domenica 27 aprile 2014

La Notte del Guerriero: parte 4 – L’acciaio, corto e lungo

Sabato 10 Maggio, terremo la 4° edizione de “La Notte del Guerriero”: otto ore di formazione marziale “non stop”, dalla mezzanotte alle otto del giorno successivo.
Nei precedenti post ho dapprima aperto lo scenario su quel che faremo, poi ho affrontato il modulo di formazione dedicato al Tai Chi Chuan, indi quello sul Kenpo.
In questo post, offro una veduta sul modulo di formazione dedicato all’acciaio, corto e lungo:
coltello e katana.
 Chi si è iscritto, avrà un’idea di cosa lo attende, chi non ci sarà … avrà un’idea di cosa si è perso !!
Attendo commenti, suggerimenti, critiche, domande e quant’altro.


“Una volta, un arciere inesperto si pose di fronte al bersaglio con due frecce nella mano. Il Maestro disse: I principianti non dovrebbero portare con sé due frecce, perché facendo conto sulla seconda trascurano la prima. Ogni volta convinciti che raggiungerai lo scopo con una sola freccia, senza preoccuparti del successo o del fallimento”
( detto del Kyudo )

by Illusiane
L’acciaio arma la mano dell’uomo, o forse è la mano dell’uomo che si arma dell’acciaio.
Acciaio corto, tenebroso e letale. Di taglio o di punta, che ferisca e laceri o trafigga, sempre acciaio malsano è. Acciaio votato a togliere altre vite umane, acciaio scelto perché semplice da occultare, rapido da impugnare ed estrarre, ancor più rapido e lineare, guizzo di prepotenza malevole, nel suo stracciare vesti e disegnare sangue sulle carni.
Se quanto ho scritto vi sembra troppo crudo e crudele, beh, lasciate perdere la pratica del coltello e rivisitate con attenzione la vostra pratica a mani nude: “Cosa state cercando e come vi sentite nel cercare ?”.
Sì perché anche le “mani nude” sono armi per fare del male, perché le “Arti  Marziali” sono nate per uccidere e non essere uccisi, per strada o sui campi di battaglia.
Poi, libero ognuno di leggervi quel che gli pare, di stravolgere origini e senso, di farne uno sport per il divertimento suo e di amici e fidanzate ( contento lui di passare le Domeniche a prendere e dare pugni in faccia …); una pratica misticheggiante che, in virtù di non si sa quale energia misteriosa, lo porterà al paradiso della saggezza e dell’equilibrio interiore; uno sfogatoio per dimenticare quelle frustrazioni quotidiane che … si ripresentano regolari dopo l’oretta di sudata; una pratica di “difesa personale” che renda invincibili contro i mille e mille aggressori che, ma certo dai !, dietro l’angolo non vedono l’ora di scatenare la loro furia omicida (!?).
Ma torniamo a noi, al nostro tirar di coltello che, metafora e metonimia di ogni scontro relazionale quotidiano, ci porta a confrontarci con l’assumersi la responsabilità di ogni nostra decisione; ad accettare che, se certamente non possiamo scegliere tutto quel che ci accade, però di quanto ci accade possiamo fare tutto quel che vogliamo, sapendone accettare il prezzo; a saper fare del male quando lo riteniamo opportuno senza chiudere gli occhi davanti alle conseguenze. Roba non da poco, roba da adulti. Roba da guerriero: colui che sa stare nei conflitti.
Allora tireremo di coltello e, dopo aver giocato con un qualche simulacro, un qualche giocattolo di plastica o di legno giusto per “scaldare” gli animi, impugneremo davvero il coltello: animale d’acciaio, appuntito ed affilato. Ne gusteremo il potere sadico sulla pelle nostra ed altrui, guarderemo negli occhi chi ci sfila la lama tagliente a segnare di rossore e forse sangue le gote, la gola, il petto, per poi, ancora occhi su occhi, essere noi a disegnare arabeschi luttuosi sul suo volto, sulla sua pelle nuda.
Tireremo di coltello l’uno contro l’altro, duelli feroci in cui l’animale più debole, quello a cui tremano i polsi e si spezza il respiro, dovrà inchinarsi al predatore più forte, accettandone la superiorità. Prova di umiltà non facile, soprattutto in questa società di parolai e debosciati, dove maleducazione, prepotenza e cafona ostentazione, si sostengono a vicenda coprendo un potere opulento e di facciata.
Poi, sarà la volta dell’acciaio lungo: il katana. La spada, meglio, la sciabola, che fu dei samurai.
Taglio in verticale calante, l’acciaio ricurvo si blocca per poi, d’impeto, risalire .. . taglio di traverso ascendente. Ogni taglio, ogni traiettoria spietata, esprime la precisa volontà di separare, di uccidere.
La lama sembra danzare sul confine del vuoto, ma gli occhi di chi la impugna sfondano bersaglio e spazio, spazio e bersaglio.
Una caotica danza di orgoglio, paura, disprezzo, angoscia, agita cuore e ventre del “samurai”. Taglia, osservando  esili archi rossastri librarsi nell’aria. E quella stuoia di fronte a lui, nell’essere corpo dell’avversario, ostacolo, e insieme desiderio, al suo potere di vita e di morte, è lui stesso. Lui che si riconosce nelle sue miserie e nelle sue forze oscure.
Il senso del Tameshiri, cerimonia di purificazione attraverso l’irreparabile ed irreversibile gesto che separa, senza possibilità di aggiustare, di rimettere “le cose a posto”. Quanto sai davvero “chiudere i conti” ?
Il katana, arma nobile, acciaio lungo, per concludere la Notte del Guerriero.

“Se voglio dominare me stesso, devo prima accettare me stesso,  procedendo d’accordo e non contro la mia natura”
( Bruce Lee )







martedì 22 aprile 2014

La Notte del Guerriero: parte 3 – Il Kenpo

Sabato 10 Maggio, terremo la 4° edizione de “La Notte del Guerriero”: otto ore di formazione marziale “non stop”, dalla mezzanotte alle otto del giorno successivo.
Nei precedenti post ho dapprima aperto lo scenario su quel che faremo, poi ho affrontato il modulo di formazione dedicato al tai Chi Chuan.
In questo, offro una veduta sul modulo di formazione dedicato al
Kenpo
 A seguire, gli altri post sugli argomenti successivi.
Chi si è iscritto, avrà un’idea di cosa lo attende, chi non ci sarà … avrà un’idea di cosa si è perso !!
Attendo commenti, suggerimenti, critiche, domande e quant’altro.


E' ragionevole sentirsi meglio,
diventare più forti e vivere con entusiasmo la propria vita.
Se non ci sentiamo meglio,
non diventiamo più forti e lo studio non porta entusiasmo nella nostra vita,
allora non si tratta di boxe.
Non importa che conosciamo o no la storia della boxe:
dobbiamo valutare  se ci conviene impararla
e se corrisponde alle esigenze della nostra vita.
       (M° Wang Xiang Zhai)

In sintonia con quello che è il cuore della nostra pratica marziale tutta,  affideremo alle capacità nascoste, ma già esistenti in ogni individuo, la possibilità di emergere perché gli consentano un “saper essere” e “saper fare” autodiretto, flessibile ed evoluto.
Come rilevava Jean Piaget, psicologo e pedagogista, il bambino costruisce la sua realtà attraverso il fare, l’agire esplorativo, invece di formarsi un’immagine delle cose e del mondo mediante le sue percezioni e poi agire di conseguenza.
Fare, e poi fare, attingendo alle risorse inconsce che ognuno di noi ha ed affidando a loro il compito di affrontare  i problemi. Perché è il funzionamento conscio che interferisce con quello inconscio, negando a quest’ultimo di  adeguare il comportamento dell’individuo a quanto gli richiede la situazione, la relazione, l’ambiente.
Molto più bambini e meno … seghe mentali !!
Scopo della pratica sarà quello di far sì che il praticante si riprenda la capacità di combinare il potere al volere, il modo di agire alle motivazioni, di rendere spontaneo il comportamento che richiede uno sforzo di volontà.
Un cambiamento che è reale proprio perché trasforma partendo da qualcosa che già c’è. Una specie di “Via del coraggio” che apra le porte della creatività: stati di coscienza espansa in un corpo spazioso.
Occupare lo spazio, quello all’interno del nostro corpo e quello al di fuori. Riconoscendo l’Aji, il potenziale, di ogni nostro spostamento. Lavoreremo sul  “bersaglio” non solo come tale, ma anche in relazione allo spazio che, verosimilmente, questi potrà occupare. Uno spazio che, nel mentre ci separa, anche ci unisce.
Cercheremo di stare in una posizione di forza (Atsui), sia dentro il nostro corpo che nello spazio, per limitare le risorse dell’avversario. Così, la nostra prossima azione sarà Tsugi no Itte, la migliore.
Testeremo tutto ciò sia confrontandoci liberamente con un compagno nel jiu kumite, il combattimento libero, sia nel gioco del “cerchio dei lupi”.
Faremo del Kenpo, per chi lo vorrà, una sorta di terapia del confliggere, del cacciare, in cui la preda vera, reale, non è certo chi ci sta davanti ma noi stessi. Per crescere.


