lunedì 23 dicembre 2013

Io ci sto e tu ?



Lo scopo delle Arti Marziali Cinesi Tradizionali e delle altre pratiche di Nutrimento della Vita è di rivelare la nostra vera natura e dopo, quotidianamente, di riallineare l'esperienza di ciò che siamo con qualunque risorsa naturale o energetica sia disponibile.
 ... Oh Si, e anche un pochino di combattimento
      ( Scott P. Phillips )

Dai occupa lo spazio !”; “Appena entri a contatto, sei già nella relazione”. La mia voce sprona i praticanti ad entrare da subito in relazione con l’altro, a reggere il rapporto fatto di ritmi e tempi che si scontrano, che scivolano l’uno nell’altro. Relazione conflittuale, come è ogni sana relazione dove l’uno mette se stesso al centro e si confronta apertamente con l’altro.
Ricordo, anni addietro, la lettera in cui un allievo, nell’allontanarsi dalla Scuola, si interrogava sul fatto che già viviamo in mezzo ai conflitti, perché andare a cercarli in pedana ?; ovvero, del confliggere, incapace di coglierne la necessaria presenza in ogni relazione tra “diversi”, dava una dimensione negativa. Era, cioè, del tutto incapace di comprenderne la forza realizzativa, l’essenza unica in grado di creare una “sintesi” tra le opposte forze in campo. Mi chiedo come lui sarà riuscito a gestire i conflitti abituali, se li vedeva come “fumo negli occhi” !!
Ecco, la nostra pratica marziale è appunto di “formazione al confliggere”:  lo scontro fisicoemotivo, lo scontro di corpi in lotta, come metafora e metonimia del confliggere quotidiano. Niente pratica di “benessere” o scazzottamenti machoman.
La posizione dell’ex allievo di cui sopra, ma pure queste povere pratiche di presunta salute o, al contrario, di scazzottamenti da sfogo, rivelano, in modi diversi, l’incapacità di capire la ricchezza del confliggere quanto l’incapacità di starci dentro responsabilmente. Ovvero facendone oggetto di riflessione già nell’atto del fare, del tirar di pugni e calci.
E’, questa, una società largamente microconflittuale negli episodi di criminalità, ma del tutto incapace di leggere ed agire il conflitto nel quotidiano.
Genitori non più in grado di contenere ed indirizzare i figli, tutti presi come sono dalla preoccupazione di essere amati da questi o dal proprio delirio giovanil-narcisistico fanno il paio con un “politically correct” melenso e piacione.
La stessa “sbornia” pacifista è responsabile di questo svilimento del confliggere.
La legittima, ed auspicabile, voglia di “pace nel mondo”, ha snaturato l’equilibrio che intende “pace” non come assenza di conflitto, mirabolante Eden, ma come capacità di gestire i micro conflitti  contenendoli in modo tale che, da un lato, non raggiungano l’apice dello scontro armato patente, dall’altro non esondino in macro conflitti del tutto ingestibili e perniciosi per l’umanità intera.
La polemologia, da tempo, ci ha spiegato che l’evento bellico è un “fatto sociale totale”, comprensivo di aspetti biologici e culturali.
E’ Claudio Risè a scrivere “Nell’Occidente maternizzato e consumista, la violenza, la forza, l’aggressività, il maschile sono tabù (…) Ma proprio perché ha rimosso la morte, la tarda modernità assiste a continui massacri, genocidi e stermini. Proprio perché nega la virilità registra un’escalation di stupri e delitti di ‘bravi ragazzi’. Non c’è come spostare nell’inconscio aspetti fondamentali dell’esistenza per renderli regrediti, arcaici e incontrollabili” (L’ombra del potere).
Dunque, lontani dalle pratiche asettiche, perbeniste e salutiste; dalle pratiche formali e ripetitive; dalle pratiche che vivono su tensione/carica e sfogo/scarica; noi ci muoviamo sul terreno della comprensione del confliggere come naturale componente di ogni relazione, come elemento essenziale di distinzione che significa responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze insieme a necessità di mediare con l’altro e l’ambiente.
Io lotto con te in Dojo, porto alla luce quelle pulsioni violente che si agitano in ogni essere umano, utilizzo sguardo e mani e postura per affermare la mia assertività; di più, espando la mia sfera fisicoemotiva per invadere la tua, occhi negli occhi, mani in faccia, respiro contro respiro. Nel farlo, nell’assaggiare la mia forza aggressiva, confliggo con i limiti che mi impone la tua presenza, sono costretto ad accettarli per potermi formare al conflitto, allo scontro, pena la solitudine, l’alienazione di un allenamento che sarebbe sempre e solo individuale. Senza di te, il mio avversario, non avrei il partner con cui crescere e confrontarmi. Come a dire, un eterno soliloquio in cui ho sempre, ovviamente, ragione io. Come a dire, l’incapacità di costruire delle relazioni tra diversi…. ovvero l’elogio della masturbazione !!
Di più, la tua stessa forza, la tua stessa “sfera fisicoemotiva”, sono motivo per riconoscermi, per rispecchiarmi.
Tu, confliggendo, mi presenti soluzioni che io non conosco; tu, confliggendo, mi presenti uno specchio in cui posso vedermi “nudo”, tenendo lontano gli usuali meccanismi di difesa che adotto nel quotidiano: evitamenti, proiezioni, egotismo, ecc.
La prassi fisicoemotiva che ne risulta è terapia, nel significato fondante di assistere, aiutare, servire, l’artista marziale nel suo cammino di individuazione, di crescita adulta autodiretta fuori dal Dojo, nella vita di coppia come al lavoro, con i figli, con i genitori, ecc.
Per questo, mutuandoli dall’Analisi Transazionale, definisco:
“passatempi proiettivi”, laddove due individui si incontrano ma non si includono, non partecipano pulsioni ed emozioni, in quest’incontro;
“giochi”, laddove l’individuo cerca la rassicurazione di sé manipolando l’altro o la situazione senza coinvolgere l’Io adulto e portando il “gioco” sul terreno di emozioni sgradevoli di cui non si assume alcuna responsabilità;
quelle pratiche marziali, di combattimento, in cui:
si praticano forme, esercizi, pignolerie tecniche memorizzate in “fotocopia” che, da sole, di per sé, condurrebbero all’efficacia marziale quanto al benessere, alla salute. Ma in virtù di cosa, questo dovrebbe accadere ? Sorta di prassi ossessivo-compulsiva che rassicuri il “bambino” indifeso e bisognoso di certezze;
si cerca lo sfogo fisico, pompando la muscolatura superficiale ed istruendo un percorso di carica e sfogo in cui sopraffare il compagno, un percorso di accumulo di rabbia e tensione che, come in un vicolo cieco, va a sfogarsi sul compagno. Lungi da costoro il pensiero che tensione possa essere risposta di interesse davanti a occasioni stimolanti, tensione e attività, tensione e ricerca interiore, tensione e conoscenza di sé, tensione e creatività: ma no, solo scarica !! Poi, una doccia, e a casa e al lavoro, infilati nella coazione a ripetere, nel solito “copione”, il ruolo che, inconsciamente e forse anche vigliaccamente, recitano sulla scena della vita per rendere gli eventi più prevedibili, accettabili, rassicuranti… per non confliggere !!
Ecco, già imparare a dire “No!”, prima di tutto ai noi stessi, alle nostre fughe, ai nostri evitamenti, per guardare in faccia chi siamo, come ci relazioniamo, dove stiamo andando, è un gradino fondamentale per chi pratichi allo Z.N.K.R., per chi pratichi “formazione guerriera”.  Poi un “No!” utile a stare nel conflitto relazionale senza  guastare il rapporto, senza fare dell’interlocutore il problema.
Poi…. e la pratica marziale sana, autentica, da noi, allo Z.N.K.R., continua …….

“L’azione senza un pensiero di metodo e di teoria rientrerebbe in quelle proposizioni fatte prima sul pazzo che fa le cose per niente o sul delinquente che fa lesioni ad altri soltanto per proprio vantaggio personale
(M. Fagioli)










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