martedì 31 marzo 2015

Delirio Gender


“L’antitesi Oriente-Occidente non ha più alcun senso, ma senso ha invece e soltanto la nuova antitesi fra coloro che in ogni terra tornano a riconoscere il diritto di una superiore visione spirituale come principio di civiltà e coloro che tutt’ora appartengono al mondo crepuscolare, decomposto, barbarico, disanimato dell’“età oscura”
(J. Evola)

 Non dovrà più essere considerato “normale” riprodurre le immagini preconfezionate e stereotipate dei ruoli tra donne e uomini. E questo è un cambiamento che investe soprattutto l’identità maschile: gli stereotipi di genere sono una ‘gabbia’ per gli uomini, per la loro capacità di leggere i propri desideri e aspirazioni e perché li rende incapaci di rispettare e accettare la libertà femminile”, queste le testuali parole con cui l’onorevole Valeria Fedeli presenta sul suo sito  il DDL 168,di cui è prima firmataria, teso a qualificare l’educazione di genere come insegnamento di Stato.

Ma cosa è, per la signora e chi la sostiene, l’educazione di genere ?
La teoria del gender, distinguendo il genere dal sesso, afferma  che il sesso sia interamente “natura” e il genere interamente “cultura”.
Questo di contro a chi, esistendo il genere femminile e quello maschile, sostiene che questi in primis sono determinati soprattutto da una componente biologica che, in gran parte, definisce le condotte, i comportamenti, l’approccio alla realtà e la visione che si ha del mondo. Le differenze tra uomo e donna non sono originate da fattori culturali, ma anzi spesso sono le convenzioni a essere direttamente determinate dalle necessità dell’ambiente. E “queste necessità si manifestano in modo diverso nei due sessi”  (E. Marino)
A ribaltare  quest’ordine immanente è proprio la teoria del gender, che va di pari passo all’ambizione di affrancarsi da qualsiasi tipo di limite e di predeterminazione in nome dell’individualistica pretesa di libera disposizione di sé, ovunque e comunque.
La Fedeli, e tutta la corrente di pensiero “politically correct” che imperversa sui media, sui social network e nei salotti “buoni”, inneggia ad un anti-naturalismo per cui non esiste una natura umana e questa non gioca nessun ruolo nella costruzione dell’identità sessuale, pervasi  dall’idea di stampo illuminista secondo cui l’umanità sarà tanto più sviluppata e civile quanto più sarà in grado di affrancarsi dal contesto biologico e naturale.
Questo processo si attua mediante una retorica sui “diritti”, con cui si afferma che la “decostruzione” dei ruoli sociali che attribuiamo a ciascuno dei sessi è fondamentale  per edificare una società di uguaglianza reale.

La differenza di genere è vissuta come una gerarchia imposta, l’uguaglianza vuole arrivare all’indifferenziazione e creare un mondo in cui l’eterosessualità non sia più normale.

La nuova normativa introdotta con il DDL168  decide che l’istruzione in materia di famiglia e sessualità sia data in appalto a enti  extrascolastici i quali  intervengono sulle scelte inerenti materiali didattici, corsi di formazione per docenti, alunni e genitori, modifiche dei programmi scolastici stessi  e organizzazione di conferenze ad hoc.
by ptunink
Questo tipo di insegnamento, dunque,  si fonda sulla distinzione tra sesso e genere: il sesso è visto  solo come un corredo genetico, un semplice insieme  di tratti biologici che nutrono la distinzione maschio/femmina, il genere è invece quell’insieme di fattori culturali e convenzionali che strutturano il bagaglio biologico, dando origine alla diversità dei ruoli e degli status dell’uomo e della donna. Insomma, per costoro, se il genere è un costrutto socioculturale, sono fattori non biologici a condizionare il nostro crescere come uomini e donne e a incasellarci in determinati ruoli (di genere) ritenuti consoni all’essere femminile e maschile.
Perciò se si è maschi, ciò non significa  che sia naturale e dovuto comportarsi da uomini. Viene detto, di conseguenza, “stereotipo di genere” il semplice fatto che un bambino giochi con dei soldatini piuttosto che con delle bambole o che una donna porti una gonna piuttosto che dei pantaloni.
Ovviamente, la Fedeli e tutti queste pecorelle del gregge,  non ha mai sentito parlare dell’esperimento, condotto in un kibbuz israeliano in anni non sospetti, in cui bambini e bambine vennero allevati / educati dalla comunità senza distinzione alcuna né nei ruoli, né nei giochi. Furono spontaneamente gli stessi bimbi, nel corso della fanciullezza, a prendere orientamenti diversi, atteggiamenti diversi e giochi diversi: Natura docet !!
Secondo i sostenitori della supremazia del gender, l’identità di genere si forma lungo la fanciullezza, grazie a fattori socio-culturali quali la famiglia e la scuola, ed è perciò proprio in quell’arco di tempo che occorre intervenire per superare i ruoli e gli stereotipi.
Un simile approccio, si badi bene va oltre il riconoscimento della parità dei sessi, ma interviene a manipolare  le identità dell’uomo e della donna. Poi, fino a che punto è legittimo non dare dei riferimenti a un bambino? E soprattutto, eliminare ( sempre che sia possibile !!) le differenze in nome di un ibrido modello unisex, valido per entrambi i sessi, non sfocia in un “cul de sac” in cui  nessuno dei due sessi troverà  un compimento naturale?

Particolarmente idiote mi suonano poi le parole  con cui la Fedeli bolla il maschile.
Avete presente quell’orchestra monocorde che, da un decennio circa, suona la stessa melodia della supremazia della donna in ogni campo del fare e del sapere umano ? Quella  che passa attraverso convegni scientifici (!?) quanto reiterate gags da avanspettacolo, dichiarazioni di uomini pubblici quanto inchieste sui giornali “rosa”? Del tipo “Se la politica fosse in mano alle donne sì che andremmo meglio”, ed io penso a Margaret Tachter, Condoleeza Rice, Sarah Palin, o, in casa nostra, a Irene Pivetti, Maristella Gelmini, Alessandra Mussolini, Marianna Madia, Mara Carfagna, Elsa Fornero, Renata Polverini, Rosa Russo Iervolino, Dorina Bianchi, Maruska Piredda, Marylin Fusco, Eleonora Cimbro, Michela Vittoria Brambilla, Sandra Lonardo. Devo continuare ?

by eugene - kukulka
No, signora Fedeli, noi  maschi non abbiamo bisogno di un “aiutino” per essere migliori e per “rispettare e accettare la libertà femminile”.
Ci basta lottare contro le idee su sessualità e genere e la prepotenza subdola di gente come lei. Contro  la cacciata dell’uomo dal suo habitat culturale maschile di riferimento: “sobrietà, ricerca del senso, addestramento delle proprie forze, rapporto con la natura incontaminata, elevazione verso l’alto” (C. Risè)
Quell’habitat che proprio grazie a lei, rampante moglie del potente senatore Passoni, vero ?, e a chi come lei vive ed esercita il potere godendo di una società di consumismo sfrenato ed irresponsabilità dilagante foraggiati economicamente e intellettualmente da potentati finanziari di ogni sordida risma, è oggi ridotto una sorta di discarica di oggetti artificiali. Un habitat divenuto becero culto dell’immagine, sciocca piazza virtuale per amicizie e valori di cartapesta, scarti d’idee mal consumate atte all’arricchimento di promotori d’interessi economici in combutta con la politica, amministrate da organizzazioni burocratiche e statali sempre più antidemocratiche e lontane, addirittura ostili, alla gente.
Anche contro di lei, onorevole (?!?) Fedeli, anche contro di lei, per ciò che lei rappresenta e per come lei offende i valori di coraggio, autodeterminazione e il senso profondo dell’identità maschile, la sua relazione con il femminile, il significato simbolico del sesso biologico, l’importanza della presenza paterna nell’educazione dei figli; il maschile come custode  e leale donatore del sapere naturale e della forza dell’istinto, mi onoro di battermi ogni giorno, in famiglia come al lavoro,

 “Il maschio selvatico è l’uomo che vuole essere se stesso, assumendosi ogni responsabilità derivante dal suo essere creatura, di genere maschile”.(C. Risè)

  


giovedì 26 marzo 2015

La meravigliosa arte della seduzione


“Alcune volte vinci. Tutte le altre volte, impari …”
(detto giapponese)

by newcastlemale
 Frammenti di cielo alle mie spalle. Striature blu come vene sulla superficie della pelle, ma la pelle questa volta è  una fragile coppa grigiastra. Sotto di essa, spuntano rami secchi,   dita scheletriche per tronchi incerti nel loro risalire, tendere all’alto.
Mi muovo in uno spazio angusto, tra sedie, scrivania e pochi mobili. Alle pareti la bandiera del TAO, i nunchaku e l’anello di bambù del Wing Chun. Poi alcuni quadri che offrono frasi motivazionali ed ancora oggetti d’Oriente: Il bokken di bianco legno levigato, il porta incensi …
Chiuso in ufficio, ripercorro le strade del Tai Chi Chuan.
L’ampia finestra che dà sul parco illumina di un candore debole la stanza. Io scivolo sinuoso, quasi elegante, fendendo l’aria immobile. Odori di essenze, eucalipto e menta, si levano tra le volute del fumo che il vaporizzatore sciorina come stanche litanie di un rosario senza tempo.

Le sorti di ogni conflitto, di ogni contrasto, sono per lo più affidate alla capacità del contendente di poter contare sul maggior numero possibile di opzioni; di scegliere strategie differenti e, in esse, avvalersi di più tattiche; di anticipare i mutamenti o, almeno, sapersi adattare rapidamente.
Dunque mi muovo impetuoso in attacco, onda furibonda e cieca di ogni possibile ostacolo, per poi sgusciare via lontano dalle fauci aperte della fiera che ho di fronte; ne avvolgo l’ostilità tra forme e gesti spiraloidi che danzano nello spazio cerchio dentro cerchio, cerchio sopra cerchio per poi, di nuovo, piombare diretto e frontale.
Alterno, confondo, mescolo, novello alchimista del combattere, gesti e spostamenti come fossero materiali per chissà quale intruglio, chissà quale miracolo di trasformazione. Espongo e nascondo, giochi di irriverente destrezza, danza di un potere occulto come fossi un illusionista: un po’ spavaldo e malvagio Dark Shneider, un po’illuminato dottor Strange.
Escapologia, l’arte dell’evadere, mai disgiunta  dal feroce spirito  guerriero di un berserker, i combattenti nordici animati da potente trance distruttiva, o di un samurai, il cui voto alla morte conduceva a duelli impossibili.
 
by MorganeS
Danzo Tai Chi Chuan, accogliendo ogni sensazione, in questo che è un percorso fisicomoetivo.
Di più, scelgo ogni sensazione come fosse un’arma, come un’arma la conosco nelle sue possibilità, come un’arma la brandisco per quello che è in grado di fare.
Guai a sbagliarsi, a confondere scudo con coltello, a credere di tranciare con in mano una lancia o tirar di stoccate con un machete, di giostrare di lancia in uno spazio angusto e chiuso o di schermare con una scure.
Umiltà nell’accostarsi alle sensazioni, alle emozioni, a chi le “armi” ce le mostra e ce ne propone il differente uso. Dunque anche umiltà verso noi stessi, che siamo i primi nostri stessi “Maestri d’arme” se lo vogliamo davvero, e coraggio nell’imparare. Anche quando ciò costa fatica e dolore, la fatica del nuovo che non si conosce e il dolore del vecchio da cui ci allontaniamo. Via la maschera, la corazza delle frasi, degli atteggiamenti che ci diciamo per sminuire noi stessi o il “Maestro d’armi” che ci sta davanti, ma in realtà diamo solo fiato al nostro orgoglio di bambino bizzoso.
Quando l’istruttore di sci ti spiega di tenere il peso a valle, subito, d’acchito, ti rifiuti , temendo di perdere l’equilibrio e di cadere, che il peso a monte ti rassicura. Certo, sei già disceso, a tuo modo, sulla neve, ma quel tuo incerto “spazzaneve”, tra tentennamenti e cedimenti, lo chiami davvero “sciare” ?. Quando l’istruttore di roccia ti spinge a tenere distante la parete così da vedere gli appigli, tu ti ci appiccichi, temendo il vuoto e la caduta. Certo, da ragazzo, ti sei già arrampicato sull’albero in giardino o sul muretto dietro casa, ma quel tuo goffo salire di un paio di metri, tra sbuffi e rantoli e smanacciate, lo chiami davvero “arrampicata” ?
 
Come ti stai emozionando, ora  ?
Da cosa stai fuggendo, ora ?

Torace caldo, umido dei primi sentori di sudore sotto la maglia. Davanti a me, sulla porta chiusa, campeggiano disegni e bigliettini di mio figlio Lupo: sono anni di innocenza e fanciullezza aperti sul presente. Un presente che, ora, lascia la danza del Tai Chi Chuan per incontrare i primi clienti.
Tra poco, entrerà Debora. E’ il secondo colloquio a distanza di due settimane. Starà a me accompagnarla lungo un confronto che so già intessuto di “Tanto ti assumono solo se conosci qualcuno”, “Mica sono l’unica disoccupata”, “Io volevo fare l’artistico, ma i miei genitori non hanno voluto” ecc. ecc.
OK ma … se saprò danzare Tai Chi Chuan, una danza col culo seduto sulla seggiola ma danzata di immagini e frasi e ascolto e affondi ed evasioni e attacchi improvvisi per poi ritirarmi e lasciare a lei l’iniziativa; domande aperte che la conducano verso domande chiuse; se saprò comunque scegliere strategie e tattiche adattandomi a lei ed alla sua specifica situazione, forse aprirò il conflitto verso nuove vie, forse lei vedrà una strada da seguire invece di fermarsi nel pantano dell’autocommiserazione, nel giardino sfiorito in cui vegeta tra alberi stortignaccoli, miasmi prepotenti ed una siepe buia e alta che le impedisce di vedere l’orizzonte. .

Dipenderà molto dal mio variegare, flettere e lanciare il mio Tai Chi Chuan

 “Non importa dove vai. Dappertutto le stesse stronzate. Le persone hanno bisogno di qualcuno da odiare. Li fa sentire più forti e sicuri di sé. Li unisce”.
(R.K. Morgan)
 
 


martedì 17 marzo 2015

La grande festa


“Se riuscirai a mantenerti sempre nel presente, sarai un uomo felice. La vita sarà una festa, un grande banchetto, perché è sempre e soltanto il momento che stiamo vivendo”
(P. Coelho)

 Siamo in quaranta, un gran bel numero !!
Praticanti ed accompagnatori / accompagnatrici; bambini, bambini di ogni età, come a dire che la vita scorre e possiamo essere fiduciosi verso il futuro.
Il luogo è l’Agriturismo “La Corte Ghiotta”, nel pavese. Bella la scelta di tornare là dove, a Maggio del 2014, abbiamo svolto la Formazione notturna, “La Notte del Guerriero”, là dove Angelica, Alessandro e Davide hanno ricevuto il loro shodan, diploma e cintura nera 1° grado.
Sono loro, con il nidan Celso, i festeggiati.

Sì perché, come da Tradizione, i …”danati” (!!) offrono la cena ai compagni di pratica: segno e simbolo di un ringraziamento perché, senza costoro, non sarebbero saliti, grado dopo grado, fino alla “nera”. E, con i presenti, è un simbolico offrire a chi c’era quando hanno iniziato ed ora ha preso strade diverse o ha smesso di praticare, come a chi è venuto dopo, quando la “nera” era già stata raggiunta. Questo perché sia chi c’era e non c’è più, come chi è venuto dopo, sono la stessa eppure mai identica acqua che scorre nel fiume della pratica, nel fiume che è lo Z.N.K.R.
Una festa che comprende pure quei volti, nomi lontani, anche di chi c’era negli anni ‘80 ai primi passi dello Z.N.K.R. e nessuno di chi pratica oggi, eccetto quei due o tre “grandi vecchi”, ha conosciuto. Come volti, nomi recenti, recentissimi, di chi veste il kenpogi neroblu  da pochi mesi. Comunque, comunità di “guerrieri” che, attraverso la pratica fisicoemotvia del confliggere, del lottare,  scoprono l’intensità e la ricchezza della diversità, del confrontarsi insieme per crescere.

L’individuo non è una monade, egli esiste all’interno di una vita che è rete collettiva. Prima di nascere, ognuno di noi già esiste nelle attese e nelle speranze di altri: I genitori, i gruppi sociali. E questo accade anche come esseri relazionali, ovvero noi esistiamo già dapprima nelle aspettative di chi ci precede, di chi  ci connette all’ambiente in cui entreremo.
L’individuo, sin dai primi passi, è legato a fattori relazionali di diversa natura: relazione materna e paterna, gruppale con i coetanei a scuola, ecc.
Insomma, l’individuo che con gli anni  si scopre anche “molti individui” dentro di sé, pure nasce e cresce da e dentro un campo gruppale, un campo fatto di molti gruppi grandi e piccoli.

La nostra Scuola è uno di questi gruppi e, in sintonia con l’affermazione di “Scuola di Formazione Guerriera”, si propone, per il praticante, come luogo di conoscenza di sé e di crescita in grado di guidarlo ad apprezzare ed amalgamare i molti sé che lo compongono; come laboratorio di sperimentazione fisicoemotiva perché poi si esponga alle relazioni altre con rinnovata consapevolezza, coraggio ed autenticità.
Ridare all’individuo il senso del corpo come habitat di conoscenza e potere, come casa del mondo reale attraverso i sensi, come rappresentazione del mondo possibile attraverso l’azione.

E oggi, Domenica 15 Marzo, siamo qui a far festa per questo. E ci sono i regali della Scuola, scelti oculatamente e con il buon gusto che sono propri di Annalisa e Giovanni: stampe made in Japan dal prezioso “Sakura” di Milano. I regali miei: una scatola a libro per Angelica, poi, da “Martial Training Shop”, karambit d’allenamento per Alessandro e Davide, un coltello d’allenamento per l’Insegnante Celso.
Ma, e soprattutto, ci sono, con l’ottimo cibo dell’Agriturismo divorato in una caratteristica sala dalle ampie volte, con lo spazio aperto immerso nel verde, e i cavalli e le capre, ecco ci siamo noi della Scuola. A portare e condividere risate, scherzi, pacche sulle spalle e tanta, tanta sincera voglia di stare insieme.

 “Le feste si fanno con gli amici perché con i nemici non vengono bene”
(P. Caruso)





lunedì 16 marzo 2015

Sporchi piccoli segreti


“Polemòs pater omnia”
(Eraclito)

 
Il giardino ci accoglie, sereno come sempre. Rami pendenti ed erba verdastra, rifugio dell’ultimo inverno, che inverno non è stato e preludio di una primavera ancora lungi dal venire. Uomini, donne, bambini, distratti lontani, semplici comparse in quello che è il nostro personale film: il Wing Chun Boxing, oggi, giorno Sabato 14 Marzo.

