martedì 24 dicembre 2013

Stille Nacht 2013. Lunedì 23 Dicembre

Tutto il tempo, sì, bisogna allenarsi tutto il tempo,
ma allora la parola allenamento acquista un nuovo senso.
È sviluppare la coscienza del proprio corpo che diventa l'essenziale dell'allenamento.
Non è soltanto muoversi intensivamente, ripetendo e sudando
( K. Tokitsu )

by KejaBlank
Il silenzio ed il buio della notte che investono la sala. Un timido lumicino , qualche schizzo di luce fievole.
Musica e danza, esprimendo di sé al momento. Vicinanza di corpi, sguardi e respiri.
Spiragli di spazi occupati da gambe e braccia.
La penombra che nasconde corpi di guerrieri che si incontrano ..  mani sul volto, sul petto, sul dorso.
Le mani dell’altro, i suo avambracci, a percorrere il tuo corpo tutto, come curiosi e sfacciati turisti che infestino una piazza, senza mai andarsene. E quella “piazza” sei  tu, è il tuo corpo che viene invaso, toccato, percorso, violato più e più volte, nel buio della sala.
Il pugno schizza sibilando. Volto impassibile, sguardo fermo, mentre le nocche del compagno si fanno sentire sfiorando rapide l’orecchio. Tu, fermo davanti a lui, accogli i colpi che arrivano: non puoi, non devi, fare niente. Solo sostenere col tuo sguardo gli occhi del predatore che ti sta di fronte, che ti colpisce forte e rapido mirando al volto per poi deviare quel paio di centimetri che ti salvano i connotati, facendo rabbrividire l’orecchio, sfiorato dal colpo.
In coppia, ora, a provare pugni e calci. Ad esprimere l’arte del contenere, laddove il compagno avanzi sfrontato a scontrarti, ad invadere il tuo spazio. Capacità di alternare esplosione di colpi a suadenti movenze che circondano, contengono, soffocano, l’aggressore.
Il combattimento libero, libero di percuotere e ritirarsi, schiacciare ed eludere, proiettare al suolo e divincolarsi, mentre l’ululato dei lupi riempie la sala, accostando richiami antichi, selvaggi, primitivi al lottare  di uomini e donne che, per un paio d’ore di buio, affondano corpi ed emozioni  nell’arte della caccia e della sopravvivenza.
Ora è Tanshu, la danza del guerriero. Ognuno sia il cacciatore, il predatore che crede. Ognuno si muova nel buio della sala cacciando di sé e dei suoi demoni, delle sue debolezze nascoste e di quelle che mostra, travestite di potere e tracotanza, per non apparire nudo, per non apparire fragile, di quelle “maschere” e di quei ruoli che ne imbrigliano la vitalità per rientrare nella norma, nel “copione” condiviso.
Chissà se qualcuno dei guerrieri di “Stille Nacht” ha incontrato la sua Ombra, si è mostrato a sé nella sua nudità inerme.
Chissà se qualcuno si è concesso il dono.
Sì perché, il nostro “laico” modo di intendere il Natale, di intendere l’arrivo dell’anno nuovo è, nel solco della nostra usuale pratica marziale, il desiderio di donarsi e donare.
by KejaBlank
Un desiderio che si costituisca  sulla fertilità delle energie e sulla possibilità anche di disperderle; un desiderio di vivere appieno  la vita accettandone anche i suoi aspetti più aspri;  un desiderio che sappia travalicare i limiti dei bisogni personali, erigendosi a strada maestra di relazione nei rapporti intra e inter personali, fino, forse, per alcuni, non so, alla dimensione del sacro.
Un desidero di dono che si fa capacità reale di donare come antidoto all’anaffettività ed alla ragione astratta che non trasforma.  Una capacità di donare  che consente di affrancarsi dal narcisismo per aprirsi alla conoscenza dell'altro e del nostro stare al mondo.
Dunque, innanzitutto, un donarsi per comprendersi, trasformarsi e crescere e, nel contempo, misurare le proprie risorse e scarsità con le altrui risorse e scarsità. Ed anche un donare di sé agli altri. Sorta di alienisti sempre “in guardia”. Capaci di esplorare pulsioni e passioni, di metter mano alla sessualità umana che è scorgere i movimenti pulsionali degli esseri umani a confronto.
Corpi, emos-azioni, nel buio e nel silenzio della nostra serata di Kenpo “Stille Nacht”.
Al saluto finale, il mio augurio, coraggioso, spavaldo, forse anche temerario, eccessivo: “Che l’anno nuovo non ci porti quel che vogliamo, ma quel che siamo”.
Poi, luci accese e sguardi che sanno di un mare calmo, le chiacchiere allegre, il brindisi conviviale tra birra, vino e dolci e panettone.
L’avventura, per i guerrieri dello Z.N.K.R., continua.

Nulla ci può riscattare nella vita se non la dimensione del sentimento; se un dio dovrà giudicarci e vorrà perdonarci, lo farà perché abbiamo molto amato, non perché abbiamo, per esempio, molto pensato( A. Carotenuto )


La riflessione di Giovanni sulla serata, la potete trovare sul suo blog:




lunedì 23 dicembre 2013

Io ci sto e tu ?



Lo scopo delle Arti Marziali Cinesi Tradizionali e delle altre pratiche di Nutrimento della Vita è di rivelare la nostra vera natura e dopo, quotidianamente, di riallineare l'esperienza di ciò che siamo con qualunque risorsa naturale o energetica sia disponibile.
 ... Oh Si, e anche un pochino di combattimento
      ( Scott P. Phillips )

Dai occupa lo spazio !”; “Appena entri a contatto, sei già nella relazione”. La mia voce sprona i praticanti ad entrare da subito in relazione con l’altro, a reggere il rapporto fatto di ritmi e tempi che si scontrano, che scivolano l’uno nell’altro. Relazione conflittuale, come è ogni sana relazione dove l’uno mette se stesso al centro e si confronta apertamente con l’altro.
Ricordo, anni addietro, la lettera in cui un allievo, nell’allontanarsi dalla Scuola, si interrogava sul fatto che già viviamo in mezzo ai conflitti, perché andare a cercarli in pedana ?; ovvero, del confliggere, incapace di coglierne la necessaria presenza in ogni relazione tra “diversi”, dava una dimensione negativa. Era, cioè, del tutto incapace di comprenderne la forza realizzativa, l’essenza unica in grado di creare una “sintesi” tra le opposte forze in campo. Mi chiedo come lui sarà riuscito a gestire i conflitti abituali, se li vedeva come “fumo negli occhi” !!
Ecco, la nostra pratica marziale è appunto di “formazione al confliggere”:  lo scontro fisicoemotivo, lo scontro di corpi in lotta, come metafora e metonimia del confliggere quotidiano. Niente pratica di “benessere” o scazzottamenti machoman.
La posizione dell’ex allievo di cui sopra, ma pure queste povere pratiche di presunta salute o, al contrario, di scazzottamenti da sfogo, rivelano, in modi diversi, l’incapacità di capire la ricchezza del confliggere quanto l’incapacità di starci dentro responsabilmente. Ovvero facendone oggetto di riflessione già nell’atto del fare, del tirar di pugni e calci.
E’, questa, una società largamente microconflittuale negli episodi di criminalità, ma del tutto incapace di leggere ed agire il conflitto nel quotidiano.
Genitori non più in grado di contenere ed indirizzare i figli, tutti presi come sono dalla preoccupazione di essere amati da questi o dal proprio delirio giovanil-narcisistico fanno il paio con un “politically correct” melenso e piacione.
La stessa “sbornia” pacifista è responsabile di questo svilimento del confliggere.
La legittima, ed auspicabile, voglia di “pace nel mondo”, ha snaturato l’equilibrio che intende “pace” non come assenza di conflitto, mirabolante Eden, ma come capacità di gestire i micro conflitti  contenendoli in modo tale che, da un lato, non raggiungano l’apice dello scontro armato patente, dall’altro non esondino in macro conflitti del tutto ingestibili e perniciosi per l’umanità intera.
La polemologia, da tempo, ci ha spiegato che l’evento bellico è un “fatto sociale totale”, comprensivo di aspetti biologici e culturali.
E’ Claudio Risè a scrivere “Nell’Occidente maternizzato e consumista, la violenza, la forza, l’aggressività, il maschile sono tabù (…) Ma proprio perché ha rimosso la morte, la tarda modernità assiste a continui massacri, genocidi e stermini. Proprio perché nega la virilità registra un’escalation di stupri e delitti di ‘bravi ragazzi’. Non c’è come spostare nell’inconscio aspetti fondamentali dell’esistenza per renderli regrediti, arcaici e incontrollabili” (L’ombra del potere).
