lunedì 10 dicembre 2012

Confliggere o non confliggere ?


Perché poniamo tanta attenzione alla parola “confliggere”, alla dicitura “formazione guerriera” ?

Nessuno che sia scisso in se stesso può essere del tutto autentico
(K. Horney)

Sgomberato il campo da ogni paranoia sulle aggressioni di malviventi che ci aspetterebbero dietro ogni angolo, ridicolo business sul quale campano migliaia di esaltati della “difesa personale” a tutto danno di centinaia di migliaia di deboli impauriti, fino agli sventurati che ho visto mostrarsi di recente in televisione. Sì, l’impiegato del tran tran quotidiano che, in nome di un’ipotetica “catastrofe” prossima e futura, non solo gira a rovistare tra immondizie per costruire fornellini da campo ( e comperatelo un fornellino !! ), accumula, ben divise per anno, scorte alimentari in rifugi segreti (!?), pure si allena ed allena altri alla difesa personale, in una Scuola made Chang Tsu Yao ( e già questo dovrebbe far riflettere sull’efficacia di quel che fa), mulinando a vuoto una spada … finta, duellando ( tutte mosse prestabilite !) con in pugno un bastone, scaricando isterici pugnetti su un colpitore.
Come scritto più volte, lasciamo alla sana indagine psicoterapeutica di ognuno il perché dedicare tempo ed energie ad imparare a difendersi, come ( parole  testuali di un ex allievo) “andare in palestra a sfogarsi a tirar pugni piuttosto che ubriacarsi o picchiare la moglie” ( e certo che è meglio, ma a – non ti risolve il problema che ti ritorna dinanzi una volta che ti sei sfogato; b – se non cambi rotta, i problemi da cui ti allontani per sfogarti aumenteranno, si accumuleranno ).
Fetting
Noi, invece, viriamo decisi ad approfondire, una volta di più, cosa intendiamo per “formazione guerriera”, per praticare il combattimento in Dojo come metafora e metonimia del confliggere relazionale quotidiano.
O meglio, prendiamo la diffusa paura di essere aggrediti per strada o in casa  da un malvivente, il che attenterebbe alla nostra persona fisica come alla nostra dignità di adulto. Eppure, il colonnello  Grossman, nel suo ottimo “On Combat” mostra, numeri alla mano, la bassissima percentuale che ha ogni americano di essere vittima di un atto di violenza: e parliamo degli agitatissimi U.S.A. !
Prendiamo il genitore che ci affida il figlio o la figlia dicendoci  “Così impara a difendersi che va sempre bene”. Difendersi da chi ? Ma tu, genitore, quante volte sei stato aggredito a scopo rapina o stupro ? E perché mai dovrebbe esserlo tuo figlio o tua  figlia ?
Ecco emergere, sotterranea e strisciante, la tendenza dell’uomo a rimpiangere la simbiosi intra ed extra uterina, quello spirito fusionale in cui non ci sia posto per il temuto contrasto.
In quest’ottica distorto – fanciullesca, in cui ogni cosa, nel grembo materno prima e nei primi anni di vita dopo, scorreva via semplice e senza intoppi, tanto la diversità, l’alterità appaiono ostacoli sul cammino della fusione, quanto quest’atteggiamento fusionale, che non ammette contrasti, genera già da sé pulsioni ed atteggiamenti violenti e distruttivi. Atteggiamenti, azioni, proiettati al di fuori della relazione che fusionale, ovviamente, non può essere, oppure contro l’altro della relazione stessa ( tutta la violenza, la “cronaca nera”, che scoppia dentro le relazioni di coppia, le famiglie, qualcosa ci stanno pur dicendo !)
Un atteggiamento fusionale ancor più presente nelle nuove generazioni, quelle affette dal “narcisismo fragile” (M. Fornaro in “Psicologia contemporanea” nov – dic 2012), ovvero quel disturbo che impedisce l’accettabilità di sé agli occhi propri e altrui. L’esasperata ricerca di realizzarsi, del tutto avulsa da relazioni franche e solidali ( e per ciò stesso necessariamente conflittuali !) con gli altri, porta, per esempio, ad un culto parossistico del proprio corpo ( e vai di palestra, addominali a tartaruga e tatuaggi in bella vista, poi creme antirughe e maschere di bellezza, tutto per nascondere quelle che il poeta chiamò “le ingiurie del tempo”). Un individuo tutto attento solo a sé e, di conseguenza, al godimento subitaneo dei beni che fanno moda e tendenza. Beni che una società ginecocratica, materna nel senso deteriore del termine laddove instilla sempre nuovi bisogni per tenere legata a sé il “figlio” / consumatore, produce ed offre in quantità vieppiù abbondanti.
Il quadro, ora, appare più nitido: tendenza umana alla fusione per non incontrare contrasti, intoppi, a cui segue l’impossibilità di ricreare il “grembo materno”, la fusione, che genera così un ”uomo del difetto, alla ricerca famelica di successo nell’insicurezza del proprio valore” (ivi).
Baj
Ecco perché così tanti uomini e donne si buttano nella “difesa personale”, nei corsi di discipline che paventando aggressioni ad ogni angolo di strada, fomentano la paura dell’ ‘uomo nero’ promettendoti l’invincibilità attraverso la forza e la cattiveria e l’essere kazzuti. Ecco perché così tanti luoghi e pratiche di sfogo: che sia la palestra dove fare a pugni, ciecamente motivato alla violenza dalla presenza dell’altro o dalla fuga da una radicale introspezione o la palestra dove svieni di fatica sotto le urla di un despota che ti incita a pedalare, pedalare, pigiare sui pedali e tu ce la metti tutta a pedalare … stando sempre sul posto (grottesca ironia che è lo spinning); il locale dove inebetirsi di alcolici trangugiati come in catena di montaggio; lo shopping compulsivo, la diffusa arroganza alla guida, che sia di un mastodontico SUV o di una leggera bicicletta, ecc .ecc.
Ecco perché, invece, noi abbracciamo una strada alternativa. Quella che accetta e comprende lo scontro, la crisi, come occasione di crescita; le resistenze dell’altro come limite  alle proprie compulsioni, all’infantile delirio di onnipotenza; l’avversione altrui come luogo di crescita adulta che si lasci alle spalle ogni distorto ricordo fusionale; la pace come realistica gestione del confliggere.
Dalì
Una pratica che, senza diktat, modelli da imitare, violenze represse da sfogare, muscoli da gonfiare per apparire più grossi e cattivi, ordini e subalternità, indica il saper stare nel conflitto ( il guerriero ) come prassi quotidiana e Via (Do) altamente formativa.
Una pratica che ( vedasi il mio post precedente ) è appannaggio di pochi, di un pensiero diverso. Di chi coraggiosamente, a volte procedendo a tentoni, sempre sperimentando su di sé, si contrappone all’omofonia, al conformismo di massa.
 Per fortuna dell’umanità che esistiamo noi e quelli come noi, quelli che  godono di ogni autentica eccitazione e di ogni senso d’impresa, quelli per cui “… in questa simbiosi fra l’irresistibile impulso ad andare oltre e la calda voglia di condividere sta il nuovo, più ampio ruolo degli sperimentatori e dei pionieri” (F. Bolelli “Con il cuore e con le palle”).
Altrimenti, pensando in grande, staremmo ancora a credere la terra piatta ed alle grandezze assolute ( beh, per il senso comune è ancora così, come se Einstein non fosse mai esistito !!), non avremmo avuto il ’68 e la poesia Beat, la pedagogia innovativa di Danilo Dolci e la pittura di Dalì …  “stay hungry, stay foolish  “ (S. Jobs ).
Munch
A te, al tuo piccolo, al tuo quotidiano, pensare come saresti tu oggi, come vivresti tu oggi, se solo avessi abbracciato il coraggio del confliggere, avessi guardato dritto negli occhi i tuoi dubbi, avessi inteso la vita come vita da vivere e non da salvare.
Però .. sei ancora in tempo a cambiare rotta, a mettere le mani dentro di te e la tua Ombra, ad affermare  la tua autentica e personale  visione delle cose, a … imparare a confliggere.

Perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca” (l’Apocalisse 3.16)





giovedì 29 novembre 2012

Poco, semplice, fluido


Ogni giorno qualcosa di meno, non qualcosa di più: sbarazzati di ciò che non è essenziale”.
(Bruce Lee)

La leggerezza, la fluidità, lo scorrere delle azioni, dei gesti pur sempre efficaci
Quando il Judo era davvero l’arte in cui il “debole” teneva testa e sconfiggeva il “grosso”. Quando i combattimenti avvenivano senza categorie di peso. E gli stessi praticanti più temuti sul tatami avevano un background di risse da strada e di sfide senza regole tra adepti di diverse Scuole.
senza olio né luci apposite ...
Prima che il Judo venisse sportivizzato ( Ma Jigoro Kano, il suo fondatore, aveva qualche presentimento di quel che sarebbe accaduto introducendo il Judo nel mondo sportivo ?), spogliato di alcune tecniche ritenute pericolose ( sigh!) ed i praticanti divisi per categorie di peso ed indirizzati ad un allenamento basato più sulla prestanza fisica, sulla forza, che sull’intelligenza motoria.
Quando il Judo era non solo gare e medaglie ed urla sguaiate per un ippon o dimostrazioni povere
laddove un bambino, pur nella inverosimiglianza del fatto, mostrava quella meccanica del corpo rigorosa e precisa che permette di atterrare un peso preponderante, ed un judoka adulto si lasciava condurre scegliendo con precisione il tempo in cui lo squilibrio sarebbe stato effettivo.
utile il suv in città ...
Quando i corpi degli umani, per competere nel Judo o per competere in sport di recente creazione, non venivano, come succede ora, deformati, ingrossati, ispessiti, il tutto a danno della loro salute e dell’intelligenza motoria.
Ma, nelle Arti Marziali come nella società, a prendere il sopravvento è il grosso, il pacchiano, il vistoso, quello che mostra di più, quello che urla di più.
A me, a quelli come me che amano la frugalità, il semplice, l’essenziale, non resta che arretrare, costruire in piccolo relazioni ed occasioni perché una sparuta minoranza di individui cerchi dentro di sé, cerchi nella Tradizione aprendola, là dove sia possibile, alle incursioni del moderno, del contemporaneo, cerchi di sé e dello stare al mondo in modo sensibile ed autodiretto.
Cerchi impugnando un anacronistico katana o facendo del bacino e dell’anca e della muscolatura profonda il luogo dell’azione esplosiva e della forza, invece di affidarsi  a bicipiti esagerati e trapezi voluminosi.
Cerchi, dunque, in modo diverso, altro, dall’omofonia imperante. Un omofonia che, per me, sa tanto di bimbo mai cresciuto con ciò teso a ripristinare la simbiosi, intra ed extrauterina, dei primi tempi di vita. Un’incapacità ad affermare e sostenere la differenza, la crisi come occasione di crescita. Eccoli allora, questi bambini solo anagraficamente cresciuti tutti uguali, nei jeans e nel fisico “pompato”, negli stessi luoghi di ritrovo e nelle abitazioni comperate con il sostanzioso aiuto di mamma, nei divertimenti tutti uguali e nello stordimento di massa, uguali anche nelle fughe verso una diversità che è solo di facciata.
power lifter donna
Afflitti dal complesso di Narciso più che dal complesso di Edipo ?

A loro, nelle Arti Marziali sportivizzate, brulicanti di energumeni ed energumene (!!) tozzi e ipertrofici, o nelle recenti invenzioni che, facendo leva sulla fanciullesca paura dell’ “uomo nero”, fanno business mostrando esempi di inkazzuti muscolati e tatuati che ti insegneranno a difenderti dai mille e mille aggressori che ti attendono appena fuori la pancia della mamma, pardòn, appena fuori casa, il loro mondo di vanità esposte, roboanti affermazioni di superomismo, il tanto, il grosso.
“L’ansioso prima edifica i suoi timori, poi vi ci si installa sopra” (E.M. Cioran)

A me, normodato e con panzetta da bevitore di birra, alle Arti Marziali come terapia del saper stare nel confliggere relazionale quotidiano a partire dallo scontro fisicoemotivo,  il piccolo, il poco, il semplice.
http://www.youtube.com/watch?v=ZGhCKvC0CwM
a ciascuno i suoi gusti


A ciascuno il suo, senza alcun intento polemico ma con i miei personali distinguo

“L’allenamento non opera su un oggetto, ma sullo spirito e sulle emozioni di un essere umano. Per agire su sfere così delicate occorrono intelligenza e discernimento.”
(Bruce Lee)






mercoledì 24 ottobre 2012

Il diritto del bambino al rispetto


Il diritto del bambino al rispetto

Questa frase, che è il titolo di un bellissimo e straziante libro di Janusz Korczak ( morto con i suoi bambini ad opera dei nazisti ) mi risuona nella mente, al termine della riunione di classe: 3° B, dove studia mio figlio Lupo.
Riunione povera e deludente.
Le due maestre che, a fronte della loro stessa affermazione  “E’ normale che i bambini siano vivaci” mettono “note” e castighi come fondanti il rispetto delle regole. Ma non sono nemmeno castighi, si affrettano ad aggiungere. No, dico io, sono solo la dimostrazione che chi ne ha la responsabilità non sa coinvolgere il gruppo, non sa fare delle resistenze all'interno del gruppo un’occasione di crescita e formazione. Mirabile la punizione di tenere i bambini seduti al banco, a fare merenda. “Ma possono giocare ugualmente, certo stando seduti”. Otto ore di scuola, otto anni d’età e li privi della gioia del movimento !!
Niente pedagogia che, escludendo la colpevolizzazione, lavori sulla responsabilizzazione individuale e di gruppo. Tanta tensione perché l’allievo impari le materie e non invece impari ad imparare, costruisca, con gli altri e le maestre stesse, una comunità d’apprendimento.
La solita ideologia di controllo e giudicante, una scuola che pretende conferme invece che ricerca ed apprendimento.
D'altronde, quando sento una madre dire che la propria figlia ha piegato la forchetta in mensa e, per questo, va sgridata / punita,  dunque capisce il metodo delle maestre …
Certo, puniamo la bimba. E una volta punita. Amen.
Più facile, molto meno impegnativo che chiedersi cosa c’è in quel gesto, cosa presuppone e dove potrà portare.  Più semplice e deresponsabilizzante  castigare, invece di esplorarne, con la figlia, i contenuti: magari ci sarebbe da lavorare sull'essere assertiva della bimba, se quel gesto ha fatto per imitazione, onde già mettere i presupposti perché, da più grande, non cada nella dipendenza da “banda minorile”; magari ci sarebbe da lavorare sul senso di frustrazione che ha in casa per un’educazione che sente troppo rigida e si sfoga fuori casa, oggi è una forchetta e domani ? No, dai, una sgridata ed un castigo e via.
Alcuni anni fa, dopo una bella serata in casa con amici adulti, Lupo, nel salutarne uno, lo prese a calcetti e dispetti. Facile sgridarlo e magari punirlo “Così non si fa, sei un maleducato !” Facile ma dove ci ( me e Lupo, padre e figlio) avrebbe portato ? Da nessuna parte: una mia affermazione di autoritarismo e lui sottomesso. Stop.
Invece gli ho parlato, gli ho chiesto come stava / cosa provava nel fare del male ad un nostro amico ed è subito emersa la verità. La verità di un bimbo che soffriva nel distacco, nel vedere andar via una persona a cui voleva bene. Ecco, allora, il lavoro sul riconoscimento delle emozioni, sulla loro gestione, sulla capacità di accettare il distacco. Viviamo in una società che parla molto, moltissimo di sesso e qualcosa fa di educazione sessuale, ma poco parla e niente fa di educazione sentimentale ed emozionale. E questa mancanza si sente eccome, noi adulti la sentiamo e così i nostri figli. Ora, quando c’è un distacco da amici grandi o piccoli, Lupo non ha più reazioni violente, gli resta però un’espressione triste che non manca mai di comunicarmi e su quello stiamo lavorando: Sull’accettazione del distacco come unica opportunità per avere nuovi incontri. Lavoriamo perché un  domani lui  saprà prendere e lasciare consapevolmente, nelle relazioni di coppia come nelle scelte lavorative; saprà affrontare i cambiamenti e le sfide; saprà accettare i distacchi di ogni tipo, anche quelli luttuosi.
Difficile lavorare, educare, così quando i bambini sono più d’uno, sono in classe ? Assolutamente no. Da decenni, pedagogisti ed educatori operano non solo in campo teorico, ma anche affiancando maestre delle elementari e professori delle medie nel loro lavoro quotidiano in classe, costruendo pedagogia e didattica a misura dei bambini e del loro apprendimento.
Lo fanno, eccome se lo fanno, un po’ ovunque in Italia, in scuole di ogni ordine e grado: alla scuola primaria "F.lli Cairoli" di Casteggio (Pavia) come  al CFPP di Lecco. Ne scrivono, eccome, autori e pedagogisti passati e presenti: Danilo Dolci e Daniele Novara.
Certo, per farlo, occorrono adulti, a scuola come in famiglia, che siano davvero tali, siano loro per primi su un percorso di individuazione e crescita consapevole
Certo, occorrono maestre che vogliano sempre mettersi in discussione ed imparare; adulti che vogliano capire di sé e di come interagiscono; genitori attenti ai figli ed ai segnali che questi mandano loro.
Altrimenti, da adulti  di età anagrafica ma privi dell’adultità che è responsabilità ed autonomia, faremo solo danni, ah , però avremo per un po’ di anni figli e studenti apparentemente educati, rispettosi e che conoscono le materie scolastiche. Se questo è educare e crescere !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

“ Ancora oggi, il discorso che molti fanno, quando cerco di spiegare che è fondamentale rispettare i tempi e le modalità di apprendimento dei bambini, è ‘Ma quando andranno alle medie, quando andranno alle superiori ?” A me viene da rispondere ‘Ma chi si chiede quali sono i bisogni dei bambini e delle bambine e più avanti dei ragazzi e delle ragazze?’ ”.
(R. Lovattini, maestro e componente la Segreteria nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa, in “Conflitti” n°2  anno 2011)

Fotografie scattate al parco Forlanini, Milano.





mercoledì 17 ottobre 2012

Il katana è come una bella donna


Il katana è come una bella donna

Lei è bellissima, i lunghi capelli neri le scivolano ondulati sulla schiena, occhi profondi, tormentati, occhi di chi ha vissuto, intensamente.
Nel cuore aveva un volo di gabbiani
ma un corpo di chi ha detto troppi sì.” Cantava il poeta 
L’incedere elegante e impreziosito da una felinità scattante.
Lei è bellissima.
Il katana, acciaio affilato e denso; kissaki, la punta, urla la sua voglia affamata di squarciare.
L’impugnatura è solida ed insieme rassicurante nel suo esserci.
L’hamon disegna sulla lama onde e chiaroscuri avvolgenti che ti invitano alla porta del mistero. Eppure dietro  tutto questo, sotto tutta questa leggerezza … la forgiatura, la tempra, sanno di lavoro intenso e di partecipazione emotiva, di fatica nel maneggiare e piegare e dare forma. Come il suo carattere, carattere di donna assertiva che, insieme, sa sognare, sa incantarsi, sa stupirsi di fronte ad un sorriso e ad un colore. Sa ridere senza un perché.
Il katana è come una bella, bellissima donna. La corteggi , le dedichi del tempo, tempo di attenzioni, di premure, di accoglienza. Le stai vicino, mai assillandola, ma sempre presente quando lei lo vuole, anzi, anticipando di un attimo prezioso la sua richiesta. Lei sa che tu ci sei, che su di te può “contare”.

