domenica 23 settembre 2018

Tra luoghi e persone



Ampio l’ingresso al castello di Voghera, la luce di una giornata che odora d’estate ad attenderci.
Con Monica, dopo una passeggiata tra le bancarelle del mercato e la piazza del centro, siamo a curiosare dentro l’obiettivo per cui siamo a Voghera:
la mostra fotografica
Tra luoghi e persone”.

C’è il tempo di dare un’occhiata al castello visconteo,  tra la parte ben restaurata e quel che resta dell’antico carcere.
Incontriamo Luca Cortese, uno degli espositori, che bene ci spiega il senso della mostra e il contesto, cittadina e castello, che la ospita.
Ennesimo pezzo di una bellissima Italia, tra colline verdi e quello che fu un manicomio in cui operò Cesare Lombroso, le sale del castello affrescate dal Bramantino e il neoclassico palazzo Gounela, una immane cattedrale rinascimentale e il tempio sacrario della cavalleria italiana, strattonata tra l’indifferenza pubblica e gli sforzi entusiastici per salvarla di pochi volontari.
La mostra, promossa dal gruppo “Spazio 53” con il patrocinio dell’assessorato alla cultura del comune, proprio per essere una collettiva, ci permette una piccola carrellata su diversi “occhi” fotografici.
Se, almeno pe me, la buona Arte è quella che sa emozionarmi, alcuni di questi “occhi” mi hanno colpito.
Penso a
Francesco Cito, i cui bianco e nero su scorci di matrimoni napoletani sanno giocare squilibrando ironicamente “figura e sfondo”, per dirla col linguaggio della Gestalt.
Pio Tarantini, le cui immagini sono certo belle ma … la luce, la luce di quelle fotografie, non so spiegare perché, mi ha catturato, quasi incantato e fatto stare bene, tanto che me ne sono staccato a fatica.
Luca Cortese, i cui paesaggi chioggiotti sanno confondersi e confondere, come ad aprirsi su uno spazio altro, infinito, in cui è facile perdersi per chissà cosa e chissà dove ri – trovarsi.
Altri “occhi” mi sono risultati indifferenti, persino noiosi.
E, come sempre faccio in questi casi di distanza, di noia, da interpreti e loro interpretazioni, mi riservo, una volta a casa, di interrogarmi su cosa, di profondamente nascosto, mi lega, mi tiene dentro queste sensazioni, su cosa ci sia di me, forse, che non voglio vedere.
Per chi volesse, la mostra resta aperta, ingresso libero, fino al 7 Ottobre.



mercoledì 19 settembre 2018

The place



Un uomo, in un bar, ogni giorno. Seduto in fondo alla sala, una corposa agenda davanti, tante persone che lo cercano.
Tutto qui, per un film di stampo “teatrale”, con un setting claustrofobico, dove nulla accade se non nei dialoghi.
Non un film passatempo, non un film che puoi vedere chiacchierando in allegria.
E sono contento che anche un ragazzino come il quattordicenne Lupo lo abbia apprezzato.
Un film che prende allo stomaco, che ti inchioda negli angoli bui, che ti racconta l’Ombra dentro di te anche quando credi di non averla o di averla sottomessa.
Proprio  quella parte che magari mai è venuta a galla, ma, ci hai mai pensato?, verrebbe fuori in una situazione particolare, di tensione estrema o anche solo di aspirazione minimalista.
Basta restare aperti alle influenze del film, ai dialoghi degli attori, tutti eccellenti, e certamente una lacerazione interiore, una serie di “montagne russe” dell’anima, ci investirebbe.
E chissà che chi non ha gradito la pellicola trovandola noiosa o banale è proprio perché …. ha avuto paura di aprire quella porta?!?!
Sto scrivendo di
The Place,

