giovedì 29 dicembre 2022

Vomito arcobaleni





Che non sarà una frase delicata, forse, ma…mentre sto scrivendo queste righe ho mille emozioni dentro che prendono a pugni quanto perdo, tra un giorno che se ne va ed uno che stenta a comparire.

Da tempo, dopo gli anni bui, quelli della rabbia e del dolore, io miro all’eccellenza e lo faccio puntando sulla vulnerabilità, sulla gentilezza: “Colpisci Gentilmente”, ho scritto sul volantino che pubblicizza i corsi Spirito Ribelle.

Sono corsi di Arti Marziali, come sa chi mi conosce. Sono corsi di corpo e movimento, di modulazione emozionale, emos – azioni, appunto, di contatto fisicoemotivo con il sé più profondo e di relazione col sé altrui, di scoperta e trasformazione del proprio senso di identità personale. E tutto questo non è che corpo, corporeità totale, carnalità totale.

Arti Marziali che, il nome già lo dice, sono un continuo corpo a corpo, scoprendo il confronto, il contatto e dunque anche il conflitto con me corpo e, insieme, con te corpo e lui corpo.

Sono giochi consapevoli: giochi, dunque area di piacere, curiosità e stupore; area di pedagogia, andragogia del corpo; area di dialogo tonico tra contrazioni e decontrazioni muscolari, aprirsi e socchiudersi di articolazioni, movimenti dei visceri.

E so che nessun individuo è un individuo qualunque: “Ogni individuo è una risorsa”, lo leggi nell’ultima pagina del nostro SHIRO, l’aperiodico che da oltre quarant’anni accompagna il mio e nostro cammino. Perché ogni individuo combatte o fugge da una sua personale battaglia ed allora merita il mio e nostro massimo rispetto: che sia un lottatore disposto a cadere e ferirsi nell’animo e nel cuore, che sia un fuggitivo spaventato dall’aver visto in volto il ghigno del dolore.

Per questo le Arti Marziali, qui davvero, qui da noi Spirito Ribelle, non hanno porte chiuse né giudizi apriori. In ogni attività, in tutte le occasioni in cui ognuno di noi è nel mondo, portiamo la nostra immagine corporea, che sia come agiamo e ci esprimiamo, che sia quali persone scegliamo accanto e quali rifiutiamo, tutto quanto racconta di come ci sentiamo, di come ci vediamo di corpo, corpo vivo, corpo abitato.

Allora abbracciamo vulnerabilità e gentilezza, anche quando sembrano un fardello, quando ci puntano il dito accusatore contro, quando il ricordo o la presenza ci spaventano mentre l’arroganza, la sfacciataggine altrui, tanto di moda, paiono prevalere.

Ma noi qui, Spirito Ribelle, mescoliamo magie. La quiete e la tempesta, ogni sobbalzo di respiro strano, ogni momento distratto e ogni attenzione forzosa, qui trovano un senso. Trovano una vita che riemerge, uno struggimento che si fa potere; lasciano andare ogni ferita di giornata, lividi e dolore, per abbracciare la forza del cuore.

 



 

 

 

 

martedì 20 dicembre 2022

Kenshindo- un possibile riscaldamento /apertura

Il BUON riscaldamento non è solo “muscolare”. Esso è anche:

 L’apertura della seduta, agendo sul corpo, modifica lo stato psicologico dei partecipanti. Essa deve agevolare il passaggio:

           dallo stato di coscienza ordinario a “stati di coscienza secondi”;

           dal linguaggio verbale al linguaggio non verbale;

           dal pensiero logico – analitico al pensiero analogico e associativo;

           dalla disposizione difensiva ordinaria a una maggiore disponibilità alla circolazione delle emozioni;

           dalla dimensione concreta – operativa alla dimensione immaginativa, espressiva e creativa;

           a un buon bilanciamento extra / intraintensivo.”

