giovedì 15 dicembre 2011

E i bambini che si azzuffano ?

Possibile ? I bambini non si azzuffano più ?

Almeno a Milano ( nelle grandi città ?) sono anni che non vedo bambini e ragazzini abbandonare la cartella per terra e prendersi a spintoni, fino a rotolare al suolo avvinghiati nel tentavo  di sottomettersi l’un l’altro.
  • Sarà che si è elevato lo standard di vita, dunque anche gli aspetti socioculturali, e la cultura “bene” disdegna lo scontro fisico, il prendersi a botte;
  • sarà che i bambini ed i ragazzi sono straimpegnati tra un corso di basket ed uno di chitarra, il catechismo ed il nuoto, troppe cose per avere tempo e voglia di una sana scazzottata;
  • sarà che sempre meno bambini e ragazzini si relazionano tra pari, che c’è sempre un grande, un adulto ( il Maestro al corso di Judo, l’animatrice alla festa di compleanno ) a dettare le regole e a farle rispettare;
  • sarà che bambini e ragazzi non giocano più per strada: troppi pericoli tra così tante auto in movimento e delinquenza adulta diffusa, aria irrespirabile e spazi ridotti all’osso, ed è invece in strada, in una qualsiasi “via Pal” (1) che nascono e si sviluppano le relazioni libere, anche conflittuali;
  • sarà che un tempo i bambini tornavano da soli a casa da scuola: poche centinaia di metri ed eri già a casa, mentre oggi, complici le distanze vertiginosamente aumentate, la paura dei genitori,( a fronte di una società civile che civile non è più da un pezzo, tra auto malamente parcheggiate sui marciapiedi, scooter che sfrecciano contromano o sui marciapiedi stessi, clochard rissosi e petulanti) di quel che potrebbe succedere al loro bimbo e così, genitori o nonni o baby sitter,  si accalcano davanti all’ingresso delle scuole prendendo immediatamente in custodia il bimbo;
  • sarà che gli adulti, i padri e le madri d’oggi, così occupati dal lavoro e dalle loro di esigenze di vita, danno per scontato che il loro compito sia insegnare ai bambini a comportarsi in modo tale da non disturbare, mettendo in primo piano  obbedienza, buone maniere, docilità e, soprattutto, “che non rompano …”;
Sarà per tutto questo e forse per altro ancora che io non so, ma che fine hanno fatto i litigi, gli spintoni, le zuffe fuori da scuola ?
E, a ben vedere, già quando in Dojo parlo ai miei allievi over trenta delle mie baruffe da ragazzino, dei pugni in faccia al “grandone” prepotente, delle manganellate carnevalesche tra bande del boia nero e boia bianco ( zuffe ruvide sì ma del tutto – o quasi – innocenti, niente a che vedere con quel che farò negli anni successivi, marcati dall’odio di classe e dalle violenze del ’68 quanto dal grande ideale di poter cambiare in meglio la società) questi restano allibiti, poveri di esperienze fisiche tra maschi, di prevaricazioni fanciullesche tra un labbro che sanguinava e le ginocchia sbucciate per una spinta al suolo.
Manca, ai bambini ed ai ragazzini, manca già da un po’, quel litigare anche fisico che è un importante evento denso di contenuti educativi e formativi specifici e non un malaugurato incidente da evitare o “chiudere” al più presto.
I bambini, i ragazzi, non hanno più occasioni spontanee e di gruppo per mettersi alla prova e per testare, anche scontrandosi con altri, i confini permessi nel e dal gruppo; generalmente non sono loro a scegliere i coetanei con cui crescere ( altri li scelgono per loro, trovandoseli in classe a scuola, nel corso sportivo o nel centro estivo ); a loro viene costantemente rimproverato / impedito dalla figura adulta qualsivoglia atteggiamento conflittuale anche fisico, con ciò uccidendo l’espressione ed il riconoscimento dell’intera gamma delle proprie emozioni, rabbia e paura comprese: bambini robot impossibilitati a comunicare esprimendo anche contrasto, opposizione e, da ciò, facendo germogliare i semi nascosti della violenza, ovvero la voglia di eliminare, distruggere chi è, per loro, il portatore del problema; bambini tirannici  e capricciosi, incapaci come sono di trovare e scontrarsi con un “altro” che li contenga.
Due spintoni, un cazzotto scambiato tra pari, è un agire che odora di rituale: cartelle a terra, i contendenti uno di fronte all’altro e gli altri in cerchio; il rito, il rituale, altro non è che un contenitore sano di emozioni in gioco. Esso rinvigorisce il legame di gruppo che si riconosce in determinate procedure simboliche comunemente definite nello spazio e nel tempo: finita la scazzottata, ci sarà il momento per i commenti e le recriminazioni ( “te le ho date”, “hai avuto paura”, “faccio venire mio fratello”, “è perché avevo mal di pancia che sono caduto subito ) prima della partita a calcio in cui i due si troveranno fianco a fianco nella stessa squadra a …. “litigare” con altri due !!
Sarà, per contro, proprio il bambino, il ragazzino, che è cresciuto in gruppi spontanei, di pari, ad avere maggiori possibilità di costruire un senso critico verso il gruppo  e “sarà quindi psicologicamente più organizzato a fronteggiare quel bisogno di appartenenza così forte, tipico di quell’età (adolescenza), che può condurre soggetti meno preparati a vivere in totale dipendenza del gruppo in rituali di condivisione ad alto rischio per sé e per gli altri” (D. Novara: “Litigare per crescere”).
Sarà il bambino che si è pestato, da bambino con un altro bambino, a tenersi alla larga da quelle violenze di strada, fatte di gang, di coltelli, microcriminalità e  distruzione incontrollata, che tentano così tanti adolescenti. Perché egli ha già conosciuto il senso del limite; perché gli è più facile  riconoscere e gestire le proprie emozioni; perché ha già sperimentato  l’ansia, la rabbia e la paura: solo quando queste emozioni montano ingestibili trova spazio la violenza quale immediato canale di sfogo, illusoria scorciatoia, con le conseguenze, a volte terribili, che il praticarla comporta.
Quanta responsabilità in noi adulti, in quanto genitori, ma anche nella veste “professionale” di ognuno di noi  che contribuisce, in misura maggiore o minore, a costruire /  abitare questi spazi fisici ed i messaggi valoriali di questa società, o, semplicemente, quanta responsabilità nella forza dirompente che, agli occhi subalterni ed influenzabili di un fanciullo, diamo con il nostro esempio, tuti i giorni !



1)    “I ragazzi della via Pal” , romanzo per ragazzi di Ferenc Molnár. In realtà con un pubblico di lettori anche adulti, non fosse altro perché assai critico ( già allora !) verso un mondo adulto che, negli spazi fisici delle città, negava sempre più e sempre più ottusamente gli spazi aperti per la crescita dei ragazzi stessi.



lunedì 5 dicembre 2011

Le lacrime della sciura Fornero


facile piangere ... dopo
 
Come, dalle pagine di un quotidiano moderato, ci ricordava giorni addietro Battista, altro che “Euro felicità”. E  come e dove stanno ora tutti i beati sostenitori dell’euro ? Al loro posto, o, comunque, stanno bene ed in ottimi posti, come il nostro neo presidente del consiglio. Tutto questo mentre l’euro ( voluto e fatto in quell’orrido modo) ed i suoi sostenitori, dopo aver aperto diversi disastri, sprofonda e ci fa sprofondare.
E come  e dove stanno, ora, tutti gli allegri sostenitori dei contratti a tempo determinato, del lavoro flessibile ( precario !) ? Stanno tutti bene, in allegria, come  l’ex ministro Sacconi. Questo mentre milioni di giovani e ed anziani ( qualcuno ne scrive degli over 50 rimasti senza lavoro ?) patiscono la fame e l’incertezza sballottolati ovunque tra lavori precari e sottopagati, indotti a farsi la guerra “generazionale” dai soliti della casta e dai fedeli intellettuali che li servono.
Così, quando tra una decina d’anni l’Italia sarà invasa da pensionati a reddito “fame”, con una pensione abborracciata tra lavori in nero,  a progetto, a tempo determinato, e calcolata, tutta o quasi, sul contributivo,  come e dove staranno i vari estensori delle varie riforme, ministro Fornero inclusa ? Staranno benone, loro.
 E la signora ministro, già sin d’ora, potrà consolarsi delle lacrime versate chiudendo il Financial Time, allontanando con un brusco gesto la governante che le sta stirando le gonnelle e navigando in internet alla ricerca di un bel posto per la sua settimana bianca.
E quei poveri cristi, pensionati o lavoratori da poco più di mille euro al mese ? Beh, che ne sa lei, la sciura ministra, di cosa è campare con una cifra simile ….poi lei ci ha già pianto su due lacrime !!

mercoledì 16 novembre 2011

L'incontro con l'Orso

Progetto “Sapere del Profondo”
percorso di Neijia Kung Fu
Percorso di consapevolezza, crescita e potenza, attraverso le pratiche taoiste di Tai Chi Chuan e Chi Kung e le esperienze fisicoemotive della pratica corporea contemporanea

Sabato 12 Novembre




L’orso, animale indipendente, forte, solitario.
Antenato mitico degli Ainu, antica popolazione autoctona del Giappone, presso i quali l’orso della luna è una divinità di montagna, la cui festa cade nel mese di Dicembre.
In culture antiche e moderne, culture separate tra di loro temporalmente da secoli e secoli come, geograficamente, da migliaia di chilometri, l’orso  è simbolo di forza e coraggio: di virtù guerriera nel mondo celtico; di coraggio disumano e follia sanguinaria tra i “guerrieri belva” di Odino, i bersekir (“pelle d’orso”); di potere sacro nella divinità femminile Ardwinna; l’orso è una delle manifestazioni della dea Artemide, mentre nella simbologia cristiana, dopo alcune sporadiche e marginali comparse, entra a pieno titolo come madre amorevole che nutre i piccoli in quanto allegoria di una Chiesa che, col battesimo, nutre il cristiano.

Sono quindici i praticanti che hanno deciso di affrontare l'incontro con l'Orso. E allora, iniziamo. Iniziamo a prendere contatto con noi stessi, con l'ambiente, con le emozioni negli occhi e nel respiro.

L’orso, forte e libero, dotato di stabilità ed equilibrio, ha come polarità opposta l’individuo sottomesso, il cui atteggiamento principale è la negazione dei sentimenti, la paura di riconoscersi autonomo in quanto capace di dare e ricevere, è individuo compresso e dominato.
La negazione dei sentimenti è essenzialmente una negazione del bisogno. La manovra atta a riuscire in ciò consiste nel far sì che gli altri abbiano bisogno di lui, in modo da non dover manifestare il proprio bisogno.

Il dominio sugli altri può essere raggiunto in due modi:
·         la prepotenza e la sopraffazione
·         corrompere l’altro utilizzando un approccio seduttivo

Egli ha bisogno di qualcuno da tenere sotto controllo e da cui però, malgrado le apparenze, è anche dipendente.
In questa struttura c’è un conflitto fra indipendenza o autonomia e intimità, che esprime così: “Posso  esserti vicino se accetto che tu mi controlli o mi usi”. Ma non può accettarlo perché comporterebbe una resa totale del sentimento di sé. Solo avendo il controllo sull’altro può permettersi una certa intimità. Ovvero: “Puoi essermi vicino finché mi ritieni superiore”. L’elemento “disturbato” sta nell’inversione dei ruoli: “Puoi starmi vicino” anziché “ho bisogno di starti vicino”.

L’individuo Orso (legato all’Elemento Terra) scarica secondo il peso, la gravità, verso terra,  ma non se ne nutre, solo appoggia, né l’utilizza per uno slancio successivo. Mostrando con ciò scarsa consapevolezza e risicata autonomia di decisone riguardo ai propri valori, alle proprie radici. Alla parte materna ?

Il tronco è la parte centrale del corpo, in essa agiscono gli organi deputati all’attività amministrativa. Il tronco dell’orso, la sua schiena, simbolo di forza possente quanto di gioco nel suo sfregarsi contro gli alberi.  La schiena, aderendo alla curva dell’utero è, nella fase ultima della gravidanza, la zona immediatamente esposta al contato con l’ambiente esterno. Essa, una volta nati, determina la stazione eretta, impegnandosi nel confronto con la forza di gravità, ovvero sobbarcandosi “il peso esistenziale, il peso della vita” (S. Guerra Lisi & G. Stefani).

E noi uniamo le schiene e, dall’unione, affrontiamo poi il distacco, la separazione.
L’Individuo Orso ha mani generalmente incapaci di discriminazione del minimo: palpano, afferrano, stringono.
Pensando ad un soggetto Orso /Terra, le azioni più ovvie sembrano  quelle pesanti, dure, rigide: colpire, spezzare, pestare, scolpire. Ma il ‘maneggiare’, l’uomo che manipolando costruisce e trasforma, con ciò conquistando una sua autonoma, invita a coinvolgere il soggetto “Orso/Terra” in manipolazioni più attente, dotate di “motricità fine”.

