martedì 27 dicembre 2016

Stille Nacht 2016


“L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Torna diverso”
(Anne Carson)

 

In questa nostra grande città, che spicca in tutta Italia, c’è chi si arricchisce e chi resta povero, c’è chi si mette in mostra e chi vive nell’anonimato. Chi cammina occhi bassi, chi guarda sfrontatamente in alto, chi si commuove per il disco della luna in cielo e chi è irrequieto se solo un lampada tace nella notte.

Io non so chi e come sia di questi colui che stasera indossa il keikogi nero e blu, sera di silenzio ed ombre mute, sera di ricerca e dono, sera di Stille Nacht.
Keikogi nero e blu a muoversi, indistinto tra altri keikogi dello stesso colore, qui in pedana.

Simili ad equilibristi precipitati nel centro del nulla, agiamo a tentoni, fioca luce alle spalle, vivendo di gesti, azioni che scoprono un corpo, un essere e fare corpo, dalle mille sfaccettature: A volte inarrestabile potenza, altre un lungo, lento snodarsi sinuoso; a volte sincero scambio di energie fisicoemotive, altre delirio solipsistico di uomo solo.

Ogni colpo, ogni percossa portata è come un dubbio, che è domanda a se stessi, che è richiesta all’altro di un ascolto autentico, sincero.
Ognuno si getta nella mischia, portandovi il proprio bagaglio di incertezze e sicurezze. Incertezze di un presente che trattiene i rimpianti del passato; sicurezze di un presente che il passato preferisce non ricordare.

A volte mi pare di viaggiare senza nemmeno l’orario, né di partenza né di arrivo. Sarà questo silenzio che si sparge ovunque nella sala, un mare di silenzio appena smosso alla superficie, su cui i miei occhi tacciono muti e più forte, più lancinante, si fa la mancanza di una, anche una sola certezza, scoprendo che in un silenzio ci sono emozioni che lo percorrono fino ad arrivare, inaspettate, al cuore, al ventre.

Siamo, tutti i giorni e qui, questa sera, che è sera di Stille Nacht, animali strani. Non importa se ricchi o poveri, in mostra o anonimi, occhi bassi o sguardo dritto al cielo; siamo animali strani, con un manto nero e blu addosso, i piedi ben radicati al suolo ed il cuore a battere forte incontro al vento irrequieto che non sai mai quale direzione va a prendere.
E questa sera, più di altre perché è sera di silenzio ed ombre mute, ai più vulnerabili, ai più sensibili, è dato scoprire che la vita, il vivere, se solo noi glielo permettiamo, ci accompagna in luoghi ed incontri e persone che mai avremmo immaginato, dove una stella può striare di luce il cielo prima di andare a cadere e scomparire, mostrandoci il desiderio che noi stessi interpretiamo quando nessuno ci vede, nessuno ci giudica.

Allora, se ti va, se questa sera, che è sera di Stille Nacht, hai permesso che ti entri nel cuore e nel ventre, allunga la mano ed afferra il desiderio che tu sai, che tu sei. Prima che sia tardi.

 

“Sbagli il 100% dei colpi che non spari”
(Wayne Gretzky)

 


giovedì 15 dicembre 2016

Chioggia


 

La nebbia avvolge il mare, portando sabbia e bagnasciuga in un limbo etereo. Conchiglie coloratissime spuntano irriverenti da ciuffi di alghe contorte.
Fa freddo ed il vento spazza ogni ostacolo.

Ci avviciniamo a Chioggia, piccola cittadina affacciata sul mare.

Monica mastica amaro, lei che avrebbe voluto una gita priva del grigiore nebbioso, lei che si aspettava di rivedere la Chioggia animata di persone e colori. Ma l’inverno, spesso, sa essere un’armatura pesante, capace di occultare i piaceri della vista e di diradare i movimenti degli umani.

Lupo è a chiacchiere allegre con la cuginetta, e non mi starebbe a sentire.
Non starebbe a sentire la mia curiosità, io che qui non sono mai stato, tutta volta ad annusare i ricordi di una guerra sanguinosa che fu.

Io che mai ho visto Chioggia, e neppure la pensavo così bella, raccolta nei vicoli stretti, lambita dall’acqua scura della laguna e punteggiata da chiese lontane nel tempo.

Io che ho voglia di perdermi, per niente affranto dal tempo invernale, anzi, contento dei colori che questi tinge su case e cielo, contento che i radi passanti lascino spazi di tempo e campo allo sguardo.

Ho voglia di perdermi immaginando le fatiche, il sangue, le uccisioni che investirono prepotenti la città nella feroce guerra portata qui da Genova, e siamo al tempo delle repubbliche marinare. Siamo al tempo di una città assediata dal mare e dalla terra, della sua caduta e della sua ripresa, costata sangue e uomini e fame tra gli assediati ( si dice che furono ridotti a mangiare cuoio bollito), onore per un comandante precedentemente disonorato, Vettor Pisani, sfoggio di innovazioni militari con un’artiglieria innovativa, una cultura di appartenenza e condivisione, nel momento del pericolo, tra patrizi e popolo che bene farebbe alla nostra casta di politici avvoltoi, in questa che non è più democrazia ma cleptocrazia.

Così, mi aggiro per il largo viale, scruto nei vicoli e negli angoli bui e immagino…

In ogni dove io vada, mi piace riandare con la fantasia a un periodo del passato, immaginare come fu, immaginare di uomini e donne come me, come te che mi stai leggendo, anche loro amanti, genitori, figli, lavoratori e di come il loro vivere quotidiano si sia scontrato con faccende più grandi di loro, faccende enormi e terribili, poi divenute asettiche brevi note su un libro di storia…ma… quanta umanità dietro !!

Il pomeriggio cala le sue ombre più scure, la nebbia è un manto disteso di cui non si vedono i lembi.
Riprendiamo l’auto diretti a Bassano. Un grazie a Monica, che mi ha spinto alla gita, che mi ha permesso qualche momento di fantasia nel teatro del XIV secolo, tra le gagliarde avventure delle repubbliche marinare, che mi ha fatto visitare una gran bella cittadina.

 

 






 

 

 

 

 

giovedì 1 dicembre 2016

Da vicino, così vicino



Da vicino non è affatto meno faticoso, meno doloroso. Anzi, lo è di più.

Da vicino, quando gli occhi si conficcano in occhi estranei davanti, il respiro caldo si scioglie nel caldo alitare di una bocca estranea, come estraneo è l’odore reso irriconoscibile dal reciproco mischiarsi e sovrapporsi.
Focalizzare chi ci è vicino è ambizione, è ardimento. E’ nessuna paura del disvelarsi, della propria ed altrui nudità.
È l'inizio. Inizio di consapevolezza, di presa in carico di chi sei e come sei, come stai al mondo. Ma anche è consapevolezza di averlo scelto tu quel tuo mondo e di risceglierlo ogni volta. Ogni volta che ti alzi dal letto e poi ci ritorni, giorno dopo giorno, notte dopo notte, incontro dopo incontro.
Ed è pure inizio di consapevolezza del mondo di un altro. E’ un brusco curiosare nelle stanze segrete di un altro, è rovistare, spesso maldestramente, nelle cose e nelle emozioni che gli sono più care, nelle paure e negli ardimenti che, a volte, nemmeno lui conosce e ri-conosce.
E’ inizio di consapevolezza che insieme, tu e l’altro, siete un mondo nuovo, insieme state mettendo al mondo, per un pugno di secondi o per minuti interi, una creatura nuova, fragile, incerta e mutevole. State creando un habitat diverso. Sorta di “situazionisti” dell’arte del combattere, create e disfate. Partorite ed uccidete, in un rappresentazione fisicoemotiva che è sia figura che sfondo.

Da vicino è una scelta. Scegli di incontrare, incontrarsi e scontrarsi. Senza vie di fuga, senza maschere e ruoli, senza il tempo di riflettere, il tempo di “prendere tempo”, il tempo di ripensarci.
Vicino pretende azione vera, reale. Esige sudore e attenzione e apertura totale, incondizionata ai mutamenti. Pretende vulnerabilità come potente arma di distruzione. Esige che tu affondi i colpi dentro la carne, che è cuore, dell’altro. Pretende che non ci sia nessuna pietà, da entrambi, e potrebbe toccare a te soccombere.
Vicino non contempla distacco né tempo d’attesa. Vicino è troppo presente, impellente, asfissiante, perché tu possa chiedere una pausa, una dilazione, una sospensione che “Lo faccio dopo”.

Da vicino, così vicino che basta allungare il braccio per toccarsi, intanto tocchi te, le tue paure, le tue fantasie, le tue convinzioni. E leggi anche tra le righe del tuo libro, non solo le parole evidenti, ma gli spazi vuoti, le pause, la punteggiatura e, appunto, tra le parole e le righe stesse, quei tratti bianchi che, a farlo, ti lasciano così sgomento da chiudere gli occhi, le mani ed il libro stesso, frettolosamente rimesso sul comodino e poi si vedrà, poi, sì, forse, si vedrà. Ma da vicino, così vicino, quel libro non puoi accasciarlo sul comodino, né tantomeno puoi richiuderlo: lui ti sta davanti, anzi dentro, e l’altro, gli stessi occhi piantati nei tuoi, è lì a ricordartelo.

E stai attento, da vicino, così vicino, che potrebbe essere l’altro a toccarti e lui non avrà alcuna titubanza, nessuna delicatezza. Se riuscirà, lo farà. Lo farà fino in fondo, fino a spaventare le tue acque calme, agitandole, rimestandole, mani e piedi sul tuo volto, fino a rivoltare il fondale, a rivoltare il tuo mondo sottosopra, mandandolo a gambe all’aria.

Ma forse, stando vicino, così vicino, è proprio questo che vai cercando, in un vecchio locale corroso dal tempo, il canniccio impolverato e l’accozzaglia di colori delle materassine sotto i piedi. Vai cercando chi sei veramente, come lo sei, che ci stai a fare,” temporaneamente”, su questa terra. E nemmeno sai il numero, l’esatta quantità di questo avverbio “temporaneamente”, la data che sigillerà per sempre questo “temporaneamente” e dunque se qui a cercarti, a tentare di comprendere, fino a che ti è concesso il tempo, “temporaneamente”, di farlo.

E intanto che lo cerchi, lo fuggi. Sei qui a cercarlo, ad esporti, hai pagato del tuo denaro, del tuo tempo, delle tue energie e poi fingi indifferenza o scansi il coinvolgimento, gli frapponi (ancora?!) il muro dell’apatia o mostri la maschera di una goffa belva di fiera di paese sperando di incutere timore o ti rifugi nell’infantilismo di una umiltà accartocciata e stantia che “Non sono capace, non ci riesco”.

Che ci stai a fare vicino, così vicino, se non te la godi, erotismo irriverente e audace, vitalità entusiasta, se non ti denudi e denudi l’altro? Se non sguazzi comunque in questo tuo “temporaneamente”?

Guardare lontano è l’obiettivo, tanto lontano da guardare fino a dentro di te. Per farlo, prima, devi stare vicino, così vicino…

 
"Lasciate che chi non ha voglia di combattere se ne vada. Aiutatelo ad andarsene, dato che non intendiamo morire in compagnia di quell'uomo. Non vogliamo morire con nessuno che abbia paura di morire con noi."