mercoledì 7 ottobre 2015

A spasso con l’intelligenza


Un Sabato pomeriggio, con Monica, Lupo e Valerio, suo compagno nella nuova classe scolastica,
al “Museo del ‘900”.

Lì è dove Lupo, a Settembre, ha partecipato ad un campus in cui ha girato un breve filmato https://www.youtube.com/watch?v=VZ2O85ZDB3AL’arte di uccidere
Ne è talmente stato impressionato, da averci spinto a farci una visita.
Io ricordo gli anni in cui spesso visitavo il  PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea), ma di questo “museo” nulla sapevo.

Scoperta entusiasmante.
L’edificio è bellissimo, proprio nel cuore di Milano. E un tuffo al cuore è l’aprirsi sul “Quarto Stato”, di Pellizza da Volpedo: un rimando immediato nel ventre del ’68, negli ideali e nelle aspirazioni di chi come me, ingenuamente ma animato da una passione travolgente, voleva cambiare il mondo in un paio di giorni.
Poi lo snodarsi delle sale e delle opere.

Complici le spiegazioni di Lupo, mi accosto a Boccioni. Io che non amo la scultura, mi incanto davanti a forme in movimento. Sì, i confini ci sono, certamente, ma la scultura si mostra come se fosse in movimento, movimento esterno, d’immagine, e movimento interno, di flussi e onde e spirali. Emozionante. Emozionante sentire in essa lo spirito e il fare del Tai Chi Chuan. Ecco, Boccioni sì è che è un ottimo praticante Tai Chi Chuan. Un’ottima fonte di ispirazione. Quella scultura è forma in movimento, è Tai Chi Chuan puro, semplice e bellissimo, è forma unica della continuità nello spazio.

I quadri di Morandi. Mi ricordo che tra i motivi che mi spinsero ad abbandonare la passione per la fotografia ci furono proprio loro: mi accorsi che fotografavo cercando, inconsapevolmente, di riprodurre i suoi quadri. Inconscia pretesa artistica che cozzava miseramente contro il già creato, già deposto sulla tela e con mano mirabile.

La schiera di futuristi, Giacomo Balla, Carlo Carrà, Mario Sironi, Achille Funi, Gino Severini.
Quel movimento centrato sull’intuizione che la cultura del Novecento doveva calarsi nei processi di trasformazione socio-economica in atto: industrializzazione, urbanizzazione spinta,  l’apoteosi della rapidità nei  mezzi di comunicazione come nei  mezzi di trasporto, la violenza abnorme e distruttiva delle nuove armi. Quadri, sculture, impregnati dal bisogno di agire e dalla disperata  volontà di  rappresentare il dinamismo.
Un calderone contradditorio, spesso informale, politicamente venato da un nazionalismo acceso ed interventista.
Tratteggio con Lupo qualche breve riflessione su cosa significhi imparare per poi dimenticare quanto imparato al fine di trasformarlo, perché, da un lato, ogni nuova creazione comunque eredita dal passato, non nasce dal nulla, ma, dall’altro, è necessario lasciare, abbandonare, per permettere all’uomo, all’umanità, di scoprire altro e oltre.
Credo sia il messaggio fondamentale che ogni padre debba lasciare ad un figlio. Compreso che ogni trasformazione, come ogni opera umana, non è solo “bene” o solo “male”, ma ne racchiude l’ambivalenza, ne esprime le mille sfaccettature. A partire da sé, dall’individuo stesso che non è monolitico né monade, bensì è mille diversi sé, sempre e comunque in gioco con l’ambiente e gli altri.
Un percorso artistico, qualsiasi esso sia, ne è ottima testimonianza. I futuristi, forse ancor più esplicitamente di altri. E quei quadri, quel che ricordo delle vite di quegli artisti, mi aiutano nell’educazione  del piccolo Lupo.
Compreso il dare sempre fiato, spazio, al suo gioioso istinto di sapere. Se il malessere attuale delle giovani generazioni  non risiede, come era per noi sessantottini, nell’opposizione, nello scontrarsi tra sogno e realtà, ma nell’assenza di sogno, del sognare, ogni incontro con le forme della cultura, dell’arte, può essere un’avventura, un viaggio, denso di comprensioni intellettuali quanto, soprattutto, emotive profonde ed audaci insieme. Può essere, di contro alla psico – apatia di cui scriveva Galimberti, un’esperienza di coscienza accesa.

Altre stanze, altre opere ci attendono: quelle informali del secondo dopoguerra, poi le forme d’arte dei decenni successivi, dagli ambienti del Gruppo T alla pittura analitica milanese.
Una sguardo rapido alle ultime entrate: opere pop provenienti dagli U.S.A. Ma sono solo, Monica non apprezza, Lupo e Valerio sono “ in pausa” seduti sulle seggiole. Allora un’occhiata e via. Una parte di me si lacera, occhi e cuore sulle opere di Renato Guttuso, come a dire la mia giovanile militanza, anche “professionale”, nel P.C.I., e i dibattiti sullo stalinismo e  il realismo nell’arte, un’altra si bea di fotografie ed opere di autentico stampo U.S.A. che di “artistico”, secondo l’opinione immediatamente leggibile, hanno poco o nulla. Beh, se ripenso a come è stato difficile spiegare a Lupo la “merda d’artista” di Manzoni e il suo significato nel contesto artistico del tempo.

Ancora insieme per le ultime incursioni, tra sculture e quadri spesso destabilizzanti.
All’uscita, Valerio si allontana con i suoi genitori. Noi ci aspetta la libreria Feltrinelli, opulenta e tentatrice, gravida di libri di ogni genere, ben accucciata nella galleria più famosa di Milano.

Un museo da visitare e visitare ancora. Per genitori insieme ai figli, ragazzi o adolescenti che siano. Per adulti tutti.

Per chi voglia, attraverso quadri e sculture, riandare con la memoria ai tempi in cui l’uomo scoprì il colore, imparando ad estrarlo dalle cose della natura, ad impiegarlo associandolo a valori simbolici, estetici, emozionali. Per questo l’uomo ha frantumato le terre, spremuto le piante e gli insetti, lasciando una traccia colorata della propria esistenza e della propria storia, fino ad intraprendere un percorso a volte scomposto, alienato, ma sempre riferito al vivere.
Una risposta a Jean Clair (ex direttore del Musée Picasso di Parigi e conservatore del Patrimonio di Francia, nonché direttore della Biennale di Venezia del centenario, dal 2008 membro dell' Académie Française) che scrive dei musei come di Grandi Magazzini “Depositi di civilizzazioni defunte” dove si allineano i dipinti secondo criteri cronologici e in cui  si affollano  individui solitari, che trovano nel “culto dell' arte la loro ultima avventura collettiva”.
Forse, ma forse non è così. O almeno non lo è stato per me, grazie anche all’entusiasmo del mio Lupo e di Valerio. Anzi, questa come mille altre, è stata l’occasione per confermare l’energia di un vivere e pensare e fare che è sempre e comunque vitalità, quand’anche condito di disgregazione, oscurantismo, scadenti ambizioni di marketing e di successo, modeste imitazioni e imbecilli presunzioni artistiche. Perché anche questo è l’uomo, è vivere. A ciascuno di noi, poi, la responsabilità “guerriera” di portarvi sinceramente il meglio di sé. Il futuro ci dirà se incontreremo il “sol dell’avvenire” o un apocalittico Armageddon.
Io, intanto, vivo.


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