Nel lavoro con le mani, occorre sperimentare la differenza del sentire sul dorso e sul palmo.
Il farlo ad occhi chiusi, ci evoca immagini di diversi sensi. Il farlo su un altro corpo, che è vita, emozioni, respiro, ci aiuta ad imparare a relazionarci: io, tu, nella diversità, ma anche noi, insieme.

Scopriamo sfioramenti delicati e manipolazioni vigorose, con – tatto.

In ultimo, la danza forte e selvaggia dell’orso. Il suo mostrare denti aguzzi e mandibola possente. Il suo bramire intenso e gutturale. Il suo incontrare / scontrarsi con altri orsi.

Qualcuno, forse, osa ed incontra il proprio limite, scopre il suo essere mortificato sul terreno dei sentimenti condivisi. Ma, paradosso “vitale”, paradosso di ogni efficace pratica fisicoemotiva, sta proprio nel malessere, nella lacerazione, l’embrione creatore e trasformativo.
Che ognuno faccia tesoro di quest’incontro. Non più sottomesso. Ma anima – le libero. Anche nell’accettare le sue fragilità, ma capace di condividerle.



martedì 8 novembre 2011

Wing Chun Boxing, il Seminario

Presso DAO, San Benedetto d. Tronto
29 e 30 Ottobre
 
Mi pare fosse Gaston Bachelard ad auspicare che Narciso passasse da “mi amo così come sono” a “sono così che mi amo”.
In questa piccola frase è racchiuso molto del “Seminario Wing Chun Boxing”.
·         Con l’apertura delle anche:  triangolo inguinale accogliente, aperto.
·         Con la postura aperta, che chiunque è capace, spontaneamente, di chiudersi in difesa sotto l’improvvisa minaccia di un assalto, ma solo un artista del combattere sa stare aperto, sa sostare ( so – stare, oh, oh, che bel gioco di parole !!) nel clima bollente, devastante, di uno scontro. Condizione, questa, indispensabile per non subire, per non reagire  quanto piuttosto per agire: prendere l’iniziativa e ribaltare la situazione.
·         Con la semplicità di un muoversi che già sappiamo fare; già tutti, di fatto, “maestri di Wing Chun”, ma di cui ci manca l’essere consapevoli.
Al saluto finale, il M° Valerio, come sempre ottimo “padrone di casa”, dice così: “Oggi non abbiamo fatto Wing Chun. Queste cose non le trovate sui siti, su youtube. Oggi abbiamo fatto fantascienza”.
A tavola, cucina prelibata, notevole, di papà Cicchi (cuoco di punta della regione Marche con eccellenti apparizioni televisive), Eleonora spende parole vive, emozionate ed emozionanti per chi l’ascolta, a descrivere il Seminario e quanto questo la tocchi nella vita quotidiana, nelle relazioni di tutti i giorni.
Questo, tutto questo, è il nostro Wing Chun Boxing. Semplicemente stupendo. Semplicemente … Wing Chun.




giovedì 27 ottobre 2011

Esperti ... impostori ?

Ma c’è qualcuno
che chiederebbe ad una Tizia, che da sempre porta i capelli tagliati a spazzola, consigli sull’uso dello shampoo ?
Ma c’è qualcuno
che porterebbe ad aggiustare la propria automobile da un meccanico d’auto privo di patente automobilistica e che né guida né possiede un’automobile ?
Ma c’è qualcuno
che studierebbe canto da un docente stonato e che non abbia mai cantato né in pubblico né in privato ?

Se chi mi sta leggendo ora, al pari di me, non facesse nulla di quanto sopra, interrompa pure questa lettura: gli sarebbe  del tutto inutile.
Se, invece, chi mi sta leggendo ora, si identificasse nell’ipotetico signore di cui sopra , allora lo invito a darmi un aiuto: ne ho bisogno.
Mi aiuti a capire perché dovrei ascoltare con attenzione e rispetto, poi magari aderendovi, le ipotesi di alzare l’età pensionabile che vengono da chi in pensione ha il diritto di andarvi dopo appena cinque anni di lavoro; di chi non si è mai, in vita sua, non dico per quarant’anni, ma nemmeno per dieci anni, alzato all’alba tutte le mattine e timbrato il cartellino in orario ( che se no sono censure e diffide fino al licenziamento) per poi lavorare “sotto padrone” per uno stipendio ai limiti del dignitoso.
Perché dovrei  ascoltare con attenzione e rispetto, poi magari aderendovi, le teorie e le proposte risolutive sulla crisi economica quando vengono da persone che mai ho visto, accanto a me, fare la fila in una finanziaria per ottenere un prestito con cui pagare il dentista; mai in una concessionaria d’automobili a mercanteggiare per acquistare, a rate, un’utilitaria; mai davanti ad una pizzeria a controllare i prezzi del menù per decidere se possa permettermelo; mai a confessare le proprie paure sull’incerto destino lavorativo dei figli, tra contratti a termine e lavori “in nero”, quando non sul proprio che già così è dura arrivare a fine mese.

Se questo “qualcuno” c’è, mi aiuti !! Altrimenti sono nel giusto a considerare i signori e le signore che ci dettano ricette e soluzioni, che si chiamino  Maurizio Sacconi o Matteo Renzi, Renato Brunetta o Francesco Giavazzi, Jacopo Morelli o Mariastella Gelmini,  degli autentici  impostori.

martedì 18 ottobre 2011

Arti Marziali Interne

O cosa ?
 