 l’ultimo film di Paolo Genovese ( il regista del brillante e dissacrante “Perfetti sconosciuti”)  che si ispira alla serie U.S.A. “The Booth at the End”,
Il cuore del film è il dilemma, tradotto in atti concreti, in azioni, mica in intellettualismi, in cui o si tacita la propria coscienza, ci si toglie ogni maschera e ruolo di perbenismo e “politicamente corretto”,  o ci si ribella alla richiesta ricevuta  rinunciando al proprio sogno, grande o piccolo che sia.
Il volto di Mastandrea , chiamato ad interpretare il ruolo del misterioso uomo che tutto può, tutto può dare in cambio di un’azione spesso disgustosa, crudele, è un volto di dolore e  stanchezza quanto di ineluttabilità sul percorso del destino che ognuno ha e si dà.
Straripano ovunque le paure, le angosce e le miserie di tutti coloro che vogliono migliorare la propria vita, salvare altri od essere salvati, trovare o ritrovare una (caduca) felicità.
Tutt’intorno, si muove asettico, come in un piccolo acquario, un micro mondo di indistinti ed anonimi avventori. Inutili alla trama del film quanto ignari spettatori delle tragedie altrui, mi chiedo se siano solo tali o rappresentino quella folla indistinta, quelle persone (nel film c’è chi lo dice esplicitamente) che di certi baratri nemmeno hanno sentore e magari, magari??, così stanno bene nella loro beata ignoranza e superficialità.
O forse, così asettici e conformisti, semplicemente non vivono davvero ma, per dirla alla Gurdjieff, “sopravvivono”.
Sempre che la modesta avventura della loro vita, del loro tran tran, non abbia alle porte, anche per ognuno di loro, un incontro, un incidente, con quella parte di sé dimenticata e terribile. Basta solo aspettare.
Infatti, c'è una frase che, secondo me, svela un aspetto inquietante del film: “In ognuno di noi c'è una parte terribile, chi non è costretto a scoprirla è fortunato”. Io penso che quell’Ombra terribile dentro, per nessuno potrà restare sopita per sempre. Magari non si avrà il coraggio di affrontarla, preferendo la fuga nella religiosità manichea ed ossessiva o nel carrierismo sfrenato, in qualcuna delle antiche e moderne dipendenze che, in forma grave o leggera, impregnano le persone, tra shopping compulsivo e vigoressia, FOMO (la dipendenza dai social) ecc. Ma lei resterà sempre dentro, minacciosa, incombente.
Personaggio ambiguo, dai contorni incerti, è la cameriera del bar, interpretata da una brava Ferilli, il cui ruolo si scopre solo alla fine in un trapasso inquietante.
Intrigante è il carosello di uomini e donne che si alternano al tavolo, senza sapere però gli uni delle altre mentre il corso della vita degli uni interferisce anche rocambolescamente con le altre, tra la richiesta di una violenza sessuale, un infanticidio, una rapina…  una suora alla ricerca della perduta presenza di Dio, un uomo disposto a tutto per salvare il figlio dal cancro, un altro il cui unico sogno è una notte di sesso con una starlette, un poliziotto alla ricerca del figlio…
Non ho tutto sotto controllo, le cose non dipendono da me” e questo colpisce l’ansia di certezza e de-responsabilità dei questuanti, perché il misterioso uomo ha solamente  ideato il meccanismo ma poi a ciascuno di costoro spetta la decisione ultima: Nessun obbligo, ognuno ha la facoltà di rescindere il contratto stipulato. Questa facoltà, sempre ricordata, sempre sbattuta in faccia ai questuanti, non capisco se e quanto sia una speranza del misterioso individuo  o una perfida provocazione.
Alcuni hanno scritto che The Place è un film sul libero arbitrio, altri che è ha un’anima cattolica.
Io so solo che è un film sul vivere e sul come vivere, autenticamente e drammaticamente vivere.
Pellicola stupendamente intrigante e violentemente perturbante.
Come vivere, appunto.



lunedì 17 settembre 2018

Perdere per guadagnare





Perdere per guadagnare

Assurdo ma… io invito ad aprirsi all’errore, al fallimento, perché ci consente  di capire e cambiare. Perché davanti alla caduta, possiamo rialzarci e provare in altro modo. Di più, perché ogni evento reale, ogni accadimento o incontro reale non vada affrontato con la sicumera di chi già sa e dunque vuole intervenire e modellare il fatto o l’incontro a proprio piacimento, ma come chi si interroghi sui contenuti e sui modi del fatto o dell’incontro, leggendolo come una materia da esplorare, un motivo di stupore e scoperta.

Perdere per guadagnare.

Assurdo ma … cedevolezza e flessibilità, d’animo e di corpo, ci consentono di intuire  ogni mossa, ogni movimento dell’antagonista, individuo o accadimento della vita, che abbiamo davanti. Ci consentono di assorbire o deviarne la forza, l’impatto; di recuperare l’equilibrio fisico ed emotivo quando sia stato sconnesso; di emergere liberi, potenti e vincenti.

