giovedì 26 marzo 2015

La meravigliosa arte della seduzione


“Alcune volte vinci. Tutte le altre volte, impari …”
(detto giapponese)

by newcastlemale
 Frammenti di cielo alle mie spalle. Striature blu come vene sulla superficie della pelle, ma la pelle questa volta è  una fragile coppa grigiastra. Sotto di essa, spuntano rami secchi,   dita scheletriche per tronchi incerti nel loro risalire, tendere all’alto.
Mi muovo in uno spazio angusto, tra sedie, scrivania e pochi mobili. Alle pareti la bandiera del TAO, i nunchaku e l’anello di bambù del Wing Chun. Poi alcuni quadri che offrono frasi motivazionali ed ancora oggetti d’Oriente: Il bokken di bianco legno levigato, il porta incensi …
Chiuso in ufficio, ripercorro le strade del Tai Chi Chuan.
L’ampia finestra che dà sul parco illumina di un candore debole la stanza. Io scivolo sinuoso, quasi elegante, fendendo l’aria immobile. Odori di essenze, eucalipto e menta, si levano tra le volute del fumo che il vaporizzatore sciorina come stanche litanie di un rosario senza tempo.

Le sorti di ogni conflitto, di ogni contrasto, sono per lo più affidate alla capacità del contendente di poter contare sul maggior numero possibile di opzioni; di scegliere strategie differenti e, in esse, avvalersi di più tattiche; di anticipare i mutamenti o, almeno, sapersi adattare rapidamente.
Dunque mi muovo impetuoso in attacco, onda furibonda e cieca di ogni possibile ostacolo, per poi sgusciare via lontano dalle fauci aperte della fiera che ho di fronte; ne avvolgo l’ostilità tra forme e gesti spiraloidi che danzano nello spazio cerchio dentro cerchio, cerchio sopra cerchio per poi, di nuovo, piombare diretto e frontale.
Alterno, confondo, mescolo, novello alchimista del combattere, gesti e spostamenti come fossero materiali per chissà quale intruglio, chissà quale miracolo di trasformazione. Espongo e nascondo, giochi di irriverente destrezza, danza di un potere occulto come fossi un illusionista: un po’ spavaldo e malvagio Dark Shneider, un po’illuminato dottor Strange.
Escapologia, l’arte dell’evadere, mai disgiunta  dal feroce spirito  guerriero di un berserker, i combattenti nordici animati da potente trance distruttiva, o di un samurai, il cui voto alla morte conduceva a duelli impossibili.
 
by MorganeS
Danzo Tai Chi Chuan, accogliendo ogni sensazione, in questo che è un percorso fisicomoetivo.
Di più, scelgo ogni sensazione come fosse un’arma, come un’arma la conosco nelle sue possibilità, come un’arma la brandisco per quello che è in grado di fare.
Guai a sbagliarsi, a confondere scudo con coltello, a credere di tranciare con in mano una lancia o tirar di stoccate con un machete, di giostrare di lancia in uno spazio angusto e chiuso o di schermare con una scure.
Umiltà nell’accostarsi alle sensazioni, alle emozioni, a chi le “armi” ce le mostra e ce ne propone il differente uso. Dunque anche umiltà verso noi stessi, che siamo i primi nostri stessi “Maestri d’arme” se lo vogliamo davvero, e coraggio nell’imparare. Anche quando ciò costa fatica e dolore, la fatica del nuovo che non si conosce e il dolore del vecchio da cui ci allontaniamo. Via la maschera, la corazza delle frasi, degli atteggiamenti che ci diciamo per sminuire noi stessi o il “Maestro d’armi” che ci sta davanti, ma in realtà diamo solo fiato al nostro orgoglio di bambino bizzoso.
Quando l’istruttore di sci ti spiega di tenere il peso a valle, subito, d’acchito, ti rifiuti , temendo di perdere l’equilibrio e di cadere, che il peso a monte ti rassicura. Certo, sei già disceso, a tuo modo, sulla neve, ma quel tuo incerto “spazzaneve”, tra tentennamenti e cedimenti, lo chiami davvero “sciare” ?. Quando l’istruttore di roccia ti spinge a tenere distante la parete così da vedere gli appigli, tu ti ci appiccichi, temendo il vuoto e la caduta. Certo, da ragazzo, ti sei già arrampicato sull’albero in giardino o sul muretto dietro casa, ma quel tuo goffo salire di un paio di metri, tra sbuffi e rantoli e smanacciate, lo chiami davvero “arrampicata” ?
 
Come ti stai emozionando, ora  ?
Da cosa stai fuggendo, ora ?

Torace caldo, umido dei primi sentori di sudore sotto la maglia. Davanti a me, sulla porta chiusa, campeggiano disegni e bigliettini di mio figlio Lupo: sono anni di innocenza e fanciullezza aperti sul presente. Un presente che, ora, lascia la danza del Tai Chi Chuan per incontrare i primi clienti.
Tra poco, entrerà Debora. E’ il secondo colloquio a distanza di due settimane. Starà a me accompagnarla lungo un confronto che so già intessuto di “Tanto ti assumono solo se conosci qualcuno”, “Mica sono l’unica disoccupata”, “Io volevo fare l’artistico, ma i miei genitori non hanno voluto” ecc. ecc.
OK ma … se saprò danzare Tai Chi Chuan, una danza col culo seduto sulla seggiola ma danzata di immagini e frasi e ascolto e affondi ed evasioni e attacchi improvvisi per poi ritirarmi e lasciare a lei l’iniziativa; domande aperte che la conducano verso domande chiuse; se saprò comunque scegliere strategie e tattiche adattandomi a lei ed alla sua specifica situazione, forse aprirò il conflitto verso nuove vie, forse lei vedrà una strada da seguire invece di fermarsi nel pantano dell’autocommiserazione, nel giardino sfiorito in cui vegeta tra alberi stortignaccoli, miasmi prepotenti ed una siepe buia e alta che le impedisce di vedere l’orizzonte. .

Dipenderà molto dal mio variegare, flettere e lanciare il mio Tai Chi Chuan

 “Non importa dove vai. Dappertutto le stesse stronzate. Le persone hanno bisogno di qualcuno da odiare. Li fa sentire più forti e sicuri di sé. Li unisce”.
(R.K. Morgan)
 
 


Nessun commento:

Posta un commento