 “Il Go sta agli scacchi, come la filosofia sta alla contabilità della partita doppia”
(Trevanian)




martedì 15 aprile 2014

La cena di Guido

“L’ascolto delle sensazioni è l’essenza intima dei movimenti”
(M. Trager)

Siamo quasi una trentina a festeggiare Guido. Guido ed il suo “shodan”, cintura nera 1° grado.
In realtà, Guido approdò allo Z.N.K.R. già graduato grazie alla pratica nel Karate stile Shotokan: fu lui a volersi cingere ai fianchi la cintura bianca e cominciare ex novo la sua avventura.
Diversi anni insieme e di cose ne sono successe, compreso il recente matrimonio con la biondissima e gentile Carla.
Anni di lezioni serali, Seminari e Stage. Di cene e chiacchiere in libertà. Di pugni e calci e sudate, di amicizia costruita incontro ( e scontro !! ) uno dopo l’altro.
Siamo quasi una trentina. Ci sono gli “anziani”, quelli che già avevano i gradi “alti” quando Guido ha fatto il suo primo ingresso in pedana, e ci sono quelli che con Guido hanno iniziato a condividere dagli anni della sua “marrone”; ci sono pure quelli, Annalisa a rappresentarli, che Guido, e lo Z.N.K.R., hanno iniziato a conoscerlo da un pugno di mesi. Poi ci sono i bambini, praticanti al corso Kenpo Bimbi / Ragazzi o semplici amici, e gli adulti che Guido, e lo Z.N.K.R., l’hanno conosciuto grazie alla compagna, o compagno, praticante.
Ed è bello vederli tutti insieme a ridere e scherzare. Mi piace pensare che siamo tutti figli, frutto, del toccare, del toccarsi quand’anche …. rudemente, perché toccare è accompagnare, accompagnare l’altro  in un’avvincente esplorazione di sé ed intanto anche chi ha dato l’avvio al tocco è in cammino e si trasforma.
Probabilmente toccare, toccarsi, quand’anche … rudemente, insomma, “menarsi”,  aiuta a dissolvere le nebbie dei rispettivi ego, impedendo di appiccicare all’altro una maschera, un ruolo, che in realtà non gli appartiene ma è lo schermo delle nostre proiezioni.
Toccare, toccarsi, quand’anche … rudemente, avvia un percorso di conoscenza e trasformazione, di individuazione, che richiede un’strema delicatezza. E’ pratica che non consente di esaltare l’ego di chi guida il gruppo, il Sensei, ma nemmeno dei praticanti, né di chi “le dà” né di chi “ le prende”.
Richiede delicatezza e, insieme, un certo coraggio, un’audacia nel procedere sovente a tentoni, sovente cadendo, sovente anche soffrendo.
Ma se il risultato è crescere, è comprendere ovvero non un vuoto sapere ma acquisire maggiore conoscenza, è interagire consapevolmente con l’ambiente, allora ne vale la pena.
Anche perché, di contorno, troviamo momenti sereni come questo, attorno ad un tavolo imbandito, a festeggiare Guido, tra amici che si conoscono … dentro