Perdere per guadagnareTing, che è ascoltare: ascoltare di sé, di quel e come siamo in quel preciso momento (qui ed ora); è ascoltare l’altro, quel che intende fare e quel che fa; è ascoltare ciò che sta accadendo insieme senza lasciarsi fuorviare da pregiudizi e schemi e “tecniche”. (1)
Ting – Jin che è accostarsi all’atro, individuo o accadimento della vita, per capire forze, ritmi, spazi che sono in gioco; è farlo attraverso sé individuo fisicoemotivo (2), individuo pienamente consapevole.

Per esserlo, occorre Song, rilasciare.
Occorre un preventivo lavoro, che non finirà mai, perché il corpo si rilasci (non rilassi, ma rilasci); sprofondi accettando la forza di gravità / il magnetismo terrestre; perché si apra: articolazioni, muscoli, certamente, ma pure sensazioni; perché impari a servirsi della fisicità dei fenomeni emozionali, le emos – azioni.

E’ questo, anche questo (e non è poco), che studiamo all’ “Open” dedicato al nostro fare
Tai Chi Chuan,
Sabato 15, ai giardini Marcello Candia.
Tra passanti del tutto indifferenti e qualcuno che, invece, si ferma, osserva.
Lavoriamo sulla stranezza di tenere il peso “indietro” avendolo però sugli avampiedi, così da meglio percepire le pressioni del compagno e mai interrompere quel sottile e profondo vibrare interiore che è il “motore” di ogni agire efficace ed efficiente.

L’ “Open” si chiude, mentre arrivano Michele, il figlio di Tina con papà Federico, mentre Spartaco, un robusto bulldog inglese che è il mio preferito, mi fa mille feste a stento trattenuto da Mara, mentre i giardini continuano imperterriti la loro vita.
Un grazie al Maestro Valerio, a Giovanni e alla “sorpresa” Tina per la bella compagnia, per l’attenta pratica condivisa.

Arrivederci, per chi lo vorrà, ai prossimi appuntamenti Open:
Sabato 22, giardini in largo Marinai d’Italia, per il Wing Chun Boxing

Sabato 29, parco in piazzale Cuoco, per il Kenpo Taiki Ken.

1. Due recenti, tristi fatti di cronaca che vedono morire, per un gioco, una sfida assurdi, due adolescenti. I genitori del primo scrivono chiedendo a tutti i genitori di capire e vigilare sui propri figli perché ad altri non accada quel che è successo al loro; i genitori del secondo scrivono per accusare di inadempienza questo e quello.
 
2. Nel Dao De Jing (Tao Te Ching), l’ideogramma che significa “corpo” è lo stesso che indica “la propria persona”.


giovedì 13 settembre 2018

Una fatica gentile









Lo vedo sforzarsi. 
E’ abile, è iper concentrato, si muove con una buona dose di destrezza. Si sforza, attinge a tutta la sua energia nello scattare in avanti, nel resistere ad ogni pressione.
E’ giusto, è naturale, dopo, che si senta affaticato, che respiri affannosamente.

Ma quella non è la mia strada.
Io cerco serenità e calma nell’azione.

Certo, anche io dedico una parte di me alla concentrazione, al fare con uno scopo ben preciso.
Ma lascio sempre aperto l’orizzonte sulla creatività, sulla disponibilità al lasciarmi sorprendere, sull’intuizione.

Toh, l’aumento della concentrazione riduce l’attività della corteccia prefrontale, l’area del cervello strettamente connessa a tutti i sistemi sensoriali e motori, deputata alla gestione delle emozioni ed ai “rinforzi” positivi e negativi, alla gestione di azioni coordinate e strategiche, all’apprendimento di nuove esperienze, di nuovi comportamenti.

Una corteccia prefrontale attiva, invece, è proprio
- quel che occorre ad ogni valido combattente, di più, a chiunque voglia affrontare le “cose” della vita riconoscendole, imparando, selezionando quelle più consone a sé e prendendo, di conseguenza, le decisioni migliori, quelle vincenti.
- quel che mi invita a liberare il fluire di ogni movimento. Che mi invita a mantenere viva, desta, l’attenzione. Che mi rimanda all’istinto, all’animalità che cova in ognuno di noi.

Anche in questo, le moderne ricerche di neuroimaging, che permettono uno studio del cervello “in vivo”, coincidono con l’antica saggezza taoista !!

Lui è proprio affaticato: buon pro gli faccia. 
Sicuramente, lo sfogo motorio gli ha messo in circolo le endorfine adatte a dargli una sensazione di appagamento, di benessere. Poi, altrettanto certamente, arriverà la deprimente sensazione di spossatezza, l’imbarazzante carico di acido lattico e quei dolori muscolari conseguenza di microlacerazioni nei muscoli e di un aumento delle attività ematiche e linfatiche che incrementano, appunto, la sensibilità nelle fasce muscolari sottoposte a sforzo.

Lui ha utilizzato l’energia di scorta che ha nel corpo. 
Come gli sfoghi isterici, gli scatti di collera, le attività convulse: una prima sensazione di benessere e presenza, poi il crollo, mentre tutt’intorno nulla è cambiato.

Io, invece, scelgo la via dell’emozione, dell’ascolto, della consapevolezza 
che significa attingere alla muscolatura profonda, al lavoro articolare, alla presenza degli organi interni.
Abbraccio me-corpo rilasciato, consapevolmente fragile ed emotivo, sempre in ascolto: un aprirsi che costruisce forza flessibile e selvaggia, potere dolce e letale.
Imparo a vivere, imparo che è la serenità a guarire ogni malessere: sia che gli artigli siano a riposo, sia che siano ben sfoderati.

Uno sguardo reciproco, l’uno verso l’altro. Io e lui così vicini, tra gli alberi e il verde dei giardini, eppure così lontani, così distanti.

Chissà che un domani, superata l’età della sfrontatezza, quando saranno gli “anta” quelli da festeggiare al compleanno e i capelli si tingeranno di grigio, non scopra anche lui questo mio stupendo percorso.

Magari non un serio incidente al ginocchio o un continuo impedimento alla piena mobilità della schiena (gli intoppi più frequenti su quel percorso di sforzi e fatica) ma, piuttosto, l’accettazione dell’evidente trasformazione del corpo: pelle e muscoli e … rughe (!!) e dei tempi di recupero che, su quel percorso di sforzi e fatica, si sono fatti sempre più lunghi.

Magari non il senso di inutilità, i primi segnali di timore per il tempo che passa e non torna più o i primi sintomi di depressione, quanto piuttosto l’incontro con “uomini straordinari” (ovvero fuori dal conclamato piattume ginnico-motorio),  l’apparire, sebbene ancora confuso, indistinto, di un possibile rinnovato ed autentico senso della vita.

Ecco, gli auguro che siano la curiosità verso la consapevolezza fisicoemotiva, l’anelito alla vitalità, ad accompagnarlo verso una pratica olistica e aperta. Verso lo scoprire, lui “anta”, che può essere ben più efficace e “in forma” di quando aveva venti o trent’anni, e, soprattutto, ben più sereno, consapevole e… adulto autodiretto.

D’altronde, come scrive Alberto Oliverio, medico e psicobiologo, “in una collettività è importante che vi siano individui pronti a realizzare un’idea o un progetto con tutte le loro forze, sacrificando altri aspetti della vita di relazione”.
E’ altrettanto vitale, è sano, che vi sia chi resta aperto ad ogni orizzonte, chi, eretico e ribelle, flessibile ed emotivamente autentico, abiti strade inusuali, porti linfa nuova, una grande vitalità ed un grande erotismo.
Chi faccia di sé-corpo una presenza attenta ed empatica.

D’altronde, come scrissi decenni addietro, forte del mio confrontarmi con professionisti (medici, allenatori ed atleti) dello sport, per formare rapidamente un giovane a che abbia delle performance di alto livello , una preparazione fisica condita di sforzi e pesi è l’unica strada percorribile nel breve periodo.
Poi, per ben vivere e ben stare sé-corpo, con prestazioni non sportive ma fisicoemotive reali e non circoscritte ad una gara, di alto livello e che migliorino col passare dell’età, ci vuole altro!!

Questo è quanto io pratico, io propongo a chi mi accompagna qui, allo Spirito Ribelle Z.N.K.R.
Un praticare alla portata di tutti: nessuno è troppo vecchio o impacciato o timoroso.
Basta solo passare dall’idea di avere un corpo al sapere che siamo corpo; allora a chiunque è data la facoltà di scoprirlo / scoprirsi corpo, conquistando un’autentica salute psicofisica, un importante posto nella vita.




domenica 9 settembre 2018

Questo è amore


 

 

Pronti? Certo che siamo pronti: Oggi, Sabato 8 Settembre,
 
Giovanni ed Elise
si sposano!!

