martedì 2 ottobre 2012

Hesher è stato qui


“Si parla molto (e poco si fa!) dell’imparare ad imparare e dell’insegnare ad insegnare. Occorrerebbe incrociare i significati e parlare di imparare ad insegnare, oltre che di insegnare ad imparare. (…) Certamente è importante considerare le emozioni come energia psichica. Certamente è un segnale dare importanza alle relazioni, che sono i contenitori di energia psichica verso gli oggetti d’amore dei soggetti. Non vi può essere apprendimento senza oggetti d’amore. E questi ultimi svaniscono senza relazioni che trasportano energia dei soggetti. Né è possibile alcuna trasmissione (relazione, comunicazione, ecc.) senza soggetto. Chi impara è il soggetto e se quest’ultimo non esiste, come può imparare? Il soggetto produce energia e la convoglia verso oggetti d’amore che gli procurano benessere”.
(E. Spaltro)


Era un bel po’ che lo “filavo” questo film. Grazie a Giovanni, che mi presta il dvd e complice l’assenza da casa di Monica e Lupo, mi accoccolo sul divano e do inizio alle danze.
Danze sincopate, a tratti spezzate, pause impreviste e scene rigonfie di emozioni.
TJ è un ragazzino che ha perso la madre in un terribile incidente d’auto, ora vive a casa della nonna, acanto ad un padre assente nella sua presenza, perché incapace  di riprendersi dal lutto. TJ è abbandonato a se stesso, ossessionato dal tentativo di recuperare la macchina in cui la madre ha perso la vita.
In questo distruttivo paesaggio quotidiano, irrompe Hesher, uno sbandato e randagio rockettaro che vive senza regole, immerso nella più sincera violenza.
Sarà proprio lui, l’anarchico folle e fuori dalle righe, a  svolgere quel ruolo maieutico, formativo, che permetterà a TJ di riprendere in mano le redini della sua vita, come farà anche il padre.
Film sull’educazione e, di più, la formazione, ci ricorda ad ogni scena che sovente sono i cosiddetti maestri ( e con loro le consolidate prassi educative dominanti) l’ostacolo più pericoloso per l’apprendimento.
Ci mostra come sorpresa ed imprevedibilità consentano la messa in crisi della comprensione. Ciò che si capisce porta inevitabilmente ad un’altra comprensione, ovvero un futuro prevedibile. In formazione, camminare senza il mito di voler comprendere permette di scoprire, trovare intuizioni sorprendenti dietro ogni angolo, permette di non fissarsi in schemi e risposte preordinate, permette di  … vivere .
Hesher risponde bene alla domanda “Che cosa serve a questo organismo per crescere ?”. Domanda che non è presente (anzi, è tenuta ben alla larga) dall’educazione scolastica come da quella sociale. Queste ultime intente a costruire automi perfettamente uguali gli uni agli altri, perfettamente compatibili, anche nelle trasgressioni, con il modello socioculturale dominante,  piuttosto che accompagnare i giovani ad accrescere la propria capacità unica di costruire significati alle cose.
Hesher sovverte ogni ordine, ogni previsione e ogni cautela educativa. Mostra la fallacia del concetto di verità assoluta; che ci sia una ed una sola risposta “giusta”; distrugge il concetto di identità isolata, ovvero che “A è A” sempre e per sempre; la convinzione nella causalità semplice, singola e meccanica; le differenze fatte solo in forma di paralleli ed opposti; il concetto che il sapere è dato ed emani da un’autorità superiore, indiscutibile.
Pellicola ad alto contenuto esplosivo ( in tutti i sensi, vista la passione di Hesher per bombe e fiamme), snobbata dalla critica, più attenta a qualche sbavatura nella scenografia che al contenuto e, ma dai ?, poco gradita dal grande pubblico, quello del nozionismo scolastico, del bisogno di certezze, quello uscito da una scuola noiosa, inutile quando non altamente dannosa che ha subìto senza mai ribellarsi.
Ecco, a dire il vero, io l’avrei terminato alla penultima scena: solida ed insieme perturbante. Ho il dubbio che quanto aggiunto sia solo il tentativo di mostrare un happy end consolatorio e privo di incertezze, contraddicendo così, il “carattere” scorbutico del film stesso. Ma, forse, per il business andava bene così.
Un film che consiglio, ovviamente, a tutti i maschi che sono padri o lo diverranno ( e cosa si sono persi quegli uomini che, dando spazio al loro capriccioso “bambino interiore”, non hanno voluto figli, un po’ per pigrizia, un pò accampando scuse le più disparate, un po’ scegliendo accanto a sé o un’altra adulta d’età anagrafica ma anch’essa bambina dentro, o una donna – mamma, più anziana e magari che ha già figliato, così il ruolo di figlio lo possono  occupare loro); a tutti coloro che si occupano di educazione e, di più, di formazione.
E, ovviamente, a tutte le donne e le mamme perché aprano uno spiraglio in più sul mondo maschile.


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