Dunque, lontani dalle pratiche asettiche, perbeniste e salutiste; dalle pratiche formali e ripetitive; dalle pratiche che vivono su tensione/carica e sfogo/scarica; noi ci muoviamo sul terreno della comprensione del confliggere come naturale componente di ogni relazione, come elemento essenziale di distinzione che significa responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze insieme a necessità di mediare con l’altro e l’ambiente.
Io lotto con te in Dojo, porto alla luce quelle pulsioni violente che si agitano in ogni essere umano, utilizzo sguardo e mani e postura per affermare la mia assertività; di più, espando la mia sfera fisicoemotiva per invadere la tua, occhi negli occhi, mani in faccia, respiro contro respiro. Nel farlo, nell’assaggiare la mia forza aggressiva, confliggo con i limiti che mi impone la tua presenza, sono costretto ad accettarli per potermi formare al conflitto, allo scontro, pena la solitudine, l’alienazione di un allenamento che sarebbe sempre e solo individuale. Senza di te, il mio avversario, non avrei il partner con cui crescere e confrontarmi. Come a dire, un eterno soliloquio in cui ho sempre, ovviamente, ragione io. Come a dire, l’incapacità di costruire delle relazioni tra diversi…. ovvero l’elogio della masturbazione !!
Di più, la tua stessa forza, la tua stessa “sfera fisicoemotiva”, sono motivo per riconoscermi, per rispecchiarmi.
Tu, confliggendo, mi presenti soluzioni che io non conosco; tu, confliggendo, mi presenti uno specchio in cui posso vedermi “nudo”, tenendo lontano gli usuali meccanismi di difesa che adotto nel quotidiano: evitamenti, proiezioni, egotismo, ecc.
La prassi fisicoemotiva che ne risulta è terapia, nel significato fondante di assistere, aiutare, servire, l’artista marziale nel suo cammino di individuazione, di crescita adulta autodiretta fuori dal Dojo, nella vita di coppia come al lavoro, con i figli, con i genitori, ecc.
Per questo, mutuandoli dall’Analisi Transazionale, definisco:
“passatempi proiettivi”, laddove due individui si incontrano ma non si includono, non partecipano pulsioni ed emozioni, in quest’incontro;
“giochi”, laddove l’individuo cerca la rassicurazione di sé manipolando l’altro o la situazione senza coinvolgere l’Io adulto e portando il “gioco” sul terreno di emozioni sgradevoli di cui non si assume alcuna responsabilità;
quelle pratiche marziali, di combattimento, in cui:
si praticano forme, esercizi, pignolerie tecniche memorizzate in “fotocopia” che, da sole, di per sé, condurrebbero all’efficacia marziale quanto al benessere, alla salute. Ma in virtù di cosa, questo dovrebbe accadere ? Sorta di prassi ossessivo-compulsiva che rassicuri il “bambino” indifeso e bisognoso di certezze;
si cerca lo sfogo fisico, pompando la muscolatura superficiale ed istruendo un percorso di carica e sfogo in cui sopraffare il compagno, un percorso di accumulo di rabbia e tensione che, come in un vicolo cieco, va a sfogarsi sul compagno. Lungi da costoro il pensiero che tensione possa essere risposta di interesse davanti a occasioni stimolanti, tensione e attività, tensione e ricerca interiore, tensione e conoscenza di sé, tensione e creatività: ma no, solo scarica !! Poi, una doccia, e a casa e al lavoro, infilati nella coazione a ripetere, nel solito “copione”, il ruolo che, inconsciamente e forse anche vigliaccamente, recitano sulla scena della vita per rendere gli eventi più prevedibili, accettabili, rassicuranti… per non confliggere !!
Ecco, già imparare a dire “No!”, prima di tutto ai noi stessi, alle nostre fughe, ai nostri evitamenti, per guardare in faccia chi siamo, come ci relazioniamo, dove stiamo andando, è un gradino fondamentale per chi pratichi allo Z.N.K.R., per chi pratichi “formazione guerriera”.  Poi un “No!” utile a stare nel conflitto relazionale senza  guastare il rapporto, senza fare dell’interlocutore il problema.
Poi…. e la pratica marziale sana, autentica, da noi, allo Z.N.K.R., continua …….

“L’azione senza un pensiero di metodo e di teoria rientrerebbe in quelle proposizioni fatte prima sul pazzo che fa le cose per niente o sul delinquente che fa lesioni ad altri soltanto per proprio vantaggio personale
(M. Fagioli)










lunedì 16 dicembre 2013

Un pomeriggio da … scriba

La passione di Lupo per la “Storia” e per i popoli antichi, unita al piacere di un pomeriggio di “famiglia”, tutti insieme: eccoci al museo egizio, Castello Sforzesco, per un’iniziativa promossa dal Comune di Milano (“Bianco Inverno”) in collaborazione con Aster.
Visita al Museo egizio e poi, tutti al Civico Museo Archeologico per cimentarci, piccini e … genitori, nel lavoro degli scribi: geroglifici, pittogrammi, per scrivere alcune semplici parole.
Eccezionale l’animatrice, Federica, giovane archeologa innamorata dell’Egitto presso cui si è recata più volte, negli anni, proprio per “scavare” in zone ritenute d’interesse. Un gruppetto di sei bambini, con genitori al seguito, tutti curiosi di sapere, capire, imparare.
Preziose le informazioni raccolte davanti a mummie, sarcofaghi e al “Libro dei morti”.
Preziose e, come spesso mi accade, suscitatrici di emozioni e riflessioni che accomunano, sovrappongono, incontrano e scontrano la consapevolezza dell’unicità, della preziosità di ogni vivere individuale con il suo essere  minuscola, irrisoria presenza nel destino del mondo, dei popoli e delle epoche.
Come mi è importante, essenziale, ricordare quel volto baciato più volte in gioventù, quegli scontri a sprangate nel delirio ”politico”, la figura di mia madre in cucina, le corse in sella alla moto …. Uauhhhhhhhhh, mille e mille e mille ancora momenti in sessantadue anni di vita, tutti grondanti pathos e come essi, al contempo, mi paiono vuoti, anonimi e persi granelli di sabbia in un deserto enorme che tutto confonde ed appiattisce.
Ecco, sta qui, credo, il nodo, il grumo. L’equilibrio incerto tra il mio qui ed ora da una parte e il senso della continuità che esso ha nel mio vivere fatto di molteplici “qui ed ora”. Equilibro che poi fa i conti, si spezza ?, con il rapporto che esso tutto ha con i miliardi di vite che mi hanno preceduto e che mi seguiranno.
Mi sento un po’ scomodo, un po’ un intruso nel frugare, con gli occhi e con la mente, nel sarcofago, sul corpo ben conservato di un “tal dei tali” vissuto ( che ha amato, ha odiato, si è battuto, ha procreato … ) alcune migliaia di anni or sono.
Mi sento un curioso piccolo piccolo laddove mi interesso a come l’hanno mummificato e poi ritrovato e poi sia giunto fino alle stanze del Castello Sforzesco. Piccolo ed un po’ ficcanaso. Piccolo e tanto superficiale nel non prendere in considerazione ( e come potrei mai ?) le sue paure, le persone cha ha amato, le bugie che ha raccontato, i torti che ha inflitto e quelli subiti, l’emozione dei giocattoli che il padre gli ha messo in mano e l’emozione di quando è stata la sua volta a porre i giocattoli in mani minuscole e trepidanti.
OK, va bene, un po’ d’aria fresca e due passi per raggiungere il vicino Museo Archeologico mi distolgono da questi stralunati pensieri.
E’ tempo di ridere, adulti e bambini, immersi nel gioco dello scriba: ma che vero kasino era la loro scrittura !!
Risate, fogli che si sovrappongono.
L’impegno, preso con Lupo, di organizzare, magari con altri bambini interessati, una visita al Museo Egizio di Torino, quello sì stracolmo di reperti. Monica che, spalleggiata da Federica, tenta di convincerlo ad andare con lei, questa primavera ,sul Mar Rosso, con capatina alle piramidi.
Poi, tutti a casa. Momento dentro momento, momento dopo momento, per l’unica, irripetibile vita, che a ciascuno di noi è concessa.



http://www.youtube.com/watch?v=LCuqT2H_-w0




I Walk Alone
Cammino da sola
Put all your angels on the edge
Keep all the roses, I’m not dead
I left a thorn under your bed
Metti tutti i tuoi angeli sul margine
Conserva tutte le rose, non sono morta
Ho lasciato una spina sotto il tuo letto
I’m never gone
Non me ne sono mai andata
Go tell the world I’m still around
I didn’t fly, I’m coming down
You are the wind, the only sound
Vai, dì al mondo che sono ancora qui
Non ho volato, sto scendendo
Sei il vento, l’unico suono
Whisper to my heart
When hope is torn apart
And no one can save you
Sussurra al mio cuore
Quando la speranza è a pezzi
E nessuno può salvarti
I walk alone
Every step I take
I walk alone
Cammino da sola
Ogni passo che faccio
Cammino da sola
My winter storm
Holding me awake
It’s never gone
When I walk alone
La mia tempesta invernale
Mi tiene sveglia
Non se ne è mai andata
da quando cammino da sola
Go back to sleep forever more
Far from your fools and lock the door
They’re all around and they’ll make sure
Torna a dormire per l’eternità
Lontano dai tuoi inganni e chiudi a chiave la porta
Sono tutti intorno e ti renderanno sicuro
You don’t have to see
What I turned out to be
No one can help you
Non devi vedere
Ciò che sono diventata
Nessuno può aiutarti
I walk alone
Every step I take
I walk alone
Cammino da sola
Ogni passo che faccio
Cammino da sola
My winter storm
Holding me awake
It’s never gone
When I walk alone
La mia tempesta invernale
Mi tiene sveglia
Non se ne è mai andata
da quando cammino da sola
Waiting up in heaven
I was never far from you
Spinning down
I felt your every move
Aspettando alzata in paradiso
Non sono mai stata lontana da te
Ruotando verso il basso
ho percepito ogni tuo movimento
I walk alone
Every step I take
I walk alone
Cammino da sola
Ogni passo che faccio
Cammino da sola
My winter storm
Holding me awake
It’s never gone
When I walk alone
La mia tempesta invernale
Mi tiene sveglia
Non se ne è mai andata
da quando cammino da sola

martedì 10 dicembre 2013

Jackson Pollock, dentro

Appartengo ad un’altra generazione. Si dice così quando non si è stati testimoni di eventi che hanno cambiato un’epoca. O quando ci si è chiusi nella tranquilla e protettiva borghesia del Nord. Nasci. Studi. Ti fidanzi. Trovi un lavoro. Ti sposi. Fai dei figli, due quasi certamente. Muori. Spesso senza lasciare traccia
(M. Fratter)


Alessandro Baricco, in una delle sue “lezioni”, paventava l’ipotesi che uomini singoli, uomini straordinari, fossero gli esploratori, i messaggeri, i portatori di ogni cambiamento radicale. Per farlo, citava un campione del salto in alto ed una strapagata e strafamosa modella che interruppero, “di botto”, quanto prima, nei loro rispettivi ambienti, era dato per certo, ovvio e scontato.
Chissà se questi uomini ( e donne) straordinari sono messaggeri, interpreti, di un movimento di rottura che cresce e preme alle loro spalle e, attraverso loro, sale finalmente in superficie o sono invece essi stessi gli anticipatori, i “profeti” di un rinnovamento che nasce e cresce e si esprime “ in primis” grazie a loro.
Mah!? Poco  m’importa, al momento. Il momento in cui, con Monica e Lupo, entro a Palazzo Reale per visitare la mostra dedicata a Pollock ed al gruppo degli “irascibili”.
Una visita guidata, perché abbiamo scelto l’opzione che permetterà a Lupo, in gruppo con altri bimbi, di visitare la mostra accompagnati da un’animatrice loro dedicata e che comprende anche lo sperimentare di persona la tecnica pittorica di Pollock.
Insomma, l’esperta che spiega il percorso artistico di Pollock, introduce i bimbi alla lettura delle sue opere e del movimento che, con lui, dipingeva in quegli anni, il tutto inframezzato dalla pratica: tutti insieme, i bambini, a dipingere alla Pollock !!
Percorso assai interessante anche per me: adulto (anzianotto) un po’ bambino sia per l’ignoranza in materia sia per l’attitudine fanciullesca allo stupore ed al gioco.
Animatrice, insomma, promossa a pieni voti.
Bellissimo, per me, vedere, in filmato, Pollock aggirarsi come una belva famelica attorno alla tela posta ai suoi piedi, poi il suo intenso, a tratti ieratico, versare la vernice e danzare gli strumenti più impensabili per coniugare al meglio impeto ed estasi pittorica.
Un artista che della tecnica, per altro assai originale ed in parte mutuata dalle esperienze delle tribù pellerossa, fa strumento per esprimere le proprie emozioni. Emozioni forti, perturbanti. Un invadere, un occupare fisicamente la tela, un viverla dentro, che mi hanno portato ad altre manifestazioni artistiche, tra cui anche il nostro modo di intendere e praticare l’Arte del combattimento.
Un modo eccezionale nei suoi aspetti terapeutici, trasformativi, sempre uniti ad un’efficacia letale. Binomio inscindibile, che solo un ignorantotto e codardo dentro potrebbe non cogliere. Tuttalpiù potrebbe tenersene alla lontana proprio per evitare il conflitto interiore, la lacerazione dentro abbracciando pratiche marziali che altrove ho definito “abbracciare una pratica fatta di sedentarietà emotiva, che si tenga lontana dalla tempesta emozionale, come se questa non esistesse, oppure rivolgersi ad una pratica che sia  di sciocco e superficiale sfogo, sorta di “scarica” fine a sé stessa” (SHIRO. Dicembre 2013 – Gennaio 2014, a disposizione tra breve).
Ma il percorso di un uomo che voglia sapere chi è, cosa ci fa al mondo e come col mondo si relaziona, non può muoversi dentro né l’una né l’altra ipotesi che ho testé citato: che si occupi di Arte del combattimento o di pittura o di danza. Che sia individuo “straordinario” e famoso come Bruce Lee, Jakson Pollock, Steve Paxton, Trisha Brown, Herns Duplan, solo per citare alcuni degli “uomini straordinari” del ‘900 che hanno praticato Arte, o sia uno sconosciuto ed incerto eretico dell’arte, di ogni arte che si conosca.
Sono contento per Lupo: si è appassionato, si è divertito, è stata l’ennesima occasione per esprimere la sua curiosità ed il suo talento artistico. Poco mi importa se dipinge “bene”, se canta “bene”, se recita “bene”, se danza “bene”. Molto m’importa che dipinga, reciti, canti, danzi esprimendo quel che ha dentro. Quel che ha dentro di autentico, ovvero authentikòs, authèntes = “fatto da sé”. Un agire che si auto – origina, qualcosa di profondo, di originale, dunque di unico, che nasce e si esprime dalle profondità del Sé.
Primi, piccoli passi per crescere.
La visita guidata è finita, lasciamo mamme e bambini ( al solito: e i padri dov’erano ? ) e ci tuffiamo nella Milano che sa di Natale.


In fin dei conti, praticare un’arte marziale è esprimere onestamente se stessi
(M° Yamazaki Ansai)

L’artista moderno lavora per esprimere un mondo interiore; in altri termini: esprime il movimento, l’energia ed altre forze interiori
(J. Pollock)







mercoledì 4 dicembre 2013

Del Maestro e del Sensei. Dell’autorità che impone e della guida che ti appassiona al vivere.

“Non bisogna mai dimenticare che molto spesso i maestri sono l'ostacolo più pericoloso per l'apprendimento”
(B.P.Keeney)

“Il segreto dell'Arte Marziale,
risiede nell'Artista Marziale medesimo”
   (Kuo Cho Hiu)

L’allievo mi sorride, mente parla piano dei suo incontri, dei suoi cambiamenti. Alcuni dovuti proprio a quegli incontri.
Ripenso ad “Incontri con uomini straordinari”, un intenso libro scritto da Gourdjieff, letto negli anni delle mie frequentazioni con chi in quella Scuola cresceva.
Ecco, a volte questi “uomini straordinari”, più che per loro caratteristiche eccelse, sono tali, sono forieri di scoperte ed apprendimento, perché hanno vissuto, hanno errato ( nel duplice significato di aver sbagliato, di essere caduti, e di ricerca senza limiti, col sapore dell’eresia ) e possono offrire all’allievo, a chi gli sta accanto, un’esperienza precedente, una mappa; per quel che può valere un’esperienza che mai è generalizzabile ed una mappa che non è mai il territorio.
Sciamani ben poco sant’uomini, il cui pregio principale è non aver cercato riparo dalla bufera ed ora possono offrire la loro esperienza di “sopravvissuti” a chi dalla bufera è ora sorpreso o, addirittura, alla bufera va incontro.
Uomini, facilitatori, Sensei (“colui che è nato prima”) che operano per l’individuazione e la realizzazione di chi cammina al loro fianco mentre questi impara da sé come e dove andare: relazione  interumana.  Che è, reciprocamente, relazione conflittuale; di empatia, di più, di simpatia per l’altro e di accettazione, magari anche critica, di cosa l’altro va a diventare; di induzione alla curiosità  e al coraggio nel stare davanti a quell’incognita che la curiosità stessa ci fa incontrare.
Ora l’allievo mi dice che a volte, a casa la sera, ripensa con frustrazione e sconforto a come si è mosso in pedana, ai miei suggerimenti critici, e gli pare di essere ancora fermo, di non aver appreso nulla. Ma la volta dopo è ancora lì, in pedana. A provare e riprovare su di sé, fino all’insight improvviso, che gli illumina l’agire: “Ecco, è così che mi piace muovermi, è così che funziona !!”
Come mi piace sentire le sue parole.
E’ questo il sano rapporto che vado proponendo allo Z.N.K.R.
L’ idealizzazione del “Maestro” annulla ogni dialettica. Come brutta copia della Bibbia, l’allievo che idealizza il Maestro si nega la possibilità di nascere e diviene creta perché il soffio di un altro gli dia l’identità. Dove sta, così, l’individuazione ed il percorso personale ? Ridicolo pappagallo che ripete a comando. Individuo che, nell’idealizzazione, in ogni momento può proiettare, può scaricare, sul Maestro i propri deliri di onnipotenza quanto le proprie personali incapacità: tanto è sempre merito o colpa del Maestro !!
Penso, poi, alla fortuna che hanno i miei allievi. Si perché essi, in quanto vengono dopo “colui che è nato prima” hanno, potenzialmente, maggiori possibilità di crescere ed autodeterminarsi. Ovvero, per così dire, scalzano il Sensei, lo “invecchiano”.
Questo mi piace, ma chissà se piace anche al “Maestro” che, temendo di perdere il suo potere, la sua “sovranità”, magari insegna a non imparare, a non fare domande, a non cercare né realizzarsi.
Sarà che, dal punto di vista dell’allievo, l’incessante domanda di “padre”, di autorità che tutto spiega rassicurando, di certezze, cela sempre l’insidia di coltivare un’attesa infinita e sciatta di qualcuno che non arriverà mai. E quel qualcuno, in realtà, è forse l’allievo stesso, povero specchio di un Godot assente !!
Teniamoci lontani da questa doppia cuspide, così appuntita e letale per chiunque sia in cammino, per chiunque studi e pratichi per crescere.
Mi arrivano alla mente le parole di ex allievi… quello che, comunque sincero nel suo ritrarsi, annunciava di smettere perché, guardandosi dentro, avrebbe dovuto mettere in crisi le sue scelte familiari; quello che, rivolta la sua attenzione a pratiche muscolo-machiste,  nell’ammettere di essere più grossolano, rivendicava però la soddisfazione di essere meno confuso; quello che se ne era andato perché le botte erano troppo dure e quello che se ne era andato per il motivo opposto, ambedue senza chiedere nulla a sé ma solo giudicando il compagno di lotta, l’altro.
Ad ognuno la sua strada.
Al Maestro l’essere Laio, colui che abbandona il figlio, non permettendogli di coltivare desideri, domande, una strada tutta sua. Perché lui per primo non si è interrogato, non ha lavorato per una sua realizzazione creativa personale.
All’allievo di costui l’essere Godot, il nome di un’assenza, nostalgico spettatore di un padre – eroe che non arriverà e non lo salverà, non lo può salvare.
Al Sensei l’essere Ulisse, colui che errando per mare conosce le cose del mondo, le sue tentazioni ed i suoi misteri, fidando nel ritorno ad Itaca che ,come già scrissi citando il poeta Kafavis:
Sempre devi avere in mente Itaca,
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezza da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti ?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà
deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso,
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare
Al buon allievo l’essere un po’ Edipo, nella parte di “abbandonato” che si mette alla ricerca delle sue origini e di come costruire il suo destino; un po’ Telemaco, la cui attesa del ritorno del padre è fatta di autonomi tentativi di emancipazione, un attesa non certo di un padre padrone ma di un padre testimone: colui che del mondo e del vivere, sappia offrirti  il desiderio e la responsabilità. Starà a te, buon Telemaco, cosa farne.

“E la conoscenza nuova risulta dal porsi nuove domande; molto spesso nuove domande su vecchi problemi. E questo è il punto: una volta che avete imparato come porre le domande – domande importanti, appropriate, sostanziali – avete imparato ad imparare e nessuno vi può trattenere dall’imparare tutto ciò che volete o avete bisogno di conoscere”
(N. Postman)

“Devo lasciarti ora, amico mio.
Hai un lungo viaggio davanti a te, e devi viaggiare leggero.
Da questo momento in poi, lasciati dietro tutto il fardello di conclusioni preconcette e ‘apriti’ a tutto e a tutti coloro che troverai lungo il cammino”
      (Bruce Lee)


Post illustrato con opere di René Magritte, detto anche “le saboteur tranquille” o “il pittore del mistero”.