(V. Bellia “Dove danzavano gli sciamani”)

Anche T. Santambrogio “Arti Marziali come armi” in:

https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/search?q=ma+che+riscaldamento+%C3%A8

 

Ecco un possibile BUON riscalamento / apertura 

nella pratica Kenshindo





Prima fase, vincolata / strutturata

I giochi e gli esercizi vincolati / strutturati sono importanti in quanto spingono il praticante a cercare soluzioni motorie nuove, fuori dai suoi abituali schemi motori e perché “il vincolo ad una gestualità totalmente libera riconduce il praticante alla condizione esistenziale quotidiana, quella dove non gli è concesso di tutto, non gli è concesso di fare quel che gli pare” (T. Santambrogio ibid)

1. Si muovono mantenendo il contatto dei ken

2. Evitamento / sottrazione: A si toglie dal contatto dei ken, B cerca di restare a contatto

3. Aggressione / addizione: A colpisce il ken di B per allontanarlo, B cerca di restare a contatto

Seconda fase, semilibera / semistrutturata

1. Ad ogni azione di evitamento sottrazione di A, quando riuscita, B tenta di entrare nel varco attaccando

2. Ad ogni azione di aggressione / addizione di A, quando riuscita, questi tenta di approfittare del varco creato per attaccare B che tenta di difendersi

In questo riscaldamento / apertura, 

diversi sono gli elementi che entrano in gioco,

in un crescendo continuo:

Immersione fisicoemotiva nella relazione duale, quotidianamente condita di contrasto e intesa; coordinazione tra premere e assorbire; consapevolezza di cedimenti fusionali ed egotismo; coinvolgimento articolare in senso torsionale, verso la consapevolezza tridimensionale e il dinamismo psicomotorio: “sono i primi a cedere in tante condizioni psicopatologiche, e il loro ripristino si accompagna a un rapido miglioramento della connessione con l’ambiente e del benessere” (V. Bellia “Un corpo tra altri corpi”); pratica di yomi (percezione) e yoshi (cadenza, ritmo) “che se ben sviluppate erano insieme al ma-ai gli unici margini di raffronto immutabili giacché uscivano dalla semplice sfera tecnica e andavano ad agire su aspetti spirituali e psichici” (C. Varone in http://win.ilguerriero.it/artimarziali/arti_marziali_09/ritmo_yoshi.htm)

Il riscaldamento, il BUON riscaldamento, 

non può mai essere un’attività puramente ginnica. 

Altrimenti ci si è riscaldati, ci si è preparati, 

per un’attività ginnica, 

non per un’Arte Marziale!!

 

 

 

 

 

sabato 17 dicembre 2022

Arti Marziali come armi

Il solito “pistolotto” sulle Arti Marziali per sapersi difendere da un’aggressione?

Per imparare l’autodifesa?

NO!!

 In precedenti scritti ho già smontato questa “bufala”, questa illusione venduta a paciosi studenti e tranquilli impiegati di diventare dei letali combattenti. “Bufala” ed illusione costruita su esercizi e combattimenti sempre in coppia e con l’opponente sempre davanti a sé e precedentemente già identificato come tale; su grottesche difese da coltello rigorosamente di plastica e da pistola giocattolo; su esercizi ginnici e di potenziamento (magari pure errati e portatori, nel tempo, di dolori cronici) come “conditio sine qua non” per sapersi difendere, e la lista di aberrazioni, incongruenze e falsità potrebbe continuare.

Invece

Sì, le Arti Marziali come armi: potenti, distruttive, letali.

Sì, lo Spirito Ribelle inteso, come scriveva Ernst Junger, a mò di anarca, parola composta dal greco an 'senza' e -árchìs, da árchein, 'governare, comandare'. Ossia l’individuo che rifugge un ordine arrogante nel pretendere il controllo totale, e allora si sottrae scegliendo di ‘passare al bosco’, dissociandosi dai valori imposti dalla società.

Uno Spirito Ribelle che pratichi Arti Marziali, come io le intendo e le propongo, ecco quanto vado formando, di passo in passo, di aggiustamento ed approfondimento in aggiustamento e approfondimento, ormai da quasi mezzo secolo.

Uno Spirito Ribelle che pratichi Arti Marziali è un individuo autodeterminato, coraggioso,

vitale ed erotico: un guerriero contro.

Perché scrivo questo? E come si può arrivare ad un individuo siffatto?

Ogni individuo, sin dalla nascita, cresce e si forma nella relazione con gli altri e con l’ambiente in cui vive. Ma siamo in una società che annebbia il senso dell’altro, ci distanzia dall’altro, che, per rispolverare Karl Marx e il concetto di alienazione, riduce l’altro ad oggetto: reifica le relazioni, aliena il sé corpo, il sé fisicoemotivo.

L’altro è massa indistinta, è like sui social.