I look at the world and I notice it’s turning
While my guitar gently weeps
With every mistake we must surely be learning
Still my guitar gently weeps

Non c’è errore, non c’è sbavatura che tenga. Tu e lei insieme. Sempre.
Che la stuoia cada al suolo, tranciata di netto: schizzo e lampo di morte improvvisa.
Che il trancio di stuoia si afflosci e penzoli, macabra offerta di goffaggine e lento strazio.
Che il trancio strappi dal corpo stuoioso, moncherino sbrindellato ed appassito.
Insieme, tu e lei. Sempre

Il katana è come una bella donna. Non puoi possederla, non puoi pretendere di conoscerla a fondo e per sempre. Lei, con te, è in grado di stupirti ad ogni momento.

Ecco, gli stupidi muscolari tranciatori di stuoie e pali; ecco gli agonisti che gareggiano a chi lo taglia più grosso.
Ecco, gli impotenti collezionisti che ne ammirano la bellezza senza mai sfiorarla, senza mai cavalcarla.
Nessuno di loro potrà mai amarla ed esserne amato. Nessuno di loro ne conoscerà le pulsioni profonde, ne toccherà il cuore rosso o i seni rotondi


Il katana è come una bella donna. La vita e tu, sai che non sarà “per sempre”. Ma, finché lo sarà, sarà tremendamente bello ed intenso. Insieme.

“Non mi sentirò limitata
a guardarti mentre ti fai del male
non posso farci niente
è più di quello che devo dare”.


“Beautiful Tango, take me by the hand
Beautiful Tango, until you make me dance
How sweet it can be if you make me dance?
How long will it last, baby if we dance?”


 Volti, incontri, a volte uno sguardo solo, altre giorni e mesi ed anni insieme. Alcuni, riaffiorano, altri restano immersi. Alcuni, li ricordo così. 
Ora, adesso, impugno "Lama Danzante" e con lei condivido i passi del mio vivere. Ma questo è il mio presente. Ora c'è lei con me ed un'altra donna accanto.


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giovedì 11 ottobre 2012

Kung fu ? No, grazie !!


“Le uniche battaglie perse sono quelle che non si combattono”
(Ernesto Che Guevara)

by E_Mann
La parola chiave è “kung fu”, tradotto generalmente come “duro lavoro”. Da alcuni decenni, chi sia addentro al mondo delle Arti Marziali sa che le stesse, in lingua cinese, è più corretto chiamarle wushu e che il termine kung fu ( attribuito alle AM  probabilmente ad opera di uno dei primi preti cattolici giunti in Cina), come tale, non solo non c’azzecca ma è riferibile ad ogni abilità raggiunta con “duro lavoro”, che si tratti di pesca o di cucito, di affilare un coltello o cucinare un pollo.
Perché, per me, non c’azzecca ?
Perché, citando l’americano Edward W. Deming (il fondatore del movimento della qualità, particolarmente apprezzato nel mondo industriale giapponese e poi, solo al termine della sua carriera, anche in patria) “Il duro lavoro non è qualità”. ( citato in “L’arte di non lamentarsi mai” di L. Ballabio)
Eh ?
Sì, perché la qualità, come sostengono ahimè ancora troppo pochi pensatori nel mondo industriale in cui questa frase è nata, è invece flessibilità, levità, mutamento continuo. E’ trasformazione della fatica nel piacere di lavorare da soli e in gruppo, per il gruppo. E’ quel piacere estetico, di contro al dovere etico, di cui scrive Rossella Martelloni: “Mentre l’etica è dipendenza, attaccamento al passato, l’estetica è libertà, senso della collettività, creatività, proiezione verso il futuro, possibilità di vero cambiamento” (“Le forme del cambiamento” in “Psicologia e Lavoro”  aprile – giugno 2004).
E’ quel piacere di creare un clima di condivisione tra noi e chi lavora con noi, e chi ( in campo industriale) è il cliente, ovvero il fruitore di quanto lavorato.
“Qualità” indica un processo di formazione continua, in cui, restando nel nostro terreno, il Sensei, “colui che è nato prima”, non il Maestro (colui che ha la padronanza, la maestria di un “qualcosa”), propone e si confronta con gli allievi, mescolando competenze ed incompetenze di ognuno; scarta ogni dogma ed ogni modello da imitare per costruire il personale percorso marziale, il so – stare nel conflitto, di ognuno. Per farlo, agisce sia sulle potenzialità inconsce di ognuno, su quell’area istintuale che sonnecchia in ognuno di noi “uomo civilizzato”, sia su quelle abilità trasversali in grado di creare un clima emozionale aperto e consapevole.
Una formazione continua che, per essere veramente tale, si avvale di maieutica, l’arte di porre domande. E’ la domanda e non la riposta ad originare la conoscenza.
La domanda maieutica è dialogica, ovvero richiede ad entrambi di essere soggetti attivi, come tale anche ci tempra nella capacità di relazionarci conflittualmente con l’altro.
Essa è lo strumento fondamentale per ogni apprendimento, apprendimento che sia basato sulle risorse del praticante e non sull’adesione omofona a contenuti, a modelli, già predisposti.
In una società fondata sempre più sull’accudimento, sono in pochi a riconoscere l’ostacolo come una risorsa: ogni domanda, che “ostacola” il nomale flusso delle convinzioni, è una opposizione che, suscitando emozioni, “sparigliando” il gioco, nutre l’apprendimento profondo, consapevole.
La domanda maieutica, nel nostro praticare marziale, sono sia i koan zen fisicoemotivi che io propongo, quanto le domande / resistenze, anche quelle più stralunate, che pongono i praticanti.
Tutto quanto sopra: la qualità intesa come formazione permanente; il trarre dalla informe palude di pulsioni ed emozioni il saper essere ed il saper agire; l’arte di domandare come costruzione reciproca di un sapere vissuto e personale; contraddicono l’aggettivo “duro”:
-       che resiste all'azione deformante, erosiva, intrusiva di forze esterne; per  estensione: rigido, faticoso, difficile da smuovere. Anche: che non prova o non dimostra emozioni e sentimenti, insensibile. Dunque, poco ricettivo, quanto  non agevole, irto di difficoltà.

Allora, in precario ma esaltante equilibrio tra

il “no pain, no gain”; la sofferenza e il senso di colpa tipico del cattolicesimo più oscuro; lo sforzo e la fatica come unica legittima moneta per il premio finale; la durezza come sinonimo di forza, di virilità;

il lassismo di valori; la ginecocrazia come incessante erogazione di bisogni perché così l’individuo-bambino resti sempre dipendente dall’autorità; l’assenza di prove e riti di iniziazione alla vita adulta ed autodiretta; l’assenza dei “padri”, non solo i padri genitori ma il “padre”, il “maschile e paterno” sano ed autorevole che incarni ed accompagni l’avventura e la sfida quanto le regole ed i confini;

ecco, in questa “terra di mezzo” ( oh, l’antico nome attribuito alla Cina !!) allo Z.N.K.R. agiamo la pratica del lavoro di qualità, duttile, flessibile, condiviso e personale. In cerchio. Insieme ed ognuno da solo.


“Permettete che ve lo chieda sinceramente - quanti di voi, onestamente, pensando di fare qualcosa di vulnerabile o di dire qualcosa di vulnerabile, pensano, "Cielo. La vulnerabilità è debolezza. È una debolezza?"
Quanti pensano che vulnerabilità e debolezza siano sinonimi? La maggior parte di voi. Ora vi farò questa domanda: Questa settimana quanti di voi, vedendo la vulnerabilità qui sul palco, hanno pensato che si trattasse di puro coraggio? Vulnerabilità non vuol dire debolezza. Io definisco la vulnerabilità come un rischio emozionale, l'esporsi, l'incertezza. È il carburante della vita quotidiana. E sono arrivata a ritenere - questo è il mio 12° anno di ricerca - che la vulnerabilità è la misura più accurata del coraggio - essere vulnerabili, lasciare che gli altri ci vedano, essere onesti.”
(Brenè Brown)




martedì 2 ottobre 2012

Hesher è stato qui


“Si parla molto (e poco si fa!) dell’imparare ad imparare e dell’insegnare ad insegnare. Occorrerebbe incrociare i significati e parlare di imparare ad insegnare, oltre che di insegnare ad imparare. (…) Certamente è importante considerare le emozioni come energia psichica. Certamente è un segnale dare importanza alle relazioni, che sono i contenitori di energia psichica verso gli oggetti d’amore dei soggetti. Non vi può essere apprendimento senza oggetti d’amore. E questi ultimi svaniscono senza relazioni che trasportano energia dei soggetti. Né è possibile alcuna trasmissione (relazione, comunicazione, ecc.) senza soggetto. Chi impara è il soggetto e se quest’ultimo non esiste, come può imparare? Il soggetto produce energia e la convoglia verso oggetti d’amore che gli procurano benessere”.
(E. Spaltro)


Era un bel po’ che lo “filavo” questo film. Grazie a Giovanni, che mi presta il dvd e complice l’assenza da casa di Monica e Lupo, mi accoccolo sul divano e do inizio alle danze.
Danze sincopate, a tratti spezzate, pause impreviste e scene rigonfie di emozioni.
TJ è un ragazzino che ha perso la madre in un terribile incidente d’auto, ora vive a casa della nonna, acanto ad un padre assente nella sua presenza, perché incapace  di riprendersi dal lutto. TJ è abbandonato a se stesso, ossessionato dal tentativo di recuperare la macchina in cui la madre ha perso la vita.
In questo distruttivo paesaggio quotidiano, irrompe Hesher, uno sbandato e randagio rockettaro che vive senza regole, immerso nella più sincera violenza.
Sarà proprio lui, l’anarchico folle e fuori dalle righe, a  svolgere quel ruolo maieutico, formativo, che permetterà a TJ di riprendere in mano le redini della sua vita, come farà anche il padre.
Film sull’educazione e, di più, la formazione, ci ricorda ad ogni scena che sovente sono i cosiddetti maestri ( e con loro le consolidate prassi educative dominanti) l’ostacolo più pericoloso per l’apprendimento.
Ci mostra come sorpresa ed imprevedibilità consentano la messa in crisi della comprensione. Ciò che si capisce porta inevitabilmente ad un’altra comprensione, ovvero un futuro prevedibile. In formazione, camminare senza il mito di voler comprendere permette di scoprire, trovare intuizioni sorprendenti dietro ogni angolo, permette di non fissarsi in schemi e risposte preordinate, permette di  … vivere .
Hesher risponde bene alla domanda “Che cosa serve a questo organismo per crescere ?”. Domanda che non è presente (anzi, è tenuta ben alla larga) dall’educazione scolastica come da quella sociale. Queste ultime intente a costruire automi perfettamente uguali gli uni agli altri, perfettamente compatibili, anche nelle trasgressioni, con il modello socioculturale dominante,  piuttosto che accompagnare i giovani ad accrescere la propria capacità unica di costruire significati alle cose.
Hesher sovverte ogni ordine, ogni previsione e ogni cautela educativa. Mostra la fallacia del concetto di verità assoluta; che ci sia una ed una sola risposta “giusta”; distrugge il concetto di identità isolata, ovvero che “A è A” sempre e per sempre; la convinzione nella causalità semplice, singola e meccanica; le differenze fatte solo in forma di paralleli ed opposti; il concetto che il sapere è dato ed emani da un’autorità superiore, indiscutibile.
Pellicola ad alto contenuto esplosivo ( in tutti i sensi, vista la passione di Hesher per bombe e fiamme), snobbata dalla critica, più attenta a qualche sbavatura nella scenografia che al contenuto e, ma dai ?, poco gradita dal grande pubblico, quello del nozionismo scolastico, del bisogno di certezze, quello uscito da una scuola noiosa, inutile quando non altamente dannosa che ha subìto senza mai ribellarsi.
Ecco, a dire il vero, io l’avrei terminato alla penultima scena: solida ed insieme perturbante. Ho il dubbio che quanto aggiunto sia solo il tentativo di mostrare un happy end consolatorio e privo di incertezze, contraddicendo così, il “carattere” scorbutico del film stesso. Ma, forse, per il business andava bene così.
Un film che consiglio, ovviamente, a tutti i maschi che sono padri o lo diverranno ( e cosa si sono persi quegli uomini che, dando spazio al loro capriccioso “bambino interiore”, non hanno voluto figli, un po’ per pigrizia, un pò accampando scuse le più disparate, un po’ scegliendo accanto a sé o un’altra adulta d’età anagrafica ma anch’essa bambina dentro, o una donna – mamma, più anziana e magari che ha già figliato, così il ruolo di figlio lo possono  occupare loro); a tutti coloro che si occupano di educazione e, di più, di formazione.
E, ovviamente, a tutte le donne e le mamme perché aprano uno spiraglio in più sul mondo maschile.


mercoledì 26 settembre 2012

Lo Z.N.K.R. alla festa di via Negroli


Domenica 23 Settembre
Se vuoi vedere, impara ad agire” (H. von Foerster)


Pubblicità in televisione: uomo felice e sorridente al volante dell’automobile sfavillante appena acquistata ad un prezzo più che vantaggioso, con comode rate di 99,99 euro al mese. Eh già, mica ti fanno vedere come sarà l’auto quando il tipo avrà finito di pagarla, tra sette o otto anni: Un veicolo malandato, frusto, e già pronto per essere sostituito !! Insomma, l’auto nuova non si festeggia quando il debito è estinto ma quando viene contratto.
i "montatori"
Qui ed ora”, all’insegna di questo motto siamo alla festa di via Negroli. Finalmente una sistemazione, una “tana”, accogliente, grazie all’ingegno ed all’impegno di Angelica. Un bel gruppo affiatato che si da da fare, volantina, incontra passanti e si apre al dialogo.
Se verranno, da questa iniziativa, dei nuovi praticanti, ben vengano: energie nuove per la Scuola. Ma l’obiettivo è ben altro. E’ costruire un gruppo ed un buon clima di gruppo.
La parola gruppo deriva dall’italiano medioevale groppo = nodo che, a sua volta, viene dal germanico truppa = massa rotonda; ambedue i termini hanno, come identica origine, l’idea di un tondo.
L’etimologia ci offre, dunque, due direzioni di significato: il nodo e il tondo. Il senso di nodo rimanda alla coesione tra i componenti  il  gruppo. “Tondo”, designa una riunione di persone o, per restare nella stessa immagine, un circolo di persone.
Facciamo esperienza di gruppo qui, perché poi ognuno la trasferisca nel suo gruppo famiglia, lavoro, amici. Impariamo qui a fare gruppo.

Contrariamente a precedenti esperienze, questa volta le persone si fermano spesso. Chiedono, chiacchierano, si prendono del tempo per sé. Ognuno di noi si offre al confronto per come è: chi subito aperto e disponibile, chi “sta sulle sue”, chi d’impeto e chi di prudenza. Ognuno può studiarsi, se lo vuole, per come si relaziona agli altri.
Non mancano gli episodi curiosi.
1981 Karate all'Umanitaria
Angelica mette un volantino in mano ad una coppia, lui dai capelli bianchi, il corpo appesantito, lei giovanile e lo sguardo vivace. Lui legge le prime righe e “Ma quanti anni ha adesso Tiziano Santambrogio” “ Lo conoscete ?”. Angelica annuisce e mi indica, seduto dietro il banchetto. Il tipo si fa avanti … un momento di incertezza e ci abbracciamo, ci infiliamo in un turbine di ricordi: è uno degli allievi del primo gruppo Karate, all’Umanitaria, ormai  più di trent’anni fa. Trent’anni che non ci incontravamo.
Quando si allontana, mi coglie un pensiero “Quanti anni ha adesso Tiziano Santambrogio ?” Miii…. Sono le espressioni che anche io uso parlando di grandi e piccoli “vecchi”: “Ma quanti anni avrà ora Chuck Norris ? e Mario Capanna ? e la signora Teresa ? e Bob Dylan ? e il proprietario della pasticceria Corcelli ? e……

giochiamo un pò
Avvio la ”lezione aperta”. Donatella mi suggerisce di fare cose vivaci. Io ci avevo già pensato: ho con me i guanti da passata ed i tambo.
Ci muoviamo rapidi, efficaci. Offro movimenti scenografici, che colpiscano la fantasia dei presenti, ma chi pratica coglie subito ( o quasi !) gli aspetti che più interessano noi dello Z.N.K.R: equilibrio ed elasticità; coordinazione motoria ed atteggiamento predatorio. Un  dissolversi di chiaroscuri, di apparenze e di significati sottesi.
L’invito semplice, in termini di corpo a rispondere alla tre domande chiave:
Quale parte del corpo si muove ?
eccomi !!
Dove origina il movimento  ?
Come questo si espande attraverso il corpo tutto ?

L’anziana signora sbuffa e si impegna; la giovane boxeur si cimenta con spostamenti a lei sconosciuti; la presenza di Lupo spinge alcuni altri bimbetti ad avvicinarsi.

Un breve scroscio di pioggia non ci impedisce di portare a termine la lezione.
Poi, gli ultimi incontri con un pubblico davvero curioso, lo smontare il tutto, il pranzo da Giovanni.
Anche questa è fatta. Ora ci attendono via Mincio e corso Lodi.

Fra tutte le forme di sensazione, quella preferita dalla maggior parte degli essere umani è il contatto con un’altra pelle umana” (E. Berne)



gli "artisti di strada"



martedì 11 settembre 2012

Trenitalia: potere e disprezzo





Che i treni partano in ritardo, che accumulino ritardo, che si guastino lungo il percorso, che vengano annullati poco prima della partenza.
Che i servizi igienici siano inservibili, o sporchi, o privi di chiusura della porta o del sapone.
Che le carrozze siano sporche, prive di aria condizionata o, in piena estate, con il riscaldamento a tutta forza.
Che i treni a percorrenza regionale siano stati costruiti pensando ad un popolo di “puffi”, con spazi più che ridotti per i passeggeri e per i bagagli ( praticamente impossibile caricare un borsone “sportivo”, non parliamo poi di una valigia ).
Ecco, tutto quanto sopra, non mi turba più di tanto.
Può succedere.
In una struttura complessa che si occupa di migliaia di viaggi e persone, è sicuramente fisiologica una percentuale di disagio, di inefficienza.
Quel che, per me, “non ci sta” è il ripetersi continuo, incessante, di questi inconvenienti (treni in ritardo, sporchi, ecc.) come delle scelte a danno dei clienti ( i “regionali” vere e proprie scatoline dell’orrore ).
“Non ci sta” l’assoluta insensibilità dei dirigenti e, via via, a scalare, dei vari quadri, nel porre rimedio a tali inefficienze, a non ripetere scelte che danneggino i passeggeri.
Infatti i dirigenti, ora di Trenitalia e prima delle Ferrovie dello Stato, stanno, immutati da decenni, al loro posto; il “grande capo” pure, salvo trasferirsi, lautamente pagato, presso qualche altro ente pubblico o, raggiunta l’età, entrare in una pensione “d’oro”.
Ecco quel che mi infastidisce
-          il ripetersi inarrestabile di errori, incongruenze, danni verso i passeggeri.
-          Che nessuno paghi, tra dirigenti e “grande capo” per questa situazione disfatta che pure è nelle loro mani, dipende da loro.

Che possiamo fare noi, utenti / vittime del loro mal dirigere ?
Smettere di usare i treni. Ma questo significherebbe smettere di viaggiare o riversarsi sul mezzo proprio. Oddio, quest’ultima ipotesi, con i costi raggiunti dai biglietti unitamente al taglio di percorsi e fermate operato da Trenitalia, mi tenta assai. Ma perché devo rinunciare io ad un mio diritto, che per altro pago regolarmente ?
Buttare giù dal treno in corsa qualcuno del personale. Ma ce la prenderemmo proprio con l’ultimo della gerarchia, il meno colpevole. Come chi inveisce con il personale degli sportelli, alle poste o in Comune, lasciando “in panciolle” chi non assume personale, che lo mal distribuisce, chi lo mal forma, chi non lo licenzia quando questi è un incapace o un fannullone. Insomma, sarebbe un bello sfogo pulsionale e nulla più. Nemmeno il mitico “colpirne uno per educarne cento” !!
Organizzare una spedizione punitiva ( ah, ricordi giovanili !! ) per pestare a sangue o gambizzare il “grande capo” o, almeno, uno dei suoi sottoposto. Ma, tanto, o tornerebbe al suo posto o al suo posto ci verrebbe un altro esattamente come lui ( guarda un po’ come nulla è cambiato, di nefandezze e disservizi, in decenni e decenni di ferrovie ). Senza dimenticare la campagna stampa, benpensante ed intellettualoide, che orchestrerebbero giornalisti, esangui intellettuali, politici “di lungo” o “breve” corso contro lo scatenarsi delle peggiori pulsioni, delle follie metropolitane. Quegli stessi giornalisti, intellettuali, politici, che certo non si fanno sette ore di fila su un regionale sovraffollato, afoso da far schifo, minuscolo e a misura di “puffo”. Certo non viaggiano, in piena estate, su un intercity ( ed ero pure in prima classe !!), privo di aria condizionata e con i servizi igienici fuori uso nella carrozza ed in quella accanto.
Insomma, niente da fare, ci tocca subire.
E mentre lo scrivo, mi accorgo  che nulla è cambiato, in secoli e secoli di storia dell’uomo: Bocca grande mangia bocca piccola.
A nulla serve, al leopardo, aver catturato la preda. Se arrivasse il leone, sarebbe questi a sfamarsi, mentre il leopardo starebbe a guardare.
Sono solo cambiati gli “attributi” per dominare: una volta erano la forza fisica e, poi, l’uso di armi sempre più evolute; ora si tratta di “far carriera”, di inserirsi ai posti di comando.
Semplice. Forse un po’ raccapricciante, soprattutto per chi abbia ancora in esaltazione la democrazia, ma semplice.
Far carriera, entrare nei posti di comando, laddove il merito, la capacità di fare, non è poi così importante. Anzi.
E questo è sotto gli occhi di tutti, non solo nella stramostrata politica (Minetti e il “trota”, con la miseria della stirpe Bossi, sono solo alcuni degli esempi più recenti);
ma anche nell’industria e nella finanza. Leggetevi l’elenco numeroso di rampanti e boriosi imprenditori e finanzieri che, nel menar vanto della loro impresa, omettono di specificare che l’hanno ereditata da papà (grande uomo d’affari questo Lapo Elkan, che genio questo Gabriele Albertini, leggetevi la ricerca in merito del sociologo Antonio Schizzerotto) o grazie a leggi fatte ad hoc da politici amici ( leggetevi le carte riguardanti il rapporto Craxi – Berlusconi ) o grazie a traffici palesemente illeciti per i quali, ogni tanto, ne “pizzicano” qualcuno di assolutamente insospettabile ( Tanzi, Caldarelli, la Jesse di Francenigo e la Zaccariotto Cucine di Gaiarine).
nell’ università, tra “baroni” e figli e nipoti degli stessi, a cui non è sfuggita nemmeno “nostra signora della lacrima”, il ministro Fornero.
nello sport, da Moggi senior a Moggi junior, da Prandelli senior a Prandelli junior, da Juventopoli ai drogati campioni del ciclismo, dalla danzopoli d’Agosto  allo Schwarz di Luglio )


Bocca grande mangia bocca piccola”. Almeno fino a che i leopardi non decideranno di mettersi insieme e farvi un kulo così.

martedì 28 agosto 2012

Inquietudini d’Agosto


“Se mancasse l’audacia d’animo, mancherebbe tutto. L’audacia, tale virtù in particolare, trova luogo nell’arte” (Fiore dei Liberi)

Il senso di ore ed ore di auto, tra code e rallentamenti che sono grassi foruncoli fastidiosi, piazzati proprio tra quelle che i puritani chiamano le parti intime ?
E tutti, ma proprio tutti, sono lì: gregge indistinto che parte e si sposta insieme, stesso giorno e stesse ore. Stupidità umana a cucchiaiate, matassa informe e senza nerbo.
Che c’entro io con queste pecore ?
Arrivare ai sessant’anni per provare lo stordimento ubriaco del gregge, dello scivolare piano, ma inesorabile, verso la tosatura: sorta di beluina transumanza, enorme mandria di gnu che si trascina, stanca, ignorante e impotente, da un capo all’altro del parco Kruger
Alt, aspetto positivo:
dalla finestra di casa
un passato pluridecennale fuori dal gregge ( è, salvo un paio di “incidenti”, la prima volta che mi lascio intruppare nella transumanza ), dunque, figo questo Tizi. Si tratta solo di continuare ad avere immacolata la “fedina” di umano adulto auto diretto: mai più nel gregge stupido delle partenze di massa !!


Cemento ovunque; auto e scooter e pullman si infilano a ripetizione nella stradina che, sega fastidiosa e rumorosa, lacera ripetutamente il muro di cemento delle case schiacciate le una alle altre; sporcizia ovunque.
ancora dalla finestra di casa
Cammino su rocce e scogli; il mare, verde e limpido, scivola frusciante. Cammino scansando bottiglie vuote, cartacce, escrementi ( canini ? umani ? Boh!? ), una ciabatta spezzata, un groviglio di fazzoletti usati, avanzi di cibo. Non è questa la Croazia, selvatica e nuda, conosciuta la scorsa estate.
Questa è una vecchia baldracca disfatta, trucco pesante, il sudore rancido sul viso a solleticare rughe profonde come fogne oscure.


scorcio di mare
Belle le chiacchiere serali, notturne, attorno al tavolo, e, qui e là, le esposte reciproche nudità emozionali.
Dopo cena, i bambini in casa, a giocare; gli adulti fuori.
Non sono uno da “conversazione” (A) e, lo ammetto, me ne vanto. So fingere; so aprire e chiudere la bocca emettendo suoni comprensibili attorno al tempo atmosferico, all’aumento delle bollette, ai politici ladroni ed alle cose del quotidiano scorrere ( comprese quelle di cui nessuno dei presenti alla conversazione sa nulla, ma giudica e sentenzia per sentito dire o per un titolo di un quotidiano: quanti innocentisti / colpevolisti sul delitto di Avetrana, sulla chiusura dell’ILVA, su…). Ma sono io, veramente io, quando riesco a virare sul personale, sull’essere, allontanandomi dall’apparire.
Allora, ben vengano, tra sprazzi notturni in un cielo stellato, le confidenze emozionali di vita vissuta, le parti Ombra danzate a fatica ma con sincerità
Grazie, cari compagni di un breve soggiorno croato. Grazie di cuore per quei piacevoli ed intensi incontri serali tra uomini e donne. Ho vissuto sere bellissime.


Ecco:
L'unico vero viaggio, l'unico bagno di giovinezza, sarebbe non andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi, vedere l'universo con gli occhi di un altro, di cento altri, vedere i cento universi che ciascuno vede, che ciascuno è. “ (M.Proust)
“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuovi orizzonti, ma nell'avere occhi nuovi.” (M. Proust)
Ed anche
“’D’altra parte il turismo di massa ha le sue leggi. Come un Creso, più aumenta, più uccide tutto ciò che tocca” (G. Botta).
Basta per spiegare perché non mi importa nulla di viaggiare a vedere luoghi ?
Con buona pace di chi, dopo una settimana o un mese da turisti a vedere Messico o Egitto, ci racconta “Sono stato in Messico”, “Sono stato in Egitto”.
Se si tratta di un passatempo (ancoraA”, è buono pure per questo), di un divertimento, OK. Ognuno si diverta come crede.  Ma tu, turista d’Agosto, davvero credi di essere stato in – tutto- il Messico ? Davvero hai la pretesa di aver conosciuto – tutto – il Messico ? E quale Messico ? Quello guardato con i tuoi occhi di turista d’Agosto ? Il tuo Messico, il tuo Egitto, è una sfilza di immagini e nulla più. Contento tu, OK.
Un mio ormai ex allievo, vent’anni fa, mi disse “Siamo tutti yogurt con la scadenza. Solo che, contrariamente agli yogurt, la scadenza non ci è dato saperla”. Lascio volentieri ad altri le visite al Billa o all’Esselunga, osservando corridoi e scaffali, notando, magari e del tutto superficialmente, le differenti confezioni di yogurt che ne sono ospitati. Io preferisco gustare profumo, sapore, di questi yogurt, assaggiarne il sapore. E farmi assaggiare. Prima dell’arrivo della scadenza.



tutti in montagna !
Mi aspetta Bassano del Grappa. Bellissima, dolcemente penetrata tra i fianchi dallo snodarsi del Brenta, le montagne forti alle spalle.
Mi aspettano le passeggiate tra i boschi; Marostica, minuscola cittadina dal sapore d’antico; le mangiate enormi ( stupenda scoperta il ristorante “Ottocento simply food”, tra verde esploso tutt’attorno, cibo prelibato e offerto con grande autorevolezza ); le ore dentro la libreria Roberti, antica ( occupa un palazzo del ‘700), accogliente, e gli scambi con commessi gentili e preparati; le mucche al pascolo e le vedute sterminate dal monte Crocetta. La calda accoglienza della sempre gentile Susy.
Mi aspettano il riposo, le dormite fino a tarda mattina, gli studi e le letture.
Soprattutto, mi aspettano gli incontri con uomini e donne.


verde ovunque
Con Vanni, medico sportivo ed ortopedico di lungo corso, tra ciclismo, sport del ghiaccio a squadre ed individuali ed ora anche calcio, e con Anna, giovane pallavolista che, dopo Club Italia e campionati di serie B, è pronta al gran salto in serie A, siamo a chiacchiere sportive.
Allenamenti e periodizzazione; pesi ed elastici; fisioterapia e iniezioni riabilitanti; aneddoti e curiosità, a volte anche sconvolgenti rispetto ad una “facciata” di pretesa integrità. Ognuno porta il suo personale contributo. Minimo quello mio sportivo, schiacciato in anni lontani.
Come sempre mi accade, dopo questi incontri, sono ben contento di praticare ed offrire Arti Marziali, soprattutto come noi le intendiamo allo Z.N.K.R. Arti, e non sport.


Anna e ... la mucca
L’aria fischia, sibila pericolosa.
“Gli oscuri dell’aria”, come mi piace chiamare i miei coltelli da lancio, tendono all’albero di fronte a me.
Un bel gioco, un masticare comunque d’acciaio. A più riprese, coinvolgo altri nell’impresa. E mi piace osservare le piccole dita di mio figlio Lupo avvolgere l’acciaio pericoloso, il braccio protendersi, ancora goffo. Padre e figlio, per alcuni momenti, uniti nella stessa maschia danza.


Due settimane scivolano via rapide.
Il ritorno a Milano; la casa avvolta da una luce candida; i katana a troneggiare impavidi sul mobile “bello”; il giocare con Lupo e l’incombenza della spesa.
Pronto ? Certamente !!


(A)  “I passatempi sono di vario tipo. Le determinanti esterne sono sociologiche (sesso, età, stato civile, situazione culturale, razziale e economica). “Auto e motori” (confronto di macchine) e il “Chi vince” (sport) sono “discorsi da uomini”. “Negozi”, “Cucina” e “Vestiti” sono tutti “discorsi da donne”. Il “com’è andata con quella” è proprio degli adolescenti, mentre il passaggio alla maturità è caratterizzato dall’apparizione del “Bilancio d’esercizio”. Altre specie della stessa famiglia, variazioni delle “Quattro chiacchiere”, sono: “Come si fa” ( a far qualcosa), ottimo per i brevi viaggi in aereo; “Quanto costa”, (molto in voga nei bar frequentati dalla piccola borghesia); “E’ mai stato a …” (qualche posto meraviglioso), tipico della media borghesia e degli “esperti”, come i commessi viaggiatori: “Conosce” ( il tal – dei – tali) per i solitari; “Che ne è stato di …” (quel caro Joe), giocato spesso da chi ha fatto soldi e da chi non ne ha fatti; “La mattina dopo” (una sbronza) e il “Martini” (conosco una ricetta migliore), caratteristici di un certo tipo di giovani ambiziosi.”
un piccolo amico per mio figlio
(E. Berne: A che gioco giochiamo). Libro che, da anni, suggerisco a chiunque voglia capire come, ogni giorno, sprechiamo il tempo e avveleniamo le relazioni.