mercoledì 28 febbraio 2018

In pubblico - Out in public




Nei prossimi mesi, darà vita ad una serie di incontri nei giardini e nelle strade della nostra Milano in cui presenterò il Kenpo Taiki Ken, un’antica arte di combattimento atta a condurre l’individuo a saper affrontare i rischi ed i conflitti di ogni giorno, imparare il tempo delle domande e delle risposte, divenire entusiasta, vitale, vincente

Ho scelto di andare all’aperto, “in pubblico”, per ricollegarmi e ricollegare il nostro fiero praticare alla natura, dunque alle origini delle Arti Marziali medesime. Questo significa che ho scelto e sceglierò i giardini, il verde, della città, ma anche luoghi di “cemento”, alla moda o degradati, perché anch’essi sono “natura” della città.

Lo farò in luoghi della zona 4, quella in cui opero e vivo da decenni e che, da buon milanese, amo abitare e, nel mio piccolo, contribuire a mantenersi viva.

I primi appuntamenti, del tutto gratuiti ed aperti a tutti, saranno

Sabato 3 Marzo ai giardini Marcello Candia;

Sabato 7 Aprile ai giardini di via Balduccio da Pisa;

Sabato 5 Maggio nello spiazzo antistante la palazzina Liberty, in largo Marinai d’Italia.

Ti va di raccogliere questo mio invito?

 

Informazioni
tsantambrogio@yahoo.it
praticoalparco@gmail.com

 

venerdì 23 febbraio 2018

Incontrami ... perché



Mi è indifferente gridare o tacere.
E’ che sempre, ogni volta, sfioro le mie stesse mani, così familiari e che pure ancora non conosco appieno, così straziate dallo scorrere del tempo e per questo portatrici di memorie di incontri e toccamenti e percosse e carezze.
Deliziosi, anche se a volte tormentati, fantasmi della memoria.

Oltre quarant’anni di pratica marziale e ancora mi chiedo, pugni e calci, schivate ed affondi, quale sia il calibro, il senso, di questa pratica profonda.
Uno spazio passionale e praticante che parrebbe escludere il mondo, il quotidiano, vestiti in un meticciato un po’ euro un po’ giap, tra parole giap pronunciate all’italiana e incerti riferimenti alla società giap.

Ma, per come lo intendo io, per come lo propongo io, dal mondo non si isola, il mondo non esclude. Piuttosto lo penetra fino a squassarlo, lo rivolta come un calzino vecchio, è potente capacità di trasformazione individuale e, insieme, lucida lettura sociale.

Uno scarto deciso dalla vigoressia, quella sotterranea malattia mentale per cui giovani e non più giovani affollano palestre e corsi alla ricerca ossessiva del corpo bello, del corpo ben fatto da esibire, del corpo “macchina”.
Un appassionato, invece, avvicinarsi alla realizzazione della propria identità, ossia di una sanità di fondo.

E, tolti gli ignavi, gli aggressivo passivi, i “capitan Fracassa” e gli “homo Omer”, i tamarri di ogni genere e quelli che l’ottimo Ido Portal chiama “couch potatoes”, chi dubitasse di possedere le qualità che gli servono, sappia che può scoprirle dentro di sé, può crearle dentro di sé.

Movimento è energia, respiro è energia, lottare e scontrarsi è energia.
Una revisione personale, una trasformazione individuale, uno scorrere di mani, le tue mani e quelle di chi ti sta di fronte o accanto, che, sguardo e respiro e braccia e balzi e pugni ed affondi, ti diverranno familiari strumenti di vitalità, di trasformazione tua e del tuo ambiente.

Incontrami … perché

La vita è lotta, lotta senza quartiere, ed è un bene che sia così. L'umanità, altrimenti, non potrebbe progredire. una razza di deboli si sarebbe estinta da un pezzo, senza lasciare traccia.
(E. Canetti)








Non importa come ti senti, alzati, vestiti e lotta per i tuoi sogni

lunedì 19 febbraio 2018

Ninja e Samurai



Delle gran belle chiacchiere tra amici maschi; un delizioso pranzo alla “piemontese”, e che carne!!
Questo il prologo ad entrare nell’affascinante mondo dei samurai e del medioevo nipponico.

Siamo a Torino, al Museo d’Arte Orientale, che ospita la mostra “Ninja e Samurai. Magia ed estetica”.
L’ingresso è forte, con un paio di esempi di giardini Zen ad introdurci tra lame d’epoca.
Lame bellissime!! Intriganti, soprattutto per chi come me, praticando, sente forte la sensazione di impugnarle.
Dettagli tecnici della lavorazione appaiono chiari, grazie alle spiegazioni di Paolo, sempre attento a cogliere segni e sfumature.
Un dubbio mi si insinua osservando l’impugnatura di un wakizashi (la spada corta): classificata come trecciatura in seta, è invece in cuoio!!