Un praticare intessuto di segreti, porte nascoste alla luce ottusa, ai piedi ed alle mani della moltitudine vociante che si accalca nel  gran circo del Wing Chun / Wing Tsun. Sotterranei e cunicoli per attraversare di soppiatto le piazze del mercato, dove venditori di ogni tipo reclamizzano a gran voce la loro merce. Un mercato sgargiante di omaccioni corpulenti quanto di rachitici figurini, sgargiante di gesti macchinosi e pressioni grossolane, sgargiante di furti meschini ad altre Arti, altri sport per tenere loro testa o di improvvisazioni per stare alla moda che chiede ninnoli e giochi per tutte le età, sgargiante di spalle contratte e volti truci. Altresì povero di valore guerriero.

Segreti sporchi, nel loro volere la distruzione, l’annientamento del nemico. “Chiodo fisso” di sgretolamento, di prevaricazione. “Cuneo” armato di ferocia animalesca che si fa acqua densa e impetuosa.

Gomiti a cui si chiede la sensibilità e l’intelligenza che, nel quotidiano, sono invero le mani a gestire, a cui si chiede il taglio lacerante e l’affondo dilaniante che invero sono propri del coltello. Corpo, stato fisicoemotivo, che imprigiona l’avversario, tenendolo a disposizione, costringendolo sottomesso.

E sono colpi e squilibri, sono pura devastazione, sono spostamenti rapidi e invisibili, fumo leggero contro cui nessun osso o muscolo, nessun vento, potrà mai nulla, se non andare a morire. Pretesa machista contro arte della guerra.

Pratica dura, sofferta, perché tinge di un nero cupo e mortifero ogni colore dentro, perché sbocca di viola carico di pulsioni profonde, perché dialoga col rosso del sangue.

Pratica di formazione al confliggere, al relazionarsi, quando la ragnatela di sporchi piccoli segreti mostra la tana della verità, la trama delle collusioni e delle diaspore. Mostra l’arte del combattere, ghigno di sangue in movimento, come metafora e metonimia dell’arte del relazionarsi, del negoziare.

Sporchi piccoli segreti, ogni giorno più “segreti” per chi ami e condivida il Wing Chun Boxing. Agli altri, ai mercanti della piazza, quelli della piazza “virtuale” come della piazza “palestra”, la soddisfazione del loro ego ingrossato.

 
“Le mie scaglie sono come scudi dieci volte più possenti, i miei denti sono spade, i miei artigli lance, lo schiocco della mia coda saetta, le mie ali uragano e il mio alito morte!”
(J.R.R. Tolkien)




 

martedì 3 marzo 2015

33° Kangeiko. Stage Invernale


“Due strade divergevano nel bosco ed io… io scelsi quella meno battuta e questo fece la differenza”
(R. Frost)

 Freddo e cielo sereno e vento e verde sterminato affogato nel bianco mantello della neve. Chiazze di fango scuro, melma vischiosa come bava di un enorme insetto immondo che lì si sia rintanato. Folate di aria fredda, unghiate perverse a graffiare i volti.
Pratica del combattere, formazione marziale, formazione allo scontrarsi duro e incessante, sempre mutevole. Come avviene ogni dì, con noi stessi e con gli altri. Sempre che a noi stessi non mentiamo, fingendo ed inanellando perle scadenti su di un filo che, con gli anni, pesa quanto una catena. Sorta di collana degli inganni e delle bugie, delle proiezioni sugli altri e delle fughe vigliacche da sé, che, col trascorrere del tempo, diviene una massiccia catena della schiavitù.
E siamo qui, forse, mi auguro, cacciatori di quella preda che siamo nuovamente e solo noi, cercatori di quell’oro e di quelle miserie che si trovano innanzitutto dentro di noi, viaggiatori intrepidi dentro quel territorio infinito e mutevole che, ancora una volta, siamo noi.
Altrimenti, che ci faremmo al freddo, esposti alle legnate gelide del vento o del compagno di fronte ? Che ci faremmo, nell’ora buia che raccontano le fiabe del terrore o ai primi sorrisi di un sole incerto, a tirar di coltello o a danzare Tai Chi ?
Che ci faremmo, dagli amici dell’Agriturismo “Il Palazzino, in quel di Maserno – Montese, per il nostro Tradizionale Kangeiko, lo stage invernale ?
Almeno per me, questo è il sentire autentico, anche doloroso, ma mai banale, fittizio. Piuttosto sempre a vivere di autentica vitalità, anche quando permeata dall’abbraccio dolente della melanconia o avvelenata dai miasmi acri del “mal di vivere”. A lottare con e contro una realtà psichica, fisicoemotiva, scissa ed alienata per abbracciare trasformazione e creatività, violando così i cancelli della delusione del desiderio, le pulsioni di annullamento e di stolido oblio drogato.

Danziamo Tai Chi Chuan, ascolto del corpo e traslocazioni spaziali generose, contenuto forte in una forma fluida intimamente connessa. Chi è “nuovo” all’esperienza, scopre un’Arte  ben lontana dalla ginnastica che viene mostrata, e venduta, ovunque: goffa paccottiglia di nomi cinesi, figure di una natura e di una cosmogonia animalesca posticcia, al servizio di gesti sconnessi e malconci. Scopre una fare che amplia le risorse del movimento, libera dolcemente parti del corpo prigioniere di ogni senso di colpa e di inadeguatezza, forgia nuove vie di comunicazione ed espressione artistica, fino a denudare ogni resistenza del praticante perché questa resistenza egli accolga come parte integrante di sé.

Lottiamo, ci scontriamo, di pugni e di calci, di gomitate e di leve articolari, di proiezioni al suolo e di strangolamenti, terreno grande del nostro fare Kenpo.
Facile occuparsi solo del rissare, del “menar le mani”, del prevaricare l’altro. Preferisco invece guidare i praticanti lungo l’esplorazione delle loro resistenze motorie, dei movimenti parassiti, dispersivi, forzati. Quelli che mostrano impietosi la difficoltà, persino l’ansia, dell’individuo nell’accettarsi come nell’accettare lo sguardo (il giudizio) degli altri; dell’individuo che cala, pesante come una mannaia, un giudizio negativo su ogni suo gesto ancor prima che questi sia ultimato; che si fa sordo di fronte al canto delle emozioni; che sfoggia muscoli e sudore machista per non guardarsi nudo dentro; che inanella gesti belli, quelli che il Karate d’Okinawa chiamava spregiativamente “la mani fiorite”, per tinteggiare di nuovo un corpo/cuore distante.

Le mani dispensano energia nello spazio così come i piedi, forti nel terreno, ne assorbono l’energia. E sono le coltellate feroci del nostro Knife Kenpo Fencing. Sono tagli a vorticare a ridosso della pelle del compagno, a segnargli di rosso, striature  fameliche nel loro chiedere sangue e tessuti da lacerare, il viso e la gola. Acciaio luccicante o brunito, comunque strumento di macellazione e  morte.

Forme patenti, ineludibili e terribilmente sincere, di ogni relazione sana. Quelle che, nascoste e “politically correct”, sono il rispetto e l’interesse per l’interlocutore e ciò che rappresenta, l’ascolto simpatico / empatico di ciò che ci dice e ci mostra, il modo umile e semplice con cui a lui ci approcciamo e tanto altro ancora.
Tanto altro che, chi lo ha voluto, ha potuto ri – scoprire in questo nostro 33° Kangeiko, lo stage invernale. Ri – scoprire di sé e del proprio stare al mondo. Altrimenti, per quanto mi è dato comprendere, sarebbe stato più semplice e godereccio restare a casa, nel proprio tranquillo tran tran domestico. Senza farsi del male, col freddo e con il buio, con i pugni e le bastonate; soprattutto, senza farsi del male guardandosi dentro.

 “Abbiamo davanti agli occhi i peccati degli altri uomini, ma i nostri li portiamo sulla schiena”
(Lucio A. Seneca)