giovedì 9 maggio 2019

La nobile arte della persuasione




Amo profondamente i libri di Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta, come le sue elaborazioni confluite nella “Terapia Strategica Breve” (1).
In ogni parola, in ogni azione della sua pratica terapeutica, mi è semplice trovare legami con la pratica marziale e non potrebbe essere altrimenti, trattando entrambe di conflitti e soluzioni nei e dei conflitti.

Qui voglio presentare il suo
“La nobile arte della persuasione”
in un modo che evidenzi, citandone alcuni passi, questo nesso.

Un gioco che mi piace fare e che spero invogli chi mi sta leggendo ad approfondire per suo conto il tema trattandolo dal lato che più sente suo: la comunicazione verbale e para verbale, la terapia d’aiuto alla persona, la pratica del confliggere in ogni suo aspetto, ecc.

Personalmente, nella mia duplice veste di counselor e docente di Arti Marziali, voglio evidenziare, e lo farò nelle citazioni a seguire:
-       Gli approcci diversi che, differenziando il “come” praticare Arti Marziali, ne connotano il cuore, la sostanza stessa, imponendo una totale diversità epistemologica (metodi e fondamenti della conoscenza) e di pratica.
-       L’importante funzione terapeutica, di aiuto e crescita, che la pratica delle Arti marziali può svolgere sia negli specifici incontri di counseling che nei corsi veri e propri di Arti Marziali.

Il persuadere
Il percorso di persuasione non si oppone mai alle convinzioni o credenze dell’altro, ma le rispetta e le utilizza in vista di ulteriori prospettive, permettendo di aggirare le resistenze al cambiamento. (pg. 16)
La pratica marziale come io la intendo e propongo qui allo Spirito Ribelle ZNKR si basa proprio su questo assunto.
Ogni scambio di mano a contatto (push hands, chi sao, maki ecc) non contempla l’erigere una barriera invalicabile per l’opponente quanto invece una membrana sensibile in grado di filtrare ciò che si vuole accettare e respingere / deviare ciò che non si vuole accettare.
Di più, si mette in conto che è proprio l’aprirsi al premere, spingere, colpire dell’opponente, fino a permettergli di portare le sue mani a contatto del corpo, a dare l’opportunità di entrare in relazione autentica con esso fino, realmente, a volgerne l’aggressività offensiva a proprio vantaggio.
Nella mia pratica marziale, ovvero di confliggere per avere la supremazia, che dura da oltre quarant’anni, ho incontrato una sola Scuola che operi in questo modo: l’HME del Maestro Adam Mizner.
Tutte le altre Scuole, di qualsia Arte si occupino, praticate di persona o viste in azione, non accettano il  non si oppