lunedì 27 maggio 2013

Raduno ed esami Kenpo - bimbi e ragazzi


“Occorre coraggio piuttosto che divieti”
(D. Novara)

Milano.
Honbu Dojo Z.N.K.R.



Domenica 26, quattordici tra bimbi e ragazzi a cimentarsi nella pratica del Kenpo.





















Quattordici giovanissimi kenpoka entusiasti e vivaci, timidi e impacciati ma tutti generosi nel portare molto di sé sulla scena dell’Arte Marziale e, con essa , del vivere quotidiano,
Giochi di immaginazione, camminata in cerchio, giochi di equilibrio sulla fit ball.
Pugni pesanti sul corpo, senza possibilità di difendersi, anche cantando a squarciagola per trovare, con la capacità di respirare ed insieme aprire la gola, la disponibilità a reggere le situazioni più sgradevoli, quelle in cui siamo da subito in posizione down.
Elogio della disponibilità, dell’apertura, questo sono le Arti Marziali, il Kenpo, come noi lo pratichiamo e lo offriamo. Nessun “machismo”, nessuno sfoggio di durezza, di io ipertrofico.
Gentilezza e fermezza sono le metà di un intero e soltanto insieme formano la vera Via del kung fu”. (Bruce Lee).
 Così, mentre i giovanissimi si cimentano nelle cadute, imparano che le cadute  sono chiamate ukemi, in lingua giapponese. "Uke" deriva dal verbo "ukeru", ossia "ricevere", mentre "mi" è uno dei modi di dire "corpo"... ukemi quindi è "il corpo che riceve". Non più io corpo che, aiuto !!!, cado al suolo. Piuttosto io corpo in grado di  adattarmi, mutare repentinamente per far fronte ad una situazione nuova, inaspettata, subita, anche sgradevole, come perdere l’equilibrio, ossia perdere le mie certezze.
Così, mentre impugnano un kenmousse, si cimentano con una manualità resa diversa dal relazionarsi con un oggetto, con un diverso rapporto spaziale.
E il “randori d’entrade”, dove vince solo chi meglio collabora con l’altro, meglio scambia risorse e scarsità, meglio ascolta le proposte lottatorie dell'altro ed esprimere liberamente le proprie.
E il momento all’aperto. Per rotolarsi a terra senza schifarsi per un po’ di fango o di escrementi animali, per affrontare lo sguardo e l’attenzione di chi ci è estraneo.
La consegna delle cinture. Rito antico che ripropone la profondità della “Trasmissione”, l’appassionante fatica del crescere, le prove di iniziazione all’età adulta.
Poi, insieme a giocare, ridere, mangiare e bere
Minuscola comunità di individui, giovani e non, in cerca di sé e del proprio stare bene al mondo.

“Don Juan mi spiegò che la spietatezza, l’astuzia, la pazienza e la gentilezza sono l’essenza dell’agguato. Sono le basi che devono essere insegnate per gradi, attenti e meticolosi, insieme a tutte le loro ramificazioni”
(C. Castaneda)

Un grazie enorme ai giovanissimi kenpoka per l’entusiasmo dimostrato. Ai genitori, nonni, parenti ed amici presenti che hanno così testimoniato la loro vicinanza al percorso “guerriero” dei bimbi e dei ragazzi. Ai Maestri Giuseppe (Gli Erranti di Milano) e Valerio (DAO San Benedetto d.T) che hanno condiviso la guida del Raduno. A Donatella, Angelica e Giovanni che si sono prestati “da spalla”. All’Insegnante Celso per l’ottimo lavoro che, nel corso bimbi & ragazzi, svolge con passione e competenza.
A giorni, su SHIRO, il nostro periodico disponibile anche on line su questo blog, altre foto ed i commenti di alcuni praticanti.















Debutto a teatro


Beh, parole forse un po’ “grosse” ma … Lupo, Sabato 25, ha concluso il suo primo anno di corso di teatro, presso il circolo A.R.C.I. Ohibò, recitando nel “Mago di Oz”.
Ovviamente, fui molto contento quando Lupo, in autunno, decise di iscriversi al corso. Mi piaceva l’accoppiata Kenpo e Teatro. Mi piaceva perché mi risuonava Bun Bu Ryodo, il motto nipponico che privilegiava, per un samurai, la doppia Via della guerra e della cultura; mi ricordava il rinascimentale “penna e spada”, ovvero l’invito all’azione e al pensiero; calcava alla perfezione l’esperienza della nostra Scuola, lo Z.N.K.R., che, tra la metà degli anni ’80 e la fine dei ’90, ha messo in scena più d’uno spettacolo di “Teatro Marziale”. Questi erano spettacoli in cui la gestualità marziale, il nostro lavoro marziale, dava voce a poesie, fiabe, racconti; in cui costruivamo costumi e maschere, mixavamo musiche, rielaboravamo testi di altri o ne scrivevamo di nostri. Esperienza unica in Italia  e che ci ha visto presenti in diversi teatri milanesi come in feste all’aperto, ospiti di manifestazioni sportive e concerti rock.
Mi piaceva perché non era la solita scelta del nuoto o del calcio, ma privilegiava l’espressone emozionale che in Lupo è così sviluppata.
Allora, eccolo in scena nella parte del “leone fifone”.
A fine rappresentazione era felicissimo di sé e orgoglioso dei complimenti che i genitori degli altri bimbi gli rivolgevano, delle parole del suo docente che lo incoraggiavano a continuare l’avventura teatrale.
Una esperienza che Lupo ha già detto di voler proseguire la prossima stagione. Ed io ne sono stracontento.
Un grazie a Giovanni, che è venuto a sostenere la fatica di Lupo; a Giuseppe e Donatella che si sono anche premurati di truccarlo.




martedì 14 maggio 2013

Andragogia marziale e non solo



"Ricordati che quando punti l'indice verso una persona, tre dita della mano puntano su di te"
(proverbio indiano)

Oggi scriverò di didattica (come insegnare / imparare ) ed andragogia (l’apprendimento negli adulti).
Ne scriverò evidenziandone tre caratteristiche proprie della nostra Scuola.
Partiamo da un dato, conosciuto secoli or sono nella cultura taoista e riconosciuto oggi da neuroscienze e psiconeuroendocrinoimmunologia.
Cioè che l’uomo, composto da più tratti psicologici in conflitto e combutta tra di loro (1), si ritrova poi uno, indivisibile, il cui corpo è uno spazio, un luogo dove il pensiero pervade ogni organo, ogni apparato, ogni scambio cellulare. Per identico principio, vale anche l’opposto: tutte le molecole e gli scambi chimici, e di conseguenza energetici, che si generano nel nostro corpo, danno forma al pensiero e si evolvono in una forma mentale.
Un complesso fisicoemotivo di cui ho già ampiamente scritto in altre occasioni, sia sul blog che sulle pagine di SHIRO, il nostro periodico.
Allora, la nostra didattica e la nostra andragogia, quelle con cui affrontiamo il percorso marziale, si sostanziano di
Una vulnerabilità (2) interna
Partire da sé, da ciò che sappiamo come da ciò che, strada facendo, scopriamo di … non sapere. Aprirsi alle proprie risorse interne, accettare e ri – conoscere pulsioni ed emozioni per farne strumento di apprendimento e di relazione con l’ambiente. Il praticante non si plasma su ciò che viene da fuori, non ripete. Questi relaziona sé e il contenuto propostogli non come accumulazione, perché nulla del combattere ( come di ogni agire primordiale ) gli è del tutto nuovo, ma come una specie di cassa di risonanza interna.
Una dimensione sostenibile
Attraverso lo stress del combattere, il praticante scopre le proprie risorse. Ovvero la formazione marziale come attivazione e potenziamento di quanto già è in lui a partire dagli stimoli interni (emos – azioni, cioè “moti d’animo propulsori di qualunque movimento, compreso quello di contrattura frenante o difensiva”. S.Guerra Lisi & G. Stefani: Il corpo matrice di segni ) ed esterni ( le situazioni motorie a solo, in coppia e di gruppo, in cui viene coinvolto dal Sensei). Egli accorda le proprie risorse fisicoemotive con gli accadimenti marziali della formazione,  che divengono occasione di ulteriore conoscenza e rafforzamento personale. Un percorso di apprendimento e crescita che, per dare i suoi frutti, deve essere sostenibile dal praticante, ovvero fonte di eustress ( lo stress “buono”) e non di frustrazione, fonte di cadute in cui gli sia sempre possibile rialzarsi e non di cadute nel vuoto o di KO risolutivi della sua autostima: “Dentro un ring o fuori non c'è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra”. Mohamed Ali)
Una corrispondenza relazionale
Ovvero il Sensei, “colui che è nato prima”, è guida alla formazione, facilitatore sulla via dell’apprendimento e non Maestro, ovvero unico depositario del sapere che, dall’alto dello stesso, dispensa agli allievi.
Con lui, opera il gruppo, luogo insieme di accoglienza (nessuno giudica nessuno) e regressione ( tutti lavorano sulle pulsioni, sul primitivo che sonnecchia in ognuno di noi).
Nel gruppo vige:
la risonanza, laddove il vissuto di uno risuona dentro l’altro, stimolando dimensioni e conflitti che ognuno sperimenta in modo personale, ma dietro induzione gruppale;
il rispecchiamento, laddove ognuno guarda gli altri per vedere se stesso, ovvero sugli altri mette scene del suo mondo interno per poterle vedere e ri-conoscere. Scene che il gruppo gli rimanda ogni volta reinterpretate dal gruppo stesso.

Il motore della pratica marziale, anche e soprattutto nei suoi aspetti terapeutici (3) di individuazione e crescita / consolidamento del sé, è la relazione: i calci ed i pugni, le bastonate e le coltellate, i giochi di coppia,  sono in primo luogo il modo di costruire le condizioni perché possa esprimersi in modo produttivo la capacità creativa del singolo nel gruppo.

Il metodo di apprendimento è la formulazione di domande pratiche, di koan zen fisicoemotivi, che inducano il praticante ad attingere alle sue risorse personali, alle sue energie istintuali, per risolvere le situazioni di lotta. Con ciò imparando a conoscere ed accettare le sue parti Ombra (ovvero quei sentimenti e ed emozioni repressi e/o rimossi da ognuno di noi in quanto ritenuti brutti, cattivi, socialmente non accettati; dunque anche l'insieme delle funzioni e degli atteggiamenti non sviluppati della personalità )  e a formarsi adulto equilibrato e coraggioso.

Imparare a lottare nel Dojo come metafora e metonimia del confliggere quotidiano. La formazione marziale per saper affrontare le relazioni nel lavoro, in famiglia, interpretandone le difficoltà non come un ostacolo da abbattere o da cui fuggire, un conflitto da risolvere, ma un’occasione di crescita e trasformazione. Questo proprio grazie a quegli stessi aspetti conflittuali che, in realtà, … arricchiscono le relazioni!!


1.       Quante personalità si aggirano nella psiche di un individuo ? E come fanno a stare insieme ? Quanto forti sono le tendenze all’aggregazione tra queste diverse parti e quanto quelle alla dissociazione, alla separazione ?” (C. Risé: ‘Diventa te stesso’).
2.       Sul tema della vulnerabilità, rinvio al pensiero di Brené Brown.
3.       Terapia marziale ( da non confondersi con la medicale “terapia del ferro” ) è da intendersi come pratica del confliggere fisicoemotivo, del combattimento corpo a corpo, quale percorso di individuazione ( “L’individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale” C.G.Jung ) e potere personale, di crescita adulta ed autodiretta, di capacità nel sostenere i conflitti relazionali quotidiani.

Post illustrato con immagini del Raduno Kenpo adulti di Sabato 11 Maggio.






giovedì 2 maggio 2013

Il ... gusto di vivere


Anche, o proprio ?, quando piango, quando sento il temporale crescere dentro di me, farsi tempesta inespressa, ecco, allora, io vivo.

L'acciaio letale dei katana
“La maturità psichica è la capacità di essere solo in presenza di un’altra persona”

Amare vivere. E’ questa la forza potente  che fronteggia la disumanizzazione.
Il piacere di vivere. E’ l’atteggiamento fisicoemotivo grazie al quale l’ambiente in cui siamo e il nostro agire in esso ci appaiono degni di interesse, forieri di scoperte eccitanti quanto dispensatori di certezze rassicuranti.
Non scrivo, qui, di una superficiale euforia, di un “abbigliamento psichico” in stile New Age, di una impalcatura mentale edificata sui comandamenti dello yankee “pensiero positivo”.
Qui scrivo di un pensiero e di un fare profondo.

Come tale, da un lato
Lupo, nove anni, giovani guerrieri crescono
-       fa i conti con l’individuo, con le mille sfaccettature che ci fanno unici. Contrapponendosi, sovrapponendosi, confliggendo con l’Ombra e le pulsioni, i ruoli e le maschere, l’educazione sociale e le paure mai esplorate, le proiezioni sugli altri e l’aggressività repressa.
Un percorso tortuoso, fatto di esperienze e riflessioni crude sulle esperienze stesse; di prassi che si fa teoria per poi tornare prassi. Una prassi che, per chi percorra la Via del Guerriero, è atteggiamento critico verso il costituito e rifiuto di ogni forma di ignoranza. Prassi profondamente umana.
dall’ altro
-       tenta la connessione con quella che il filosofo Teilhard de Chardin chiamava “l’Energia di Evoluzione universale”.
Un’Energia che attinge agli strati più primitivi e, dunque, incontrollabili di ogni essere umano. Energia che è in ognuno di noi ma sta a noi coltivare ed espandere.

Il guerriero ( colui che sa stare nei conflitti ) vive l’esperienza marziale, il combattimento fisicoemotivo, come potente inno alla vita proprio riconoscendo e (simbolicamente) dando la morte.
Egli  agisce coinvolgendo consapevolmente il piano emozionale personale e, con ciò, investendo anche i piani culturali e sociali.
Sorta di divinità guerriera, si connette, nei momenti di tensione più lacerante, di coscienza espansa, con il mondo degli archetipi,  simboli delle medesime energie primarie che animano ed originano i comportamenti umani, impronte presenti nella psiche a mò di  eredità genetica, inconscio che da individuale si fa collettivo.
Dentro il caschetto, la vitalità esuberante di Davide
La pratica marziale, per come la intendiamo allo Z.N.K.R., mostra così la sua essenza di metalinguaggio che rappresenta le correnti logiche ed emozionali della psiche umana e permette loro, in un ambiente protetto costituito dal gruppo, ovvero altri individui guerrieri che condividono abbigliamento e gesti e riti e la stessa pratica violentemente conflittuale, di usufruire di un contenitore spazio – temporale.  Esso legittima i continui passaggi dal reale al sovrannaturale, dal cosiddetto normale all’espanso / alterato. Esso legittima l’ardua ricerca di sé e di come stiamo al mondo.
E’ questo che io propongo a chi varca la soglia del nostro Dojo.

“Ciò che la ( castrazione ndr) rende mostro  terribile, gli uomini tutti assassini e cannibali, è il dominio della ragione astratta che condanna e reprime e non comprende e non trasforma”
(M. Fagioli “Bambino donna e trasformazione dell’uomo”)


Nel biancore della neve, il saluto