Poi elmi ed armature, tanto (il pugnale) e tachi (la spada lunga montata in modo da essere portata con la lama rivolta verso il basso).
Sono strumenti, sono armi portatori di morte e sangue, ma anche viaggio nel buio del cuore dentro.
Una lama del 1540, altre lame “mumei” (prive di firma), tsuba (la “guardia” del katana, la spada tipica del samurai) di diversa foggia, stoffe e drappi.
E, prima in Europa, un’esposizione sul mondo Ninja, i “guerrieri ombra”.
Armi di ogni genere, strumenti, per l’epoca, altamente innovativi, come una lampada con giroscopio in grado sia di illuminare davanti a sé il cammino del guerriero, sia di lasciarlo immerso nell’oscurità con un semplice movimento del polso.
Armi piccole, minuscole, facilmente occultabili. Armi da taglio, da percussione o da lancio.
Armi per uomini formatisi al segreto, all’occulto, allo spionaggio ed all’assassinio.
Non manca un breve excursus sulle armi in dotazione alla polizia dell’epoca, tra manganelli e funi per legare il malcapitato.

Entriamo, poi, nella mostra permanente del Museo, affascinati da altri reperti Giapponesi, ma poi coinvolti in splendide opere d’arte dell’Asia meridionale e Sud-est asiatico (subcontinente indiano e penisola indocinese), e della Cina.
Resterei ore incantato davanti a simili bellezze, colpito dalla lunghezza del tempo, dei secoli che si sono succeduti che sono stati anche il tempo di milioni e milioni di individui, di sconosciuti, ognuno con le proprie storie personali di amore e odio, di vita e di morte, di piccoli gesti quotidiani e di imprese passate alla “Storia”. Un tempo fatto di secoli che, mentre rimpicciolisce senza alcuna pietà il peso, l’importanza di questa mia vita d’oggi, dall’altro le dona un sapore di fragile unicità, di tempo breve, brevissimo, da non sprecare.

Risaliamo in auto, per altre chiacchiere e commenti.
A Milano, ci attende la compagnia della mia famiglia e di Elise, ci attende una cena di fonduta altamente alcolica (grande Monica!!), di torta e vino e birra e chiacchiere, ancora chiacchiere, tra il serio della storia e del destino umano ed il faceto del prendersi in giro, delle piccole cose d’ogni dì.
Un bello e conviviale concludere, tra amici, un sabato di cultura guerriera.









giovedì 15 febbraio 2018

La Forma dell’acqua



Una poesia dalle tinte forti.
E’ quello che sento dentro, sprofondato in una morbida e comoda poltrona rossa, Monica e Lupo accanto.
E’ una favola che sembra vera: la protagonista e la sua monotona routine che comprende, ogni mattina prima di andare al lavoro, un uovo sodo e un lungo bagno in vasca accompagnato dalla masturbazione; il contesto, ovvero gli U.S.A. negli anni della “guerra fredda” e della segregazione razziale.
E’ un film schematico, che, dividendo nettamente buoni e cattivi, prende le distanze dalla narrativa contemporanea in cui tratti diversi di personalità contrastanti si affollano nello stesso personaggio.
E’ un film che rifugge da ogni indagine psicologica, che riecheggia apertamente storie e personaggi già visti, in letteratura come al cinema stesso.
Dunque è un film semplice ma … è un film bellissimo, struggente, che nonostante quanto sopra, o forse proprio rivoltando quanto sopra con una maestria eccezionale fino a farne poesia, mi porta dentro una narrazione sfrontata, mi porta ad accostarmi ad un mai detto prima con tanta forza e sentimento.
E’ un film in cui, piano piano, sono i sentimenti a costruire il mondo rappresentato, e non viceversa come solitamente accade.

Un mondo in cui compare, fino a dominarlo, l’elemento acqua: con una scena d’acqua si apre il film mostrando un’abitazione immersa nell’acqua, sospesa, in cui tutto ondeggia e una voce fuoricampo, come in tutte le favole che si rispettino, avvia la narrazione; la creatura “mostruosa” è una creatura d’acqua; l’acqua è lo strumento principale di lavoro della protagonista che, lo ricordiamo, ogni mattina si immerge in una vasca colma d’acqua; riempiendo all’inverosimile d’acqua una stanza sarà possibile un tenero e disperato amplesso amoroso; sarà l’arrivo della pioggia a dare il via alla fuga finale; un canale ostruito e la sua apertura al mare testimonieranno l’epilogo del film

Lo scorrere delle immagini, i dialoghi, i colori saturi ed una musica mai invasiva, mi accompagnano lungo la visione.

Attori, e doppiatori, bravissimi. Su tutti, una notevole Sally Hawkins, espressiva in ogni suo gesto, e accanto a lei un paio di volti a me noti perché presenti in film già visti e in serie TV che ho seguito di recente: Michael Shannon di “Boardwalk Empire” e Michael Stuhlbarg di “Fargo”.

La poesia della vicenda si scontra e si eleva sopra il raziocinio, sopra ogni pretesa scientifica.
Lo so, è un’immagine antistorica, del tutto anti attuale.
Non posso non considerare quanto di valido la ricerca scientifica, anche a prezzo di sangue e vite, abbia fatto e stia facendo per l’umanità e quel cattivissimo del film non riesce a farmelo scordare.
Ma, giusto per restare ai giorni nostri, lo strazio di quella bimbetta sballottolata tra genitori ritenuti troppo anziani e case di accoglienza, non avrebbe avuto ragione di essere se l’umano avesse accettato il tempo biologico della maternità, invece di rifugiarsi nella “droga” della scienza pur di partorire.
Sono pensieri, questi miei, che durano il tempo di un lampo: troppo intensa la pellicola per non abbandonarmi tra le sue braccia.

Arriva la fine, le luci, in sala, si accendono. Come faccio ogni volta che lo spettacolo mi ha avvinto, in teatro o al cinema non importa, applaudo e subito una parte dei presenti si accoda. Un giovanotto, davanti a me, ha gli occhi lucidi e mormora “Bellissimo, è bellissimo”.
Non siamo mai soli, mai, ad essere vivi.

 

La Forma dell’acqua

Regia di Guillermo Del Toro

 

venerdì 2 febbraio 2018

La merda



Questa volta, a teatro ci vado da solo.

Davanti al botteghino c’è tanta, tantissima gente. Soprattutto giovani, probabilmente studenti universitari.
La sala è colma, nemmeno una poltrona vuota.

Sul palco, una giovane donna nuda, seduta su una seggiola da giudice di tennis, in mano un microfono.
Squittio di una voce femminile che, nel corso della serata, assume tonalità diverse, sempre coinvolgenti nella loro musicalità a volte profonda, greve, altre altisonante.

Monologo di giovane donna bassina e dalle cosce grosse, forse qualcosa di strano in testa, a confidarsi delle sue paure, delle sue strampalate convinzioni, dei suoi incontri veri o immaginari.  Una che ci prova, o forse no, a farsi strada in una società dove contano le belle, le forti, quelle decise, quelle che sempre ce la fanno.
Monologo di ironia al vetriolo, di una resa invincibile, di piccoli gesti quotidiani, di scorrettezza profusa a piene mani, alla faccia delle buone maniere e del “politicamente corretto”.
Monologo di disperazione stravagante, persino innocente, di tagli nel cuore che paiono sbuffi di panna ma la panna, ad assaggiarla davvero, sa di acido, sa di stantio.

E merda mal trattenuta che fuoriesce da un corpo costretto, lei così bassina e dalle cosce grosse, a rimpinzarsi, a gonfiarsi, sorta di ideale boteriano, ad espandersi in volumi enormi, in volumi esagerati.
E merda rimangiata, che l’obiettivo è vicino, così vicino, ad un passo.

Anche se l’obiettivo, in fin dei conti, è una particina in uno spot pubblicitario cercata dentro ad un malandato garage. Specie di tentativo goffo ed autolesionista di uscire dall’anonimato per apparire e con ciò credere di autenticamente essere.

Chissà perché mi vengono in mente i post su fb dove un Tizio pomposamente comunica che è al tal ristorante, una Tizia, con figlioli distratti al seguito, si mostra sorridente sulla soglia di un anonimo appartamento di un anonimo mare, un Tizio si fotografa le scarpe di marca, una Tizia, visibilmente attempata, pubblica una sua foto e giù commenti strepitosi nel loro essere leccaculo e “come sei bella” e “per te il tempo non passa mai”, un Tizio comunica che lui sì che è un uomo “arrivato”, sorta di tardo epigono dell’uomo che “non deve chiedere mai”, una Tizia dichiara che i gatti sono molto meglio degli uomini, un Tizio…

Ognuno (inconsapevolmente o non vuole guardarsi dentro?) “giovane donna bassina e dalle cosce grosse, forse qualcosa di strano in testa”. Ognuno nella sua personale merda a soffocarsi dentro il totalitarismo della società del consumo senza uso a cercare di farsi notare, non importa come, importante è apparire, importante è nascondere i propri piccoli mostri e mostrarsi luccicanti, splendenti.

Sì che il padre della nostra “giovane donna bassina e dalle cosce grosse” glielo ricordava spesso che pure i mille di Garibaldi erano bassini, tanto bassini che la loro camicia rossa farebbe da vestitino ad un giovane di oggi. Eppure, questi bassini ma tutti belli, ovviamente, fecero una gran cosa, fecero l’Italia.
Mah, forse, a ben guardare, non è che quest’Italia sia poi una gran bella cosa.

E chissà se tutti questi giovani, che hanno riso spesso durante lo spettacolo e che ora battono entusiasti le mani e gridano di entusiasmo all’interprete, spettacolo finito, fanno i conti con la loro personale interiore “giovane donna bassina e dalle cosce grosse”.
Ma non sono fatti miei, io ho i miei di piccoli e grandi mostri dentro, ho il mio di combattimento da affrontare, giorno dopo giorno. Ed ogni guerriero sa come questo sia difficile, sa come sia doloroso accettare la propria
“giovane donna bassina e dalle cosce grosse” e trovarle un posto dentro senza sputtanarsi in questa volgare società, dentro un  genocidio culturale, come lo chiamava Pasolini, che tutto ammassa ed ammorba.

 

La Merda

di Cristian Ceresoli – con Silvia Gallerano
Teatro Leonardo
1, 2, 3 Febbraio