A me l’onore di celebrare le nozze, poi, tutti a festeggiare alla “Cascina Contina”.

La cerimonia scorre lieve, tra visi emozionati e occhi sgranati, una sala che sa di antico per un destino insieme che sa di nuovo.
Le mia parole, quelle ufficiali, di “rito”, e quelle sentite, calde, che dal cuore raggiugono gli sposi davanti a me.
Le loro voci belle e lo scambio degli anelli e chissà Ermes, ancora a crescere nel ventre di Elise, cosa avrà provato?!

Fuori dalla sala, un tripudio di palloncini colorati, gli applausi, il sole che sovrasta una piccola piazza austera  rallegrata da decine di bancarelle.

In cascina, tra verde luminoso ed ombre di alberi, siamo in tanti a presentarci, a sorridere, a condividere un giorno che è solo festa e piacere di stare insieme.

Inevitabile che noi clan, noi “famiglia” Spirito Ribelle ZNKR, ci si trovi insieme, panche e tavoli che si fanno vicini.
Siamo una ventina, tra praticanti ed ex praticanti, mogli e compagne e figli, che gli anni sono passati da quel lontano 1980 in cui la Scuola prese vita.

Le chiacchiere si dissolvono in mille rivoli, tra il lungo soggiorno in India di Davide e le questioni di lavoro che in parte accomunano Gianluca e Monica; le esperienze in Expression Primitive di Barbara e i progetti di Donatella; i colori sgargianti di Claudio e gli intensi silenzi di Valerio; Roberto e il piacere di rivederlo a un anno di distanza, e Paolo, il cui legame reciproco ci impedisce di stare lontani più di un mese o due; Irene, fattasi “signorina” bellissima tra Candida e Lorenzo; poi Marco e finalmente vediamo la sua affascinante “metà”, mentre è sempre un piacere, con Silvano, rivedere la sua di sorridente metà; Luigi, sbarbato di tutto punto, Amos e Lupo.

Giovanni si muove indaffarato, cibo ed alcool non mancano. Come non mancano gli incontri e le chiacchiere con parenti ed altri invitati.
Elise non perde un attimo il suo sorriso, io mi ingolfo di confetti al caffè e cioccolato bianco.

Arriva anche il tempo dei saluti, dei distacchi: un grande abbraccio agli sposi, un bellissimo regalo che scivola tra le mie mani.

Mi giro un’ultima volta a guardare dietro le spalle: grazie Giovanni ed Elise per avermi regalato una giornata così intensa e, distinguendo tra i tavoli le figure di allievi ed ex allievi ancora lì presenti, non posso non lanciare un “grazie” a quella che è una “seconda” famiglia: Sempre avanti famiglia!!
 






 

 

lunedì 3 settembre 2018

Spirito Ribelle. Il Manifesto dello Z.N.K.R.



Spirito Ribelle

Il Manifesto dello Z.N.K.R.

 

Propongo le Arti Marziali come lettura della vita di tutti i giorni, dei conflitti e delle scelte di tutti i giorni: in casa, al lavoro, con il partner, gli amici, i figli.

 
Attraverso le Arti Marziali esploro la cultura del saper stare nei conflitti, nei disagi e nelle situazioni di difficoltà; del saper prendere le decisioni più coraggiose e vincenti; del saper stare bene con se stessi e nelle relazioni.

 
Vitalità, entusiasmo, passione, energia e competenza sono la mia forza nell’affrontare l’impegnativa sfida di custodire e diffondere le Arti Marziali, ovvero la capacità di combattere a mani nude e con armi, quale metafora e metonimia del confliggere quotidiano in ogni ambito del vivere di tutti i giorni; quale strumento per temprare carattere e personalità flessibili e coraggiosi.

 
Utilizzo un metodo maieutico, pratico e non dogmatico, per proporre le Arti marziali quale strumento di analisi, riflessione e cambiamento in ogni ambito personale e professionale. Autentico Budo.

 
Praticare Arti Marziali, saper realmente  combattere, non è capacità e virtù di pochi, ma può e deve essere di tutti. E’ autentico potere personale a disposizione di tutti.

 

“Abbi il coraggio di vivere perché chiunque può morire”
(F. Kahlo)

 Foto scattate al parco del Ticino. Sabato 25 Agosto.