domenica 2 ottobre 2011

Da vicino, nessuno è normale


                                                                     Accompagno mio figlio Lupo ad una festa di compleanno.



Saranno le parole dell’animatrice, mentre lo trucca da belva feroce, che gli donano una valanga di complimenti sulla sua capacità di stare al gioco, di stupirsi piacevolmente per ogni occasione di regressione nel mondo animale, nel mondo delle emozioni.
Saranno i commenti tra i genitori sui “tagli” alla scuola,quelli imposti dal Ministro che sentenzia di meritocrazia lei che, dal nord, è scesa nel profondo (e più accomodante) sud per dare l’esame di stato; quella che ancora, credo, sta cercando dove sia il tunnel di 760 km…., e che lasciano i bimbi più in difficoltà, sino a quelli certificati “disabili”, in balia di se stessi. Ma la scuola serve solo a dare nozioni ( che invecchiano così rapidamente nel nostro terzo millennio)  ed ha abdicato a qualsivoglia ambizione educativa ?
Saranno quelle parole, quelle conversazioni che, proiettate sugli adulti, mi fanno pensare alla frase “Da vicino, nessuno è normale”.
Questa frase, che è anche presentazione di una ormai pluriannuale rassegna di spettacoli all’interno dell’ospedale psichiatrico Pini, a Milano, si presta, per me, a diverse interpretazioni.
Una di queste, mi riporta all’espressione taoista “tornare indietro è andare più avanti” o, con una lettura strategico politica, alla massima leninista “due passi indietro, uno avanti”.
La lettura che ne voglio dare oggi, in questo mio post, mi conduce all’evidenza dell’essere umano come creatura in grado di adattarsi ed interagire proficuamente con l’ambiente. A questa sua capacità, viene generalmente  attribuito il suo evolversi nei secoli sopra le altre specie animali e a dispetto dei giganteschi cambiamenti epocali.
Tale caratteristica  lo rende in grado, in presenza di forti traumi che ne frenino lo sviluppo, di rifugiarsi in regressive fasi primarie, in attesa di “tempi migliori”. Ovvero, la regressione come fase di stallo, come area di possibile esplorazione e ri – scoperta, all’interno del proprio naturale processo evolutivo, delle forze necessarie per andare oltre traumi ed eventi tragici.
Praticare Arti Marziali, nel modo come noi facciamo allo Z.N.K.R., (1) è forma terapeutica che, nell’affidarsi all’inconscio, sa che nell’inconscio degli individui esiste la capacità di far fronte ai problemi che essi hanno.
 Praticare Arti Marziali è sia prevenzione nei confronti di eventuali blocchi traumatici, che cura degli stessi: Permettersi, attraverso la pratica del configgere fisicoemotivo, attraverso il riconoscimento delle proprie emozioni ( emos – azioni) di mobilizzarsi, di sostenere relazioni apertamente conflittuali, di sentirsi forti, energici e vigorosi comporta anche la capacità di spostarsi dalla presunta sicurezza che dà l’inazione, dal rifugio dell'inazione stessa, verso il rischio sconosciuto dell'azione. L’ambiente  protetto e le simulazioni proprie di una pratica del combattimento insieme  all’esperienza e creatività del Sensei ( “colui che è nato prima”) o del Sifu (“il padre”) nel proporre e coinvolgere l’allievo in  pratiche esperienziali con livelli di rischio che aumentino gradualmente, offrono la possibilità di ri-appropirasi della capacità di agire nel mondo, di relazionarsi sanamente con l’ambiente.
Il sapere antico, Tradizionale, riconosceva l’azione pedagogico – terapeutica di ogni ripercorso corporeo sensoriale che riprendesse le mai del tutto sopite memorie del corpo.
Diversi autori, da Bettelheim a Guerra Lisi, ci mostrano come la fase del regresso, dell’oscuro, quale stato necessario per poi approdare ad un nuovo cammino, sia metaforicamente presente in miti ( Orfeo, che lascia una parte di sé, ovvero viene smembrato), in giochi popolari (il gioco dell’oca, in cui tornare indietro è necessario per raggiungere precisamente la meta), in fiabe (la Bella Addormentata, in cui occorre un gesto carico di sentimento ed emozione, il bacio, perché la vita riprenda).
Per dirla con J. Zinker: "L'energia è bloccata più frequentemente dalla paura dell'eccitazione o delle emozioni forti (…) Molti individui sentono che se si consentono di arrabbiarsi, annienteranno il loro ambiente; se entrano in contato con la sessualità, saranno maniacali e perversi; se esprimono amore, opprimeranno e soffocheranno l'altra persona; se si concederanno di vantarsi, si renderanno ridicoli e saranno rifiutati".
Il guerriero (“colui che sa stare nei conflitti”) è individuo integro, che nel riconoscere le proprie debolezze, accetta il rischio di contattare la propria parte istintuale, il vissuto sinestetico – sensoriale, e di essi si fa forte per creare il proprio autonomo destino.
Riappropriarsi delle personali memorie corporee; leggere nel proprio corpo e nelle sue espressioni e reazioni tonico – muscolari la “mappa” di quel che l’individuo è: storia passata ed aspettative del futuro; mettere mano a pulsioni ed emozioni; questo è costruire consapevolmente la propria storia individuale, è affacciarsi al vivere relazioni sane consapevolmente agite. Questo è accettare la regressione del combattere, dell’istinto di sopravvivenza, del corpo a corpo, come fase necessaria e formativa perche l’individuo assuma “capacità di nascere, distaccarsi e riunirsi senza paura in ogni movimento della sua vita” (S. Guerra Lisi).
Questo è come io, come noi, allo Z.N.K.R., proponiamo le Arti Marziali, per individui che decidano di uscire dal “copione” (2) e prendere la propria vita nelle mani; per individui che soffrano di momenti di stallo, di blocco energetico ed emotivo; per chi, anche, sia sprofondato nel baratro del patologico. Perché… “da vicino, nessuno è normale”.



(1)   Ho spiegato più volte quel che differenzia il nostro praticare profondo dalle pratiche sportive o di “stile” o di “facciata” che impazzano nel mondo delle Arti Marziali. Qui mi limito ad aggiungere che ogni scelta non fa altro che mostrare le caratteristiche individuali di ogni praticante: le sue debolezze, le sue ansie, le sue fughe dalla presa in carico di quel che è ora, le “maschere” ed i ruoli che adotta per vivere. 
L’ossessione agonistica; la ricerca macho muscolare di bicipiti possenti e pratiche ginnico – autolesionistiche; il vuoto e lezioso esercizio di stile lontano dal fuoco bruciante delle pulsioni; gli scazzotta menti caotici tesi a sfogarsi; le maniacali ripetizioni di gesti che, di per sé, dovrebbero portare alla saggezza interiore ( e perché mai ?) e quant’altro di vacuo o emotivamente catafratto o imbecille ad ognuno è dato trovare girando per palestre, Dojo, Kwoon e simili.
Da noi, per contro, paure e debolezze, fughe, “maschere” e ruoli, sono invece strumenti, per chi lo voglia, perché si scopra nudo e da quella sua nudità voglia ripartire per divenire adulto auto diretto.


(2) Pagine esplicative sul “copione” e la sua forza distruttiva, il suo essere legame perverso e soffocante, si trovano in “Fare l’amore” ( no, i benpensanti ed inibiti che mi stessero leggendo si tranquillizzino: non è un testo di sesso !!) e in “A che gioco giochiamo”, di Eric Berne, il “padre” dell’Analisi Transazionale.









Nessun commento:

Posta un commento