Io non possiedo altro che la mia morte, la mia esperienza della morte, per dire la mia vita, per esprimerla, per portarla avanti. E’ necessario che io crei della vita attraverso tutta questa morte. E il modo migliore per giungere a questo è la scrittura”. Così si esprimeva Jorge Semprun (1923 - 2011 ) scrittore e poeta sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti.
A noi, noi che siamo artisti del corpo, del combattimento, spetta sostituire “scrittura” con “Arti Marziali”.
Con ciò entrando nel campo “interno” (Neijia) delle pratiche marziali
Un campo, ohibò, sovente arato e seminato (infruttuosamente !!) da chi, pur usando il termine “interno”, ne sfregia e vilipende ( per come la vedo io)  il cuore, l’essenza. Tanto da etichettare come “interno” quel che “interno” non è affatto.
I praticanti fisicisti.
Quelli che muovono il corpo utilizzando  una meccanica che studia il corpo come fosse una macchina, per altro una macchina ottocentesca. Quelli delle “ripetute” e dei “carichi”. Eppure:
D: Per chi fa sport a livello agonistico, conosci sistemi diversi dalle tecniche convenzionali di allenamento per migliorare le prestazioni sportive?
R: Esistono molte possibilità. Le metodiche tradizionali normalmente trascurano o utilizzano solo casualmente alcuni principi basilari del funzionamento del corpo. La ripetizione meccanica di un gesto sportivo, come per esempio un tiro in porta, ha lo scopo di sviluppare un certo riflesso, in modo che il corpo lo 'impari' in profondità. Ma se conosci esattamente qual è il riflesso coinvolto, allora puoi lavorarci in modo ancor più diretto facendo eseguire al corpo, in modo attivo o passivo, il movimento che evoca quel riflesso nel modo più puro. Se nel tiro in porta è coinvolto un riflesso controlaterale, questo può essere perfezionato lavorando sul corpo secondo lo schema dei riflessi crociati che presiedono ai movimenti controlaterali (per intendersi, quelli che collegano il movimento di un braccio con la gamba del lato opposto), anche senza toccare la palla. Quando poi il giocatore riprova il tiro, troverà nel suo corpo una scioltezza e una coordinazione che prima non aveva.
Questo perché ogni individuo, anche quando ripete mille volte un movimento cercando di perfezionarlo, di fatto tende a riprodurre solo gli schemi che già possiede, con tutti i loro limiti. Riuscire a evocare un riflesso più sofisticato e più efficace con un lavoro sul corpo lento e profondo, al di fuori del contesto sportivo, significa permettergli poi di utilizzarlo nel contesto abituale in modo assai più efficiente.
( dall'intervista a J.Tolja della rivista svizzera per maestri di sport 'Macolin'  )
Una meccanica tanto ignorante da considerare il corpo  privo di memorie preconsce ed inconsce, privo di emozioni. Entrare nella vita è, di fatto, “prendere corpo”, dunque qualsivoglia aspetto materiale ( fisiologico, comportamentale, sonoro, ecc.) di un essere vivente è una traccia che riporta ad un vissuto psichico e viceversa. Basti pensare a quali memorie conserva la nostra pelle; memorie addirittura preconsce, che fu la pelle la prima condizione del prendere corpo, del confine tra ciò che c’era “dentro” e ciò che c’era “fuori”: senza un confine non avremmo la forma che “lascia la propria orma quale segno confine di sé” (S. Guerra Lisi). Eppure ogni postura non è solo atteggiamento fisico nello spazio, ma anche espressione emotiva che tramite tale atteggiamento si manifesta.
Un muovere il corpo, questo “fisicista” che si affida al sistema simpatico ( osteomuscolare), dunque al superficiale, al “ginnico”, invece che al sistema parasimpatico (organi interni e viscere), dunque ad un lavoro profondo, questo sì “interno”.
Gli intellettuali.
Quelli che disquisiscono a partire dai libri, dagli scritti dei maestri del secolo scorso ( in genere nemmeno sapendo leggere i caratteri “cinesi”, ma affidandosi alle traduzioni in lingua inglese, quando non alle traduzioni in italiano di traduzioni in lingua inglese di testi scritti in … cinese). Quelli che dissertano sulle differenze  tra … e tra …. Quelli che pretendono di conoscere una fare pratico attraverso la comprensione dei testi ed attraverso questa comprensione libresca giudicano la qualità di una pratica. Quelli che stanno a vedere se il dito mignolo della mano destra è posizionato come si legge ( loro leggono nella traduzione) nell’antico testo del Sifu Cian Fru Saglia. Quelli che di “interno”, ovvero della ridda di emozioni che agitano l’individuo, dell’individuo come organismo omeostatico, dove l’organo fisico rinvia a realtà psicofisiologiche, fisicoemotive, le più disparate, nulla sanno e per nulla si interessano. Vuoti contenitori di gesti inconsapevoli, attori di un corpo morto, del tutto dimentichi che il corpo è, invece, realtà semiotica che ci permette di leggere comportamenti, espressioni, emozioni (emos-azioni) dell’umano.
 
Che c’è d’ interno in tutto ciò ?
Che c’è, nelle pratiche suddette,  di scavo emozionale, di processo di individuazione, di salutistico, inteso come individuo creativo, che si autorealizza, fiducioso delle proprie potenzialità a partire dalla scoperta e dal relazionarsi con la propria Ombra, con le proprie insoddisfazioni ed i propri malesseri, come terreno su  cui crescere e trasformarsi?
Nulla. Nulla di “interno”, inteso, appunto, come Neijia Kung Fu = “lavoro duro, faticoso dentro”. A scoprire, attraverso l’agire corporeo, l’estraneità che abita dentro ognuno di noi.
Nulla del “morire”, inteso nelle sue diverse sfaccettature di simulazioni del combattere contro uno o più avversari in uno stato di regressione al primitivo, all’istintuale, all’animale; di un morire intellettuale per dare spazio e voce alle pulsioni (eros e thanatos); di un morire come dolorosa incapacità di trovare la propria autonoma risposta al vivere,  al “Perché vivo ?” a cui il praticante sano, risponde, attraverso il suo fare, affrontando le domande “Chi sono ?”, “Cosa voglio dal mio esistere?”.
Già, problemi, domande, troppo profondi, troppo “interni”, per i praticanti fisicisti e per quelli intellettuali, due caratteristiche, a volte, unite nella stessa persona, che si domanda per quante ore debba stare fermo, immobile nella posizione dell’albero, quante volte avrà da ripetere la forma 108, lui che pratica uno stile “interno”, per progredire nell’arte ?
Invece di chiedersi chi è, ora, e come sta vivendo, ora.
Domande  a cui, in un momento di giocosa ed infantile stupidità ( perdonatemi) mi vien da rispondere con una citazione tratta da un film famoso:
La vita è un temporale, prendersela in culo è un lampo”.
E, permettetemi, dietro all’aspetto un po’ naif di questa mia, a ben leggere, ci sta una risposta decisiva per chi attraversa il suo tempo, spende le sue ore di vita che più non torneranno, fermo in posizioni statiche o ripetendo modelli memorizzati “aspettando Godot”, aspettando la salute, la saggezza interiore e, magari, pure la capacità di “menare le mani” sì, ma …. In modo “interno” !!!!!!!!!!!!


Post illustrato con fotografie scattate durante la festa di via Cadore, in cui siamo stati presenti con un banchetto espositivo ed una lezione aperta di Tai Chi Chuan



martedì 11 ottobre 2011

Residenziale Kenshindo

Ottobre 2011: residenziale Kenshindo ad Acquasanta (AP)

 

Nove spadaccini, nove lame, forme d’acciaio sibilanti. Accanto, un monastero, un piccolo albergo ed il silenzio delle colline.



Il gioco del Gekken, l’improvviso aprirsi al confronto. “Tanto è un gioco” ma …senti che il morbido ken  mousse, ridicolo mattarello gommoso, è te che affondi nel corpo di un altro, te che sei sbattuto, tagliato, trafitto dal tuo avversario.
Poi puoi  essere goffo e lasso  oppure preciso ed essenziale nelle movenze; ridacchiare grossolanamente con il compagno come ad una gita aziendale oppure affacciarti deciso all’arte dello schermare; stringere e stropicciare il giocattolo che ti ballonzola davanti oppure farne il tuo artiglio letale, unico che ti permetta di sopravvivere.
Tutto, quì, ti è concesso.

