma muta ogni volta”.
Dai Tizi, non mollare. Pensa ai grandi nomi che ti hanno preceduto e, con loro, ai molti sconosciuti che, come loro, hanno lottato, che si sono battuti “contro” e lo fanno ancora oggi.
Pensa a Mario Lodi che, a scuola, capovolse la cattedra e, spintala contro il muro, ne faceva stia per mostrare come nascevano  e vivevano i pulcini; a Danilo Dolci ed al suo operare nel “Borgo di Dio”, a Daniele Novara, a Enzo Spaltro,  a Stefania Guerra Lisi, a Claudio Risè.
Dai Tizi, tu sei un modesto nano rispetto a loro, ma sei ancora qui a lottare per accompagnare chi lo voglia, per mostrare a chi lo voglia, che “adulto” è bello, adulto coraggioso ed autodiretto è bello e possibile, che valori come la frugalità ed il dono non sono (ancora) morti.

 “Così mi è apparso chiaro, questa nostra società disprezza il valore profondo della vita. L’ossessione del controllo e della sicurezza ha invaso ogni settore, le nostre città, la politica, il lavoro, la scuola, le leggi, i parchi giochi, gli asili, le relazioni, in poche parole la vita.
Sono madre di 4 figli, lavoro a tempo pieno da circa 20 anni (il mio primo ha 19 anni, la mia piccola 2 e mezzo) e in questi anni ho visto ridursi lentamente ma inesorabilmente gli spazi che nelle nostre città sono riservati al libero movimento dei nostri figli. Lentamente sono state tolte le libertà e autonomie ai bambini, e di fatto si sta spegnendo nei nostri figli quel desiderio autentico della scoperta, dell’esperienza non sotto lo stretto controllo degli adulti. “Controllo ossessione possesso malattia”: la nostra società e noi che ne facciamo parte siamo tutti affetti da questa malattia.
Uomini che vogliono controllare lo spazio che abitano le donne, donne che vogliono controllare lo spazio che abitano i figli, politici, scuola, istituzioni, che dietro la parola sicurezza costruiscono recinti nei quali di fatto le responsabilità sono scaricabili a catena. Controllo, parola che etimologicamente è legata alla parola contratto, dunque le nostre relazioni ridotte a dei contratti. Non abbiamo fatto la fame, non abbiamo fatto la guerra, non abbiamo sofferto il freddo, ma viviamo come se fossimo in condizioni estreme tutti i giorni. Ci stiamo perdendo i nostri figli ai quali neghiamo la conoscenza attraverso l’esperienza e quel credito di fiducia che ci ha permesso di diventare adulti. Abbiamo così paura dei rischi che siamo disposti a farli vivere in recinti pur di non farglieli correre, dimenticando che quei rischi sono stati il sale della nostra vita di giovani e la spinta a diventare adulti responsabili”
(R. Trucco)






mercoledì 15 ottobre 2014

E si festeggia ancora !!


Una dozzina di volti “vecchi” ed uno “nuovo”, Sandro, appena entrato nel nostro clan.
Quando c’è da festeggiare … il Dojo si riempie. Sempre.
A festeggiare i passaggi di grado di Giovanni, Roberto ed Annalisa.
A festeggiare, con ciò, un tratto di strada percorso insieme.

Festeggiare è tanto ribellarsi all’esistente: fatichiamo e sudiamo e ce le diamo in pedana ? E noi ora si fa “comunella” e si gozzoviglia in totale relax; quanto riaffermazione dell’esistente: siamo individui che fanno gruppo, che stanno insieme.
Festeggiare è compiere un rito, è connettersi  con gli scopi profondi dell’esistenza umana ( la rinascita, il cambiamento, il rinnovamento, la rigenerazione) ovvero, qui celebrare un cambiamento rappresentato dal passaggio di grado, quanto riaffermare il ripetersi di un appuntamento, ancorarsi alla Tradizione: ogni passaggio di grado va festeggiato, ne va fatto segno e simbolo con una festa.
Festeggiare è  coniugare il senso della vita con i sensi del corpo, dare libero impulso all’istinto della fame ed ai sensi del piacere.
Fame e piacere, per andare su un piano prosaico, abbondantemente saziati da una succulenta torta salata, da focacce, da un affettato direttamente giunto dai contadini della Calabria e da un pezzo di formaggio grana e poi le torte dolci, il tutto abbondantemente innaffiato da vino e birra.
Chiacchiere a volontà, pacche sulle spalle, abbracci.

Il viaggio marziale, pugni, calci, leve articolari e proiezioni al suolo e lotta a terra, tirar di coltello e menare di bastone, sfoderar di spada e lanciare falciate letali, archi cruenti di morte, questo nostro viaggio continua. Continua dentro ognuno di noi: per essere ed esistere consapevolmente.






giovedì 9 ottobre 2014

A gambe all’aria


“Come mai quando mescoli acqua e farina, ottieni colla e quando aggiungi anche uova e zucchero fai un dolce ? Dove va a finire la colla ?”
(R. Rudner)

Mattinata di sole. Ai giardini, l’anziano sessantenne sfoglia distrattamente le pagine de “la Gazzetta dello Sport”; attorno a lui, un bimbetto, forse il nipote, scorrazza vivacemente, saltando tra aiuole, praticelli  e lo scivolo. A volte, l’anziano, alza la testa e getta un’occhiata protettiva al bimbo. No, non è il nipotino. Da come gli si rivolge è evidente che si tratta del figlio: questi tempi moderni hanno portato sempre più paternità “anziane”, o “consapevoli”, come è più “politically correct” chiamarle.
Beh, anche io sono un genitore “consapevole”, come quell’anziano ai giardini. Anzi, quell’anziano ai giardini sono proprio io, io come mi immagino una tranquilla Domenica in famiglia. Domenica eccezionalmente priva di incontri e lezioni privati, di seminari di gruppo. Domenica, dunque, interamente dedicata alla famiglia, appunto.

Invece no, perché è tutto frutto della mia insana immaginazione. O meglio, tutto è capovolto nella mia insana immaginazione. Entrambi, io e Lupo, siamo ai giardini, ma sono stato io a insistere perché Lupo strappasse le sue tenere chiappe dal divano. Sono io quello che salta e suda, non tra aiuole e scivolo, s’intende, ma sciorinando la mia danza Tai Chi Chuan tra cespugli e praticello, mentre è lui quello incollato alla panchina, capo sprofondato nella lettura ( beh, non certamente della “Gazzetta”, dai !!)

Lo scrissi già un paio d’anni or sono, trattando di educazione e “sapere”, laddove le nuove conquiste tecnologiche hanno ribaltato, messo gambe all’aria, il tradizionale passaggio. Non è più l’anziano a spiegare le cose del mondo al giovane, ma è quest’ultimo, autentico genietto della tecnologia, a guidare lo spaesato anzianotto tra web, giga e Wi Fi. E questo, anche se avviene in un’isola tra le tante terre del sapere umano, è profondamente indicativo, emblematico del cambiamento e, soprattutto, foriero di estendersi ad altri campi del nostro sapere.

Un cambiamento che, con la sindrome imperante dell’eternamente giovane, con lo sparire del complesso di Edipo per lasciar spazio a quello di Narciso, con il conflitto generazionale sul lavoro, artatamente messo in atto dai poteri forti e dai soliti politici del malaffare,  spinge sempre più in un angolo l’anziano, il mondo ed i valori anziani, il loro passare il testimone ai giovani, per dare invece libero sfogo ad una incerta quanto prepotente egemonia giovanilista, di giovani e giovanissimi.

Tra stampanti in 3D, nanotecnologie, intelligenza artificiale, un impressionante sviluppo tecnologico che, in poco più di un ventennio, ha corso come un secolo intero, non c’è da stupirsi che l’anziano abbia perso gran parte di quel rispetto che l’esperienza gli dava agli  occhi di uno “sbarbato”. E pare del tutto naturale quello che solo vent’anni fa sarebbe parso abnorme o , quanto meno, riservato a pochi, pochissimi. Ovvero, che un giovanotto di ventisette anni, mio figlio Kentaro, per lavoro, ceni in un’isola della Spagna, l’indomani faccia colazione, sempre di lavoro, a Barcellona, pranzi, ancora per lavoro, a Roma e, finalmente, il giorno stesso, metta le gambe sotto il tavolo per la cena a Milano.

Ancora un volta mi vengono in soccorso le Arti Marziali, con  il caro Sun Tzu; “Solo con l’addestramento si può ottenere disciplina , in caso contrario, vi sarà indisciplina”.  Ovvero, attenzione costante alla persona in tutte le fasi della sua crescita, capacità di accompagnare e guidare in modo costante ma invisibile e non invasivo. Sun Tzu ci spiega che se la truppa è indisciplinata, responsabile è chi ne sta alla testa. Dunque, non importa saper usare con disinvoltura una semiautomatica, importante è saper guidare in battaglia, con strategie vincenti, chi la semiautomatica la maneggia, anche se noi ancora siamo fermi  ad armeggiare con la pistola ad avancarica.

Allora, presto, in casa, l’arrivo di Kaos, un cucciolo di Boston Terrier, che sarà quotidiano ed eccitante motivo di distacco dal divano per le tenere chiappe di mio figlio Lupo. Chiappe che non potranno esimersi dall’agitarsi, gambe comprese, dietro alle scorribande del cagnolino, mentre io, forse suderò col Tai Chi Chuan ai giardini o … forse, seduto su una panchina, starò a godermi i caldi raggi del sole, che “la truppa” si sta esercitando al movimento ed alla corsa !!

 “La creatività non fa a pugni con la disciplina”
(J. Cruijff)