venerdì 2 dicembre 2022

Souishou - Push Hands

 

Mani che “accettano e premono”, per me, più che “spingere e tirare” come generalmente viene letto questo gioco di coppia.

Gioco di coppia la cui finalità è interpretata diversamente a seconda del Maestro o della Scuola; per me, come già scrissi, è costruzione di un elastico scudo difensivo e offensivo.

E’ sancire un territorio condiviso di relazione. E’ membrana elastica capace di filtrare e respingere secondo necessità, evitando

- sia di introiettare supinamente, accartocciandosi e facendosi sradicare, sia di erigere una barriera rigida e insensibile al contatto;

ma anche evitando

- sia di premere grossolanamente contro un bersaglio indistinto, sia che l’attore spinga oltre le linee di forza consentite col rischio di cadere nel vuoto.

Da quanto sopra, deriva una considerazione fondamentale:

Quando tocchi il compagno di pratica, occorre percepire che qualcosa sotto le tue mani, i tuoi avambracci, sta mutando continuamente. In ogni momento si instaura una relazione fatta di stimoli, domande e risposte. Una relazione in cui io sia consapevole di ciò che sto facendo, capisca cosa sta facendo il compagno e intuisca cosa lui sta capendo di quel che io vado facendo. Questo rimanda al “Qui ed ora”, all’immediatezza dell’esperienza agita, che è un cardine del pensiero e della pratica taoista.

Questo mio modo di praticare e proporre i Push Hands comporta:

Capire o quanto meno intuire delle intenzioni dell’altro. Mi spiego riprendendo un esempio portato da Bonnie Bainbridge Cohen, la creatrice del Body Mind Centering: “Penso al corpo come fosse sabbia. Studiare il vento è difficile. Se però osserviamo come il vento plasma la sabbia – come si formano, scompaiono e riappaiono le tracce che vi disegna – allora riusciamo a distinguere quelli che sono i pattern del vento o, in questo caso, della mente”.

Il che ci rimanda al vivere quotidiano. Alle semplici discussioni in famiglia, nelle relazioni affettive o educative, per comprendere davvero di me e necessariamente dell’altro costruendo un clima empatico di dialogo; oppure all’eventualità di un’aggressione in strada, con la necessità di leggere correttamente e magari prevenire le azioni dell’aggressore.

Il che ci allontana da ogni allenamento, da ogni pratica, fondata sul ripetere e ripetere per memorizzare o perfezionare la meccanica dei gesti, ripetere le stesse movenze aspettandosi un risultato. Impossibile, perché ogni relazione è diversa, non solo negli attori, ma pure nell’occasione in cui avviene.

Il che pone il gioco dei Push Hands tra i più efficaci ed efficienti per conoscere di sé e come si sta nelle relazioni; per accompagnare il praticante dentro il suo mondo interiore attraverso il percorso corporeo, fisicoemotivo; per farne preziosa e radicale terapia di sostegno ed aiuto, di autentico counseling.

Due ultime considerazioni:

Personalmente, mi è indifferente se chi si avvicina ai Push Hands per come io li propongo, sia un praticante proveniente da altri modi di praticarli o un novizio.

  • Nel primo caso, il bagaglio appreso e le spontanee resistenze ad aprirsi al nuovo modo saranno utili: il “bagaglio” per sconsigliarlo a ripercorrere una strada che si mostra chiusa, che non porta lontano; le “resistenze” perché mi indicano dove il soggetto è più fragile e dunque bisognoso di difendersi, di indossare una “corazza”.
  • Nel secondo caso, l’essere un novizio gli permetterà di incontrare più facilmente lo stupore del nuovo, dell’imprevisto, facendolo più malleabile ai suggerimenti del sé corpo.

Certamente, in ambedue i casi è importante la genuina curiosità di sapere, di migliorarsi, di mettersi alla prova affidandosi non tanto al conduttore, a me, quanto a …… se stesso, perché io, da buon Sensei, ti introduco al bosco, ti accompagno nel bosco, ma sei tu quello che ci cammina dentro!!

Se una persona viene da me e mi dice: ‘Non so che cosa sto sentendo. Non so nulla di questo o quello”, io gli rispondo: ‘Fantastico!’. Perché vuol dire che, se t’interessa, hai davanti a te tutto un tesoro di esperienze da scoprire.” (B. Bainbridge Cohen, terapista, artista, creatrice del Body Mind Centering)

 

“Nella maggioranza dei casi, un praticante di Arti Marziali è ciò che io chiamo un artista di seconda categoria. Raramente impara a dipendere da se stesso per l’espressione; piuttosto segue fiduciosamente un modello. Con il passare del tempo, probabilmente comprenderà alcune morte routine e diventerà bravo in relazione al suo particolare modello. Esercitarsi nella pratica abitudinaria e seguire modelli stabiliti forse lo renderà bravo in relazione a quel tipo di routine e modelli, ma solo la consapevolezza di sé e l’espressione di sé portano alla verità. Una persona viva non è un prodotto morto di ‘questo’ o di ‘quello’ stile; è un individuo, e l’individuo è sempre più importante del sistema”. (Bruce Lee, artista marziale, attore e filosofo)

 

 


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