Al pomeriggio, alla sera, Kinorenma ( forgiare il ki): Attraverso l’espansione dei sensi costruire l’unione io-acciaio . Il corpo, corpo fisicoemotivo, si sviluppa con le proposte che lo spadaccino  gli mostra attraverso la nudità essenziale dell’acciaio
Esprimi te stesso,  trova la via diretta, coraggiosa, per essere acciaio vivente.
Dilata i tuoi confini. Annusa … nel ventre materno l’iniziazione prenatale nel liquido amniotico crea, unitamente al tatto, una selezione di umori in sintonia con le variazioni emotive … chimica delle emozioni … non ci sarà odore che non rimanderà al primo apprendimento olfattivo precoce, rapido ed irreversibile, mai disgiunto dall’affettività … intimità nell’olfatto.
La lingua, che metaforicamente è assaporare ed assimilare la realtà realizzando  le idee …e la tua idea di acciaio, di acciaio tagliente, qual è ?
Regressione, qualcuno lo chiama. Come regredire è ispirarsi alla lotta per la sopravvivenza, al duellare per togliere una vita e salvare la propria. Combattere, per ri – conoscersi e formarsi. Di nuovo.
 
Attraverso la consapevolezza dei propri limiti individuarli oltrepassarli, anche se, a volte, il muro dell’orgoglio è un limite che pare invalicabile, è un insulto isterico a te, prima ancora che al Sensei;  oppure è la pena del proprio corpo, della propria struttura malamente terrestre a fermare il cammino.                 
Ingaggiare. Impegnare.
Il Tameshigiri, a tagliare di netto una vita o a sbatterci goffamente contro: acciaio inerte, te inerte, te che non osi, non ti getti.
Eppure, mai tirarsi indietro ad una proposta, ad una occasione di crescita.
Sempre flessibili, sempre aperti ad accogliere, ad aprire la pancia delle emozioni per ascoltare le offerte che ti potrebbero sfuggire, per rendere il corpo fisicoemotivo, te adulto guerriero, duttile affinché tu abbia la possibilità di apprendere, di formarsi.
E abbracciare. Insieme

Alla fine del residenziale, Celso mi dice che, forse, questa esperienza, questo praticare   Kenshindo, è stato più duro, più perturbante, del residenziale “Sapere del Profondo”.

Già.










domenica 2 ottobre 2011

Da vicino, nessuno è normale


                                                                     Accompagno mio figlio Lupo ad una festa di compleanno.



Saranno le parole dell’animatrice, mentre lo trucca da belva feroce, che gli donano una valanga di complimenti sulla sua capacità di stare al gioco, di stupirsi piacevolmente per ogni occasione di regressione nel mondo animale, nel mondo delle emozioni.
Saranno i commenti tra i genitori sui “tagli” alla scuola,quelli imposti dal Ministro che sentenzia di meritocrazia lei che, dal nord, è scesa nel profondo (e più accomodante) sud per dare l’esame di stato; quella che ancora, credo, sta cercando dove sia il tunnel di 760 km…., e che lasciano i bimbi più in difficoltà, sino a quelli certificati “disabili”, in balia di se stessi. Ma la scuola serve solo a dare nozioni ( che invecchiano così rapidamente nel nostro terzo millennio)  ed ha abdicato a qualsivoglia ambizione educativa ?
Saranno quelle parole, quelle conversazioni che, proiettate sugli adulti, mi fanno pensare alla frase “Da vicino, nessuno è normale”.
Questa frase, che è anche presentazione di una ormai pluriannuale rassegna di spettacoli all’interno dell’ospedale psichiatrico Pini, a Milano, si presta, per me, a diverse interpretazioni.
Una di queste, mi riporta all’espressione taoista “tornare indietro è andare più avanti” o, con una lettura strategico politica, alla massima leninista “due passi indietro, uno avanti”.
La lettura che ne voglio dare oggi, in questo mio post, mi conduce all’evidenza dell’essere umano come creatura in grado di adattarsi ed interagire proficuamente con l’ambiente. A questa sua capacità, viene generalmente  attribuito il suo evolversi nei secoli sopra le altre specie animali e a dispetto dei giganteschi cambiamenti epocali.
Tale caratteristica  lo rende in grado, in presenza di forti traumi che ne frenino lo sviluppo, di rifugiarsi in regressive fasi primarie, in attesa di “tempi migliori”. Ovvero, la regressione come fase di stallo, come area di possibile esplorazione e ri – scoperta, all’interno del proprio naturale processo evolutivo, delle forze necessarie per andare oltre traumi ed eventi tragici.
Praticare Arti Marziali, nel modo come noi facciamo allo Z.N.K.R., (1) è forma terapeutica che, nell’affidarsi all’inconscio, sa che nell’inconscio degli individui esiste la capacità di far fronte ai problemi che essi hanno.
 Praticare Arti Marziali è sia prevenzione nei confronti di eventuali blocchi traumatici, che cura degli stessi: Permettersi, attraverso la pratica del configgere fisicoemotivo, attraverso il riconoscimento delle proprie emozioni ( emos – azioni) di mobilizzarsi, di sostenere relazioni apertamente conflittuali, di sentirsi forti, energici e vigorosi comporta anche la capacità di spostarsi dalla presunta sicurezza che dà l’inazione, dal rifugio dell'inazione stessa, verso il rischio sconosciuto dell'azione. L’ambiente  protetto e le simulazioni proprie di una pratica del combattimento insieme  all’esperienza e creatività del Sensei ( “colui che è nato prima”) o del Sifu (“il padre”) nel proporre e coinvolgere l’allievo in  pratiche esperienziali con livelli di rischio che aumentino gradualmente, offrono la possibilità di ri-appropirasi della capacità di agire nel mondo, di relazionarsi sanamente con l’ambiente.
Il sapere antico, Tradizionale, riconosceva l’azione pedagogico – terapeutica di ogni ripercorso corporeo sensoriale che riprendesse le mai del tutto sopite memorie del corpo.
Diversi autori, da Bettelheim a Guerra Lisi, ci mostrano come la fase del regresso, dell’oscuro, quale stato necessario per poi approdare ad un nuovo cammino, sia metaforicamente presente in miti ( Orfeo, che lascia una parte di sé, ovvero viene smembrato), in giochi popolari (il gioco dell’oca, in cui tornare indietro è necessario per raggiungere precisamente la meta), in fiabe (la Bella Addormentata, in cui occorre un gesto carico di sentimento ed emozione, il bacio, perché la vita riprenda).
Per dirla con J. Zinker: "L'energia è bloccata più frequentemente dalla paura dell'eccitazione o delle emozioni forti (…) Molti individui sentono che se si consentono di arrabbiarsi, annienteranno il loro ambiente; se entrano in contato con la sessualità, saranno maniacali e perversi; se esprimono amore, opprimeranno e soffocheranno l'altra persona; se si concederanno di vantarsi, si renderanno ridicoli e saranno rifiutati".
Il guerriero (“colui che sa stare nei conflitti”) è individuo integro, che nel riconoscere le proprie debolezze, accetta il rischio di contattare la propria parte istintuale, il vissuto sinestetico – sensoriale, e di essi si fa forte per creare il proprio autonomo destino.
Riappropriarsi delle personali memorie corporee; leggere nel proprio corpo e nelle sue espressioni e reazioni tonico – muscolari la “mappa” di quel che l’individuo è: storia passata ed aspettative del futuro; mettere mano a pulsioni ed emozioni; questo è costruire consapevolmente la propria storia individuale, è affacciarsi al vivere relazioni sane consapevolmente agite. Questo è accettare la regressione del combattere, dell’istinto di sopravvivenza, del corpo a corpo, come fase necessaria e formativa perche l’individuo assuma “capacità di nascere, distaccarsi e riunirsi senza paura in ogni movimento della sua vita” (S. Guerra Lisi).
Questo è come io, come noi, allo Z.N.K.R., proponiamo le Arti Marziali, per individui che decidano di uscire dal “copione” (2) e prendere la propria vita nelle mani; per individui che soffrano di momenti di stallo, di blocco energetico ed emotivo; per chi, anche, sia sprofondato nel baratro del patologico. Perché… “da vicino, nessuno è normale”.