“Il gesto è davanti a me come un interrogativo, mi indica certi punti sensibili del mondo, mi invita a raggiungerli”

(M. Merleau – Ponty)







mercoledì 9 aprile 2014

La Notte del Guerriero: parte 2 – Il sé fisicoemotivo. il Tai Chi Chuan, le origini

Sabato 10 Maggio, terremo la 4° edizione de “La Notte del Guerriero”: otto ore di formazione marziale “non stop”, dalla mezzanotte alle otto del giorno successivo.
In un precedente post del giorno 1 Aprile, ho “aperto” lo scenario su quel che faremo.
In questo post, offro una veduta sulle ore di formazione dedicate a
“Il sé fisicoemotivo. il Tai Chi Chuan, le origini”
 A seguire, gli altri post sugli argomenti successivi.
Chi si è iscritto, avrà un’idea di cosa lo attende, chi non ci sarà … avrà un’idea di cosa si è perso !!
Attendo commenti, suggerimenti, critiche, domande e quant’altro.




L’esperienza mi ha fatto scoprire che il corpo non è una semplice cosa tra le altre cose del mondo oggettivo e che non è una macchina soffice. Il nostro sé umano è piuttosto un orientamento psicospaziale e psicotemporale; perciò la trasformazione dell’intero essere, a qualsiasi livello avvenga, è sempre un evento corporeo
(J. Maitland)

Fuori da ogni schema scientista ottocentesco, da una concezione del corpo meccanicistica, da ogni pretesa ginnico / atletica.
Ecco, il sistema nervoso è come un complesso sistema di porte che si aprono e si chiudono quando gli stimoli incontrano i recettori locali. Quel che sento in “zona” non è semplice conseguenza della risposta del cervello, ma anche di come il tessuto locale opera in queste “porte”.
Noi siamo esseri fisicoemotivi, non macchine; siamo un’ entità complessa, intra ed inter relazionata.
Membrana aponeurotica, tessuto connettivo, muscolatura profonda, cervello sottocorticale … insieme in un comunicare ed influenzarsi a vicenda. L’individuo è un organismo omeostatico, in cui ogni parte si relaziona organicamente con le altre e rispetto al tutto. Ogni parte è metonimia e metafora del tutto.
“Dalla fisica sappiamo che ogni corpo possiede una cosiddetta frequenza naturale, ossia che esiste un campo di lunghezze d’onda con cui esso è in risonanza e che questa risonanza può incrementarsi”, così scrive Laszlo Mero, psicologo, matematico, autore di libri su intelligenza e razionalità umana.
Con il dialogare delle nostre mani, contatteremo i piedi,  in cui si concentra tutta l’evoluzione psicomotoria, che sono, in quanto basi d’appoggio, espressione della nostra aderenza alla realtà.
Un’immagine passata da Jader Tolja (medico, psicoterapeuta e leader dell’ ‘anatomia esperienziale’, ovvero la conoscenza diretta interna e propriocettiva del corpo), descrive l’essere umano come un burattino all’incontrario: nel burattino i fili che lo comandano scendono dall’alto, nell’uomo, questi fili sono i piedi. Ovvero è il diverso muoversi dei piedi ad innestare il movimento in tutto il corpo. Per questo, ai piedi dedicheremo l’apertura della nottata.
Da qui, con il contributo di come io ho assimilato le mie esperienze in
arti occidentali, tra queste Feldenkrais, Expression Primitive e Danza Sensibile,
e quelle in
arti asiatiche, in particolare il Tai Chi Chuan, incontrato sul finire degli  anni ’70 grazie al M° Grant Muradoff ( ballerino e coreografo giorgiano, esperto di esoterismo occidentale, il primo ad introdurre il Tai Chi Chuan in Italia ) poi studiato, regolarmente o a “tratti”, con diversi Maestri quali Tokitsu Kenji, Chen Zenglei, Anthony Walmsley, Erle Montaigue, fino ai recenti insegnamenti che ricevo dal M° Aleks Trickovic,
affronteremo il “corpo guerriero”, la sua densità e sostanza.
Praticheremo  Peng, “come un pallone che galleggia sull’acqua” e i Souei Shou, le “mani che spingono”, i cui movimenti si iscrivono in un tracciato sferico, dotato di volume, e sono sostenuti da una “forza assente”.
La nostra cultura attuale, di stampo narcisistico, dunque alla costante ricerca di un’immagine che dia sicurezza, di certezze assolute in ogni campo del fare e sapere, privilegia immagini e figure fisse, in quanto un’icona immobile è sempre identica a se stessa e può essere facilmente riconosciuta, il che ci dà una sensazione di potere e controllo.
L’individuo propriocettivo, di contro, privilegia le  informazioni originate  dalla propria esperienza corporea più che da quella visuale.  In questo senso, egli si immerge nel movimento praticandolo come un insieme in cui ogni parte è … parte di un’altra parte e tutte quante concorrono a quell’insieme che è l’agire e il traslocare nello spazio. Ovvero, il fluire del movimento è ampiamente influenzato dall’ordine in cui le diverse parti del corpo si mettono in azione.
Questo genere di “artista marziale”, consapevole dell’indissolubile relazione che c’è tra le diverse parti di sé e delle stesse con l’ambiente esteriore, ascolta la voce degli stimoli interiori del comportamento che precedono i suoi movimenti, dando inizialmente poca attenzione all’abilità necessaria per l’esecuzione gestuale. Risulta, quindi, esaltata, al posto dell’abilità tecnica, dell’abilità formale, la partecipazione interiore.
Nel tentativo di lasciar  fluire liberamente i suoi movimenti spontanei, questo praticante sarà più irregolare e impulsivo del praticante mero esecutore di tecniche imposte. Però, come organismo vivente, libero ed autodiretto, trascurerà gli aspetti narcisistici, i tratti più esteriori della vita, per darsi al rispecchiamento dei processi nascosti nell’interiorità del suo essere … umano.

“Noguchi ha parlato della necessità dell’elasticità del corpo, per mantenerlo in buona salute. Se si accetta quest’idea, che occorre fare ? E’ molto semplice: rilassarlo” (Tsuda Itsuo).



Post illustrato con opere mobili (“una parola francese comparabile all'italiano «movente», che contiene un'allusione al moto ma anche alla motivazione”)  di Alexander Calder.  Ovvero, “Mitologia, la logica del mito, è quella dell’Energia Vitale, in forma di semi, sepolti in ogni cultura umana e in ogni uomo, che aspettano anche se oscurati, dimenticati, l’illuminazione creativa” (S. Guerra Lisi  - G. Stefani)
Per saperne di più:






martedì 1 aprile 2014

La Notte del Guerriero: parte 1 - Ouverture

Sabato 10 Maggio, terremo la 4° edizione de “La Notte del Guerriero”: otto ore di formazione marziale “non stop”, dalla mezzanotte alle otto del giorno successivo.
Su questo mio blog, nelle prossime settimane, con una serie di post successivi, anticiperò metodi e contenuti dello stesso. Chi si è iscritto, avrà un’idea di cosa lo attende, chi non ci sarà … avrà un’idea di cosa si è perso !!
Attendo commenti, suggerimenti, critiche, domande e quant’altro.


Dal punto di vista evolutivo è giusto che le immagini interne, pur essendo molto realistiche, non possano mai sostituire davvero quelle reali.
E' giusto perché, se potessimo saziarci solo pensando a un banchetto, non ci prenderemmo la briga di mangiare e presto ci estingueremmo.
Nello stesso modo, qualunque creatura si accontenti di immaginare orgasmi, difficilmente trasmetterà i suoi geni alla generazione successiva
(Vilayanur S. Ramachandran,)