Prendiamo il contatto più spontaneo ed intimo: l'attività sessuale, ebbene è in diminuzione, come ci dicono i diversi rapporti in merito: “Periodi di astinenza negli ultimi tre anni hanno riguardato il 92,6% delle persone, quote uguali tra maschi e femmine: la durata media è stata di 6 mesi, ed è il 26,2% ad avere avuto un’astinenza sessuale superiore ai 6 mesi” (fonte Censis) e come rileva Luigi Zoja, psicoanalista e sociologo nel suo ultimo libro: “Il declino del desiderio”. Cresce, invece, il sesso on line, quello finto, quello immaginato, quello dove si inventano storie e giochi erotici tutti “vissuti” di mente.

Una fuga dall’intimità dei corpi, dal contatto dei corpi; i corpi sono invece vetrinizzati, sono merce modificata ed abbellita in pratiche di palestra ed esposta al pubblico come oggetto di consumo o in veste puramente decorativa. Sono Körper, corpo-oggetto, quel che uno ha, che occupa uno spazio, che misura di certe grandezze come il peso e l’altezza, e non Leib, che conosce attraverso l’esperienza ed è corpo vissuto.

Il corpo non è più fisicoemotivo, non è più il flusso tra il sé e il resto del mondo, è divenuto carne morta, corpo sterile. il corpo non è più teatro delle passioni, come cantava Omero nel IX secolo a.c., né “cognizione incarnata” come scrivono George Lakoff e Mark Johnson, filosofi e linguisti; il corpo, oggi, è “il più bell’oggetto del consumo” (Jean Baudrillard, sociologo), è “oggetto posseduto da personalizzare con gadget, app, chip subcutanei, innesti e perfino software da scaricare direttamente nel cervello” (G. Mininni, filosofo).

E’ l’alterità che consente lo sviluppo dell’identità individuale e pure collettiva. Gli individui, invece, nel contatto di corpo che è quotidiano, persino obbligato nel vivere sociale, praticano contatti dominati dal consumismo e dal narcisismo, contatti asfittici, contatti pervasi da insincerità, contatti di corpi estranei a se stessi prima ancora che agli altri.

Ecco, allora, la pratica delle Arti Marziali come arma

che smonta e distrugge reificazione ed alienazione.

Lo fa perché propone giochi e dialoghi di corpo a corpo, anche conflittuali; giochi il cui “cuore” della pratica è conoscere e misurare la propria identità personale confrontandola con quella dell’altro e integrandola nel gruppo. Grande esempio di formazione all’adultità!!

Lo fa costruendo momenti empatici, di risonanza emotiva, e momenti esplorativi intesi come nuovi modi di esprimersi gestualmente quanto nuovi modi di contatto con l’altro. Grande esempio di integrazione tra ciò che si è e come lo si esprime con ciò che di sé e dell’altro si scopre, inducendo inconsueti tracciati creativi!!

Lo fa giostrando abilmente tra giochi e momenti di libertà espressiva e giochi vincolati. Importanti questi ultimi perché il vincolo ad una gestualità totalmente libera riconduce il praticante alla condizione esistenziale quotidiana, quella dove non gli è concesso di tutto, non gli è concesso di fare quel che gli pare. Tanto impara il concetto di contenimento, di cooperazione, quanto sperimenta quella creatività che è unica fonte di una concreta libertà d’azione.

Perché sia così, certamente, occorre un luogo, un ambiente di pratica, che su questo sia fondato e non su codifiche di stili e memorizzazioni di tecniche; del tutto lontano da dettami dirigisti e didattiche impositive; che rifiuti tanto le mere e morte sequenze gestuali prive del corpo come “luogo di esistenza (JL. Nancy, filosofo),  quanto lo scazzottarsi come fulcro, come parte preponderante della pratica invece che come verifica di quanto studiato e dei progressi fatti; dove non regni il Sifu, il Maestro, l’allenatore, ma un facilitatore, quello che io chiamo il Sensei, “colui che è nato prima il cui compito non è l’indottrinamento dell’allievo, sorta di “carta bianca” su cui scrivere il sapere di questa o quell’Arte, su cui sfogare il proprio delirio di onnipotenza, quanto l’accompagnarlo dentro il suo mondo interiore e le potenzialità ancora inespresse.

E, sinceramente, una pratica, un luogo e un Sensei così, a parte me e il nostro gruppo, nel mondo delle Arti Marziali, io ancora non l’ho incontrato!!

Scelta legittima, certo, quella di praticare e proporre le Arti Marziali in altro modo e con altri scopi, purché non si inganni il “cliente” illudendolo che incontrerà equilibrio e consapevolezza, salute psicofisica, autorevolezza decisionale, ed altre caratteristiche che, invero, nessuno potrà mai trovare se non pratica di corpo in quanto esperienza del corpo stesso e attraverso una didattica maieutica (1). Perché, Maestri e Sifu, in tutta onestà, non propongono le Arti Marziali come attività ginnica, come avvincente sport, come occasione per fare nuove conoscenze, per stare insieme in compagnia, per divertirsi? Tutte caratteristiche legittime, persino attraenti.

Questo modo che io vado proponendo riprende ed attualizza il Tradizionale passaggio dal Bujiutsu ( combatto per salvare la pelle a scapito di quella dell’avversario)  al Budo (modo, Via, di crescita ed educazione): “Scopo della pratica del Budo è di ‘denudare se stessi, di affrontare se stessi’ tramite le modalità di origine marziale” (Murata Takuya, Maestro di Kendo e Iaido). Passaggio che, approssimativamente, avvenne alla fine del periodo Meji, nella prima metà del XX secolo. (2)

Questo modo è l’arma potente, distruttiva, letale, in mano al “ribelle”. Un’arma con cui il ribelle non potrà certo cambiare il mondo, fermare la deriva capitalista, ma, almeno, potrà cambiare, o provare a cambiare, di sé e di chi gli sta intorno: poca cosa, ma… ogni grande viaggio inizia da un primo passo

 

1. “il risultato è una crescita personale”; “favorisce l’autonomia, la padronanza di sé, il rispetto degli altri, e una migliore qualità di vita”; “permette di allontanare gli atteggiamenti impulsivi di rabbia e agitazione, facendo spazio alla calma, al rilassamento emotivo e all’autocontrollo”. Sono tre promesse pubblicitarie di tre distinte Arti Marziali (non importa quali), di cui, con parole magari diverse, è pieno l’ambiente marziale. Promesse che nessun volantino, nessun articolo, nessuna riflessione spiega come attuare, se non ripetendo tecniche, forme, combattimenti, se non puntando alla migliore imitazione del modello dato. Pubblicità ingannevole?

 

2. Questa transizione fu spiegata nei libri di Donn F. Draeger, insegnante e praticante di arti marziali giapponesi, autore di alcuni dei più autorevoli libri sull’argomento. Fu esplorata ed interpretata dal Maestro di Judo Cesare Barioli nei “Quaderni del Bu Sen”. Quest’ultimo fu il primo a proporre, in Italia e in sintonia con gli insegnamenti del Maestro Kano Jigoro fondatore del Judo, la pratica judoistica come forma di educazione tentando anche di introdurla in veste ufficiale, ossia come materia di studio, nelle scuole pubbliche. Un approccio diverso dal mio, che tratta di “formazione” e non di “educazione”, e che il Maestro proponeva con una didattica in rigida sintonia con gli insegnamenti dirigisti del Judo stesso, quelli propri anche della scuola pubblica italiana, dunque ben lontani da quella didattica maieutica che io sostengo. Il tentativo non andò a buon fine, ma il Maestro Barioli resta un grande esempio di come le Arti Marziali possano essere davvero una “Via”, un percorso di conoscenza interiore e di crescita personale. In questa direzione di “crescita” si mossero, negli anni ’80 – ’90, anche alcuni gruppi di aikidoka ed un gruppo ligure di Chi Kung dei quali, però, persi presto le tracce.

 

  

Post illustrato da briciole di momenti e volti di un percorso

ZNKR, poi Spirito Ribelle,

che dal 1980 continua ancora oggi

 

 

 


















 

 

 

venerdì 2 dicembre 2022

Souishou - Push Hands

 

Mani che “accettano e premono”, per me, più che “spingere e tirare” come generalmente viene letto questo gioco di coppia.

Gioco di coppia la cui finalità è interpretata diversamente a seconda del Maestro o della Scuola; per me, come già scrissi, è costruzione di un elastico scudo difensivo e offensivo.

E’ sancire un territorio condiviso di relazione. E’ membrana elastica capace di filtrare e respingere secondo necessità, evitando

- sia di introiettare supinamente, accartocciandosi e facendosi sradicare, sia di erigere una barriera rigida e insensibile al contatto;

ma anche evitando

- sia di premere grossolanamente contro un bersaglio indistinto, sia che l’attore spinga oltre le linee di forza consentite col rischio di cadere nel vuoto.

Da quanto sopra, deriva una considerazione fondamentale:

Quando tocchi il compagno di pratica, occorre percepire che qualcosa sotto le tue mani, i tuoi avambracci, sta mutando continuamente. In ogni momento si instaura una relazione fatta di stimoli, domande e risposte. Una relazione in cui io sia consapevole di ciò che sto facendo, capisca cosa sta facendo il compagno e intuisca cosa lui sta capendo di quel che io vado facendo. Questo rimanda al “Qui ed ora”, all’immediatezza dell’esperienza agita, che è un cardine del pensiero e della pratica taoista.

Questo mio modo di praticare e proporre i Push Hands comporta:

Capire o quanto meno intuire delle intenzioni dell’altro. Mi spiego riprendendo un esempio portato da Bonnie Bainbridge Cohen, la creatrice del Body Mind Centering: “Penso al corpo come fosse sabbia. Studiare il vento è difficile. Se però osserviamo come il vento plasma la sabbia – come si formano, scompaiono e riappaiono le tracce che vi disegna – allora riusciamo a distinguere quelli che sono i pattern del vento o, in questo caso, della mente”.

Il che ci rimanda al vivere quotidiano. Alle semplici discussioni in famiglia, nelle relazioni affettive o educative, per comprendere davvero di me e necessariamente dell’altro costruendo un clima empatico di dialogo; oppure all’eventualità di un’aggressione in strada, con la necessità di leggere correttamente e magari prevenire le azioni dell’aggressore.

Il che ci allontana da ogni allenamento, da ogni pratica, fondata sul ripetere e ripetere per memorizzare o perfezionare la meccanica dei gesti, ripetere le stesse movenze aspettandosi un risultato. Impossibile, perché ogni relazione è diversa, non solo negli attori, ma pure nell’occasione in cui avviene.

Il che pone il gioco dei Push Hands tra i più efficaci ed efficienti per conoscere di sé e come si sta nelle relazioni; per accompagnare il praticante dentro il suo mondo interiore attraverso il percorso corporeo, fisicoemotivo; per farne preziosa e radicale terapia di sostegno ed aiuto, di autentico counseling.

Due ultime considerazioni:

Personalmente, mi è indifferente se chi si avvicina ai Push Hands per come io li propongo, sia un praticante proveniente da altri modi di praticarli o un novizio.

  • Nel primo caso, il bagaglio appreso e le spontanee resistenze ad aprirsi al nuovo modo saranno utili: il “bagaglio” per sconsigliarlo a ripercorrere una strada che si mostra chiusa, che non porta lontano; le “resistenze” perché mi indicano dove il soggetto è più fragile e dunque bisognoso di difendersi, di indossare una “corazza”.
  • Nel secondo caso, l’essere un novizio gli permetterà di incontrare più facilmente lo stupore del nuovo, dell’imprevisto, facendolo più malleabile ai suggerimenti del sé corpo.

Certamente, in ambedue i casi è importante la genuina curiosità di sapere, di migliorarsi, di mettersi alla prova affidandosi non tanto al conduttore, a me, quanto a …… se stesso, perché io, da buon Sensei, ti introduco al bosco, ti accompagno nel bosco, ma sei tu quello che ci cammina dentro!!

Se una persona viene da me e mi dice: ‘Non so che cosa sto sentendo. Non so nulla di questo o quello”, io gli rispondo: ‘Fantastico!’. Perché vuol dire che, se t’interessa, hai davanti a te tutto un tesoro di esperienze da scoprire.” (B. Bainbridge Cohen, terapista, artista, creatrice del Body Mind Centering)

 

“Nella maggioranza dei casi, un praticante di Arti Marziali è ciò che io chiamo un artista di seconda categoria. Raramente impara a dipendere da se stesso per l’espressione; piuttosto segue fiduciosamente un modello. Con il passare del tempo, probabilmente comprenderà alcune morte routine e diventerà bravo in relazione al suo particolare modello. Esercitarsi nella pratica abitudinaria e seguire modelli stabiliti forse lo renderà bravo in relazione a quel tipo di routine e modelli, ma solo la consapevolezza di sé e l’espressione di sé portano alla verità. Una persona viva non è un prodotto morto di ‘questo’ o di ‘quello’ stile; è un individuo, e l’individuo è sempre più importante del sistema”. (Bruce Lee, artista marziale, attore e filosofo)