(1)   Ho spiegato più volte quel che differenzia il nostro praticare profondo dalle pratiche sportive o di “stile” o di “facciata” che impazzano nel mondo delle Arti Marziali. Qui mi limito ad aggiungere che ogni scelta non fa altro che mostrare le caratteristiche individuali di ogni praticante: le sue debolezze, le sue ansie, le sue fughe dalla presa in carico di quel che è ora, le “maschere” ed i ruoli che adotta per vivere. 
L’ossessione agonistica; la ricerca macho muscolare di bicipiti possenti e pratiche ginnico – autolesionistiche; il vuoto e lezioso esercizio di stile lontano dal fuoco bruciante delle pulsioni; gli scazzotta menti caotici tesi a sfogarsi; le maniacali ripetizioni di gesti che, di per sé, dovrebbero portare alla saggezza interiore ( e perché mai ?) e quant’altro di vacuo o emotivamente catafratto o imbecille ad ognuno è dato trovare girando per palestre, Dojo, Kwoon e simili.
Da noi, per contro, paure e debolezze, fughe, “maschere” e ruoli, sono invece strumenti, per chi lo voglia, perché si scopra nudo e da quella sua nudità voglia ripartire per divenire adulto auto diretto.


(2) Pagine esplicative sul “copione” e la sua forza distruttiva, il suo essere legame perverso e soffocante, si trovano in “Fare l’amore” ( no, i benpensanti ed inibiti che mi stessero leggendo si tranquillizzino: non è un testo di sesso !!) e in “A che gioco giochiamo”, di Eric Berne, il “padre” dell’Analisi Transazionale.









venerdì 23 settembre 2011

Cambia il sindaco, ma la prepotenza della moda resta la stessa

Moda prepotente e sindaco obbediente


Giovedì 22, via Cadore, via D’Orsenigo, tutte le vie adiacenti, strozzate dal traffico. Dieci, trenta, cinquanta auto blu di traverso sul marciapiede, sulle strisce pedonali, in doppia fila. I vigili, invece di allontanare i conducenti con le loro auto, si agitavano nel vano tentativo di normalizzare un traffico convulso di auto e scooter che tentavano di sfilare senza danno tra le “blu”, mentre i pedoni “slalomavano”  cercando un pertugio in cui infilarsi per potere camminare o attraversare le strade.

Va bene l’afflusso abnorme per la sfilata di moda in casa Prada, ma sarebbe bastato invitare i conducenti delle auto blu, una volta scesi i loro clienti, ad allontanarsi e cercare parcheggio regolare distribuendosi nelle vie e piazze intorno.

Invece no, come tutti gli anni e sotto tutti  i sindaci, Albertini, Moratti ed ora Pisapia, i conducenti se la ridevano allegramente, chiacchierando, dopo aver lasciato l’auto nelle posizioni a loro più comode, accanto alla sede della sfilata.

Sarebbe così difficile ( poco snob ?), per il cliente, a fine iniziativa, telefonare al proprio autista perché  si avvicini alla sede ?

No, ma … questa è la prepotenza della moda e dei suoi sostenitori. A cui non sfugge il neo sindaco Pisapia.

E pensare che l’ho votato credendo che avrebbe lavorato per una Milano in cui i diritti fossero uguali per tutti.

Così, come da anni a questa parte, la prepotenza e la maleducazione della moda, uno o più giorni all’anno, fa sfoggio di sé, tra vigili inermi, un sindaco, chiunque esso sia, obbediente e noi cittadini costretti a subire.

martedì 13 settembre 2011

Svelato il Mistero

                                                           dei Seminari
                                                          “Sapere del Profondo” (1)
 No, nessun mistero da svelare, solo la voglia di alcuni di percorrere la strada del “conosci te stesso”, in cui dare ascolto alle sollecitazioni che provengono dal “profondo”.
Una dolorosa esigenza che, a volte se non spesso, apre fratture con gli altri che ci sono vicini e stentano a riconoscerci, ad accettare ogni nostra trasformazione.
Divisi noi stessi tra ferite emozionali e la  continua necessità di dare un senso a quel che facciamo, costruiamo il nostro personale ed inimitabile destino, ci prendiamo cura della nostra anima perché rifiutiamo che siano altri, chiunque altro, a farlo per noi.
Nel percorso, scopriamo che il nostro dolore, ogni nostro dolore, è momento per individuare  la nostra diversità: “Si tratta di qualcosa che si avvicina ad una auto creazione” (A. Carotenuto. “La mia vita per l’inconscio”).
Un percorso per uomini e donne coraggiosi.
    
       

Così, dopo la breve festa “ a sorpresa” nel Dojo DAO di San Benedetto del Tronto, dedicata ai 53 anni del M° Valerio, allievo ed amico di lunga data, una parte dei festanti si trasforma in ricercatori di sé, del senso del proprio vivere e parte.
Parte, Venerdì 9 Settembre, alla volta dell’Agriturismo “Il Fienile”, incastonato tra le colline dell’entroterra marchigiano.
Due giorni di full immersion, io e Valerio, a condividere la conduzione del gruppo: alcune ore lavoriamo in un’accogliente sala sottotetto, altre nell’immenso verde che lambisce ed abbraccia la casa.
Un gruppo in cui, milanesi dello Z.N.K.R. e sanbenedettesi del DAO, si ritrovano congiunti a lavorare Neijia Kung Fu.
L’animale Tigre, una rantolante fatica dalla una della notte tra Venerdì e Sabato, alle 07,30 del mattino.
A scoprire il carattere “orale”, denotato da uno scarso senso di indipendenza e scarsa aggressività predatoria che sostituisce con scatti collerici, con aggressività passiva (modi di relazionarsi che facciano sentire in colpa l’altro). A rivivere le parole non dette, le situazioni e le violenze subite supinamente e quelle che ci hanno forzatamente fatto ingoiare. Ad aprire la bocca, che è il primo mezzo del neonato che cerchi la madre e che è il primo strumento di conoscenza dell’ambiente esplorato attraverso la bocca stessa; che è organo espressivo fondamentale del linguaggio corporeo e mostra lo stato emotivo del’individuo.
Che è metallo (jin), si realizza nel polmone (fei) come organo; nel grosso intestino (da chang) come viscere.
Le ore del mattino a danzare i chakra e gli organi interni, a ritrovarsi cuccioli di predatore, cuccioli di tigre dai denti affilati e curiosi, dalla presa mandibolare decisa.
L’intenso pomeriggio a formare le coppie. Ovvero le relazioni, l’attaccamento, il configgere.
Le relazioni, che sono sempre connotate emotivamente. Il riconoscere, nel proprio percorso di vita, che la natura delle nostre aspettative gioca un ruolo decisivo nel determinare i tipi di persone che avvicineremo e come esse si comporteranno con noi.
Il confliggere come risorsa, come occasione per apprendere e formarsi adulti quanto permettere al gruppo una maggiore capacità integrativa.
Confliggere è sperimentarsi, è confrontarsi sui limiti, è tenersi lontano dalle generalizzazioni imparando a contestualizzare, è sentire il proprio senso di appartenenza al gruppo. E’ saper ascoltare, è non confondere il problema con l’individuo. E’ saper accettare le osservazioni le critiche altrui.
E’ Tigre che sa affermarsi apertamente. E’ Serpente, la cui polarità opposta, il carattere schizoide, è ipersensibile, tende a rifuggire le relazioni intime, usa a sproposito la forza di volontà per motivare le azioni sottraendo loro la qualità della sincerità, dell’emozionarsi. E’ Gru, la cui polarità opposta è iper controllo, è trattenere, è vedere  nella passività sempre e comunque (patologicamente) una vulnerabilità.
Lavoro tanto intenso e profondo che l’orologio ci coglie alle 20,30 e … finiamo lì: chi  vorrà comunque lavorare fisicamente in coppia, lo farà dopo cena, liberamente e come meglio vuole, eventualmente (su richiesta) assistito dallo scrivente.
Alle 06,30 della Domenica, siamo ancora riuniti per emettere suoni ( ) e chiudere con il contatto, che è con – tatto: “Il lavoro in Gestalt si ancora generalmente sul sentito corporale ‘qui ed ora’, ma quest’ultimo evoca spesso delle scene passate che risalgono in superficie e sono quindi rivissute nel presente” (S. Ginger.  “La terapia del con – tatto emotivo”)

A tavola, lo sciorinarsi spontaneo di un fluire di emozioni, di dolori, di gioia per i risultati raggiunti e, laddove raggiunti non lo fossero, la consapevolezza della propria “cantina”, della propria parte Ombra con cui fare i conti.
E gli abbracci finali, di commiato, che le strade, almeno quelle del vivere di tutti i giorni, inevitabilmente si separano.
Satollo di vino e cibo ottimi (“Il Fienile” e l’ospitalità della proprietaria sono indescrivibili) salgo sul treno che mi allontana fisicamente da quei luoghi, da quelle persone, da quell’esperieenza. Ma, emotivamente, sono ancora in me.
Alla prossima !!
 
(1) Sapere del Profondo” è percorso di consapevolezza, crescita e potenza, attraverso le pratiche taoiste di Tai Chi Chuan e Chi Kung e le esperienze fisico emotive della pratica corporea contemporanea.

sabato 3 settembre 2011

Perché scegliere me, perché scegliere Z.N.K.R.


Provare da noi

         Sul prossimo numero di SHIRO ( disponibile in cartaceo già nei prossimi giorni e, a metà Settembre, pure in versione “informatica” qui sul blog – un grazie enorme ad Angelica e a Gilda ! -) troverete un paio di pagine in cui, in forma ben argomentata, scrivo di noi, del nostro modo di praticare. Scrivo citando come esempio il nostro “riscaldamento” e le sue varie fasi, così diverso dal perché e dal come delle altre Scuole, palestre & co. di Arti Marziali.
Scrivo, tra l’altro, con l’intento di catturare l’attenzione nei nuovi lettori, ovvero chi si presenterà alla porta del Dojo per chiedere informazioni, perché gradiscano provare, fare qualche sera di “viaggio marziale” insieme a noi. Poi, decideranno se continuare il percorso insieme o tentare altre strade.
Da giorni, però, una vocina insistente, dentro di me, mi propone un modo più diretto, più “brutale”, meno diplomatico e meno profondamente argomentato per mostrare chi e come siamo, per mostrare il senso di quel e come pratichiamo.
E allora, chiedendo perdono per la mia franchezza…

A.    Cerchi di vincere una coppa ? Vuoi fare dello sport ?    
Io, noi, non facciamo per te.  
Lo sport non mi interessa. La pratica ginnicosportiva, soprattutto agonistica, la trovo noiosa, deleteria per la struttura fisica dell’individuo e deludente /deleteria / ammorbante per l’individuo unità psicofisica. (1)
Insomma, non propongo attività sportiva e, in ogni dove, troverai decine di insegnanti che la amano, la insegnano e, nel loro campo, sono ben meglio di me. (1A)

B.     Ti interessa imparare uno stile ? Ti interessa imparare un’Arte Marziale ?
Io, noi, non facciamo per te.
Non esiste (e posso dimostrarlo) un’Arte o una stile “tradizionale”, se per esso si intende immutato nel tempo e negli insegnamenti.
Mi fa sorridere immagine un milanese o un napoletano, impiegato, operaio, studente, fidanzato con Clara o Assunta o Samantah (!!!), che riprende con la telecamerina Sony o Samsung il figlio Nando o Tommaso o Nicolò sguazzare nel mare di Rimini o della Sardegna, che addenta di gusto spaghetti, costata alla fiorentina o cozze, che guida una FIAT o una Volvo, che timbra il cartellino in azienda, guarda in TV il telegiornale o X Factor,  si veste alla Decathlon o alla Oviesse, ecc ( andate a vedere ,se non l’avete visto, quel capolavoro che è “Un americano a Roma” con Alberto Sordi ) tutto convinto di essere un samurai, un “guerriero”, perché va in palestra due o tre sere alla settimana a ripetere gesti, ad “imparare” questa o quella Arte Marziale.
Non è imitando, copiando, addestrando un “corpo macchina” e insieme filosofeggiando intellettualmente che si crea quella composizione di gesti e movenze atti a svelare cosa si muove interiormente, a creare nuovi significati. Si resta nell’apparire, mai nell’essere. (2)


Ce ne qu'un debut ...

C.     Sei preoccupato di subire un’aggressione ? Vuoi imparare a difenderti ?
     Io, noi, non facciamo per te.
Perché qui allo Z.N.K.R., da subito, capisci che questa è una tua paura. Paura sulla quale io, a differenza di simil marines, di istruttori (veri o presunti…) dell’esercito, di profeti del Krav Maga o del Systema o di quant’altro inventato ad hoc ( ah, il business !!), non intendo lucrare né approfittare.
Fino ad oggi, quante volte sei stato aggredito ? (aggredito realmente, brutalmente, a scopo distruttivo, non scrivo di kazzeggio giovanil-superomistico !) (3)

Se invece, ti interessasse crescere, capire chi sei veramente, divenire individuo adulto autodiretto, imparare a stare nei disordini e nella violenza dei conflitti ( tutti i conflitti, quelli relazionali quotidiani come quelli da “strada”), tenere alta la testa, costruire una tua personale visione delle cose e saperla confrontare apertamente con gli altri, vivere coraggiosamente ogni momento presente, allora qui allo Z.N.K.R., tra botte, sudore, fatica del corpo a corpo, emozioni struggenti buttate nella mischia, poi riuscirci.
Qui sei nel posto giusto, con le persone giuste.

(1)   Giorni or sono, mi è stato chiesto un parere su un video dove alcuni praticanti, indossando protezioni varie, si scambiavano energiche “ mazzate” di bastone in rattan. Video intervallato da foto machiste di un paio di energumeni ripresi in pose truculente ed espressioni da duro del cinema.
In sintonia con il clima “diretto” ma scherzoso di questo mio scritto, commento così:
A vent’anni ( di anagrafe e di testa) questo e quant’altro ci sta, eccome. Sbronzarsi a rischio pronto soccorso per un amore perduto, gareggiare in moto sull’autostrada a 180, “prendere a pugni un uomo solo perché è stato un po’ scortese sapendo che quel che conta non sono le offese” come cantava il poeta, ed altro ancora.
A quaranta di anagrafe, magari pure tenendo famiglia, farlo, agognarlo, invidiare chi lo fa mi induce a dubitare della corrispondenza tra età anagrafica ed età “di crescita” ( a meno che non lo si faccia di professione, per “la pagnotta”, s’intende). Mi fa pensare a qualche mancanza nel proprio percorso di adulto, mancanza di riti che segnino il passaggio all’adultità, come di un’adolescenza / gioventù spesa poco, spesa “per benino”.
Guardo il video e penso: Dove sono i “membri maschili” in erezione ? Quando c’è la parte a chi ce l’ha più grosso ? E la gara a chi piscia più lontano ? Tutto OK, ovviamente, se e quando lo fanno  ventenni, trentenni, col testosterone giustamente a mille. Nulla da eccepire.
E penso pure a quel saggio del conte Uguccione, che calcio o kali è lo stesso ….ma, è pur vero, io venti, trenta, quarant’ anni, non li ho più da un pezzo.

(1A) d- “Che cosa le ha dato il Judo in termini di autostima e sicurezza ?”
r- “Mi ha educata, mi ha insegnato il rispetto verso gli altri, mi ha insegnato ad aspettare il mio turno per agire. Molto dipende dal carattere, io sono riservata e un po’ insicura nella vita ma sul tatami trovo la determinazione necessaria”.
Praticare uno sport agonistico ad alto livello, dunque ore ed ore ogni giorno, e non essere in grado di trasferirne i pregi al tuo carattere, al tuo vivere quotidiano ? Uno che lo fa a fare ? E c’è da crederle, trattandosi di Giulia Quintavalle, oro a Pechino e testimonial  di “Difesa in rosa”, ovvero il Judo come difesa personale per le donne (non c’è limite all’ignoranza o impudenza che sia !) e di una intervista fatta ai giorni nostri (Famiglia Cristiana, 4 Settembre 2011)

(2)   Ottimo il forum “Forumartimarziali.com”, sezione “Armi Bianche” per trovare un folto popolo di “americani”, pardòn, “giapponesi a Roma”. Ma anche in altre sezioni, non si scherza.
Poi, se Tizio intende collezionare gesti e forme, reificare movenze, collezionare reperti museali, ben venga. Ma ciò, di per sé, non significa nulla in termini di simboli. Nulla in termini di agire che si relaziona all’esperienza interiore, ad intrecciare corpo, immaginazione ed emozioni.  Nulla in termini di posture ed andamento, ovvero modo di portare la propria storia personale intessuta di sentimenti in relazione con il fare simbolico delle Arti Marziali.

(3)   Personalmente, ricordo il combattere, l’aggredire ed essere aggredito, come un folle turbinio di paura e incontrollata pulsione a spaccare, infilzare, uccidere. Ricordi che associo ad aggettivi come sporco, scuro, schifoso, maleodorante e, purtroppo, a tratti inebriante. Sono passati alcuni decenni dai miei anni violenti, ma il ricordo “emotivo” mi è ancora accanto. E sono pure convinto, ahimè (ahivoi) che per imparare a difendersi, bisogna saper attaccare, aggredire, sentire dentro la pelle il malsano odore del prevaricare, la malsana gioia del sottomere con la forza. I miei allievi che mi hanno fatto da assistenti ai corsi di DP al femminile, credo avrebbero qualcosa da confessare …..
Chi crede al combattimento come una roba “pulita”, chi crede ciecamente ai corsi ed ai professori della DP, chi crede alle tecniche di DP, chi  pompa il fisico perché così saprà difendersi, dia una bella lettura a “On Combat” di D. Grossman.
“Napoleone diceva che in guerra ‘il morale sta al fisico come 3 a 1’” (ibidem).




Strapotere fisico con i kettlebel