Quando tocchiamo qualcuno, ne siamo a nostra volta toccati. La relazione sottile che scorre tra corpo e mente ( se mai si possa dividere l’uno dall’altra se non per necessità di dialogo, di comprensione) può essere chiaramente percepita toccando altre persone. L’arte del tocco e della riorganizzazione dei nostri riferimenti è una ricerca di comunicazione, è trasmissione e accoglienza di energia che fluisce in noi stessi e tra noi e gli altri.
Nel lavoro del tocco con le mani, entriamo in sintonia con i vari tessuti del corpo e con le qualità emotive  ad essi associate; ciò si realizza variando ritmi ed intensità del tocco, portando l’attenzione su particolari strati del corpo, accompagnando le linee di forza già esistenti, con ciò suggerendo nuovi riferimenti, nuovi schemi di pensiero ed azione all’altro e …. a noi stessi.
E quando tocchiamo noi stessi ? Ci tocchiamo con le mani, che è una possibilità, ma, sovente, ci “tocchiamo” con le sensazioni, ascoltandoci. A volte volontariamente, a volte involontariamente, solo perché qualcosa succede, qualcosa nel corpo, del corpo, ci parla.
Questo avviene continuamente, momento dopo momento, da soli o nel relazionarci con altri. Magari non ce ne accorgiamo, siamo sordi ai noi stessi, presi come siamo da quello che facciamo, travolti dal nostro stesso fare, ingorgati da un surplus di fare e fare e fare. Alte volte, ce ne accorgiamo ma non vi diamo peso, ci diciamo che  non è importante, che altre sono le cose importanti nel vivere. Questo, sia quando “l’autotocco”, l’induzione interna, ci da piacere, sia quando ci da malessere, dispiacere.
Piuttosto, ricorriamo ad un elemento esterno per sopraffare, dimenticare, quanto stiamo incontrando, quanto di noi stiamo toccando. Che sia una pastiglia  per “dimenticare” un mal di testa, una “sbronza” per “dimenticare” un amore tradito, una vacanza all’estero per lenire l’ammorbante stillicidio di tutti i giorni,
 uno shopping compulsivo o una sudata in palestra per “dimenticare” quel nostro quotidiano di lavoro o di affetti che ci soffoca, ci tarpa ali ed aspirazioni. Ma anche una “pastiglia” o “similpastiglia”, ovvero un qualsiasi corpo/ accadimento altro, estraneo, per dimenticare o vanificare quel momento di serenità, di gioia, di curiosità che ci spingono verso scelte di vita, persone, incontri, di cui temiamo le conseguenze: un appuntamento con un uomo o una donna che non sia il / la proprio/a; un’occasione di lavoro che tanto ci tenta nel suo essere così diverso da quello attuale; la struggente voglia di un abbraccio che non sappiamo chiedere; quella gioia inaspettata che ci dà la luce del mattino  e che fuggiamo spaventati rinchiudendoci tra le pareti  dell’ufficio; il piacere e la tentazione del letto caldo che ci  avvolge e turba il nostro senso del dovere, a tal punto da farci immediatamente alzare, prepararci e correre al solito luogo di lavoro.
Così, viviamo ( sopravviviamo?), negandoci al contatto, imbottendoci di sonniferi, che siano  sanitari o di altra fattezza, purché capaci di “curarci”,  stordirci e farci continuare una vita di mediocrità, di stenti emozionali e, sovente, di stenti, di malanni del vivere che si riversano sulla nostra salute fisica.
Poi, vecchi, magari coloriremo di avventure, di incontri straordinari, una vita intessuta, invece, di sentimenti ed emozioni ed incontri negati o “curati” con una o mille pastiglie medicamentali, di occasioni lasciate morire, di anafettività, di coercizioni imposte o subite, di consumo senza godimento.
Emozioni, sussulti, avventure ed incontri che, ohibò, la vita ci ha posto davanti, ma noi … non ci siamo fatti toccare o ne abbiamo ucciso, “medicato” e “curato”, il tocco stesso.
Questa “Notte”, sarà dedicata al toccare lasciandoci toccare. Fuori e … dentro.


Mentre tu sei l'assurdo in persona
e ti vedi già vecchio e cadente
raccontare a tutta la gente
del tuo falso incidente
( P. Trampetti - E. Bennato: http://www.youtube.com/watch?v=iXLwkczqHUM )

Post illustrato con immagini di Art Brut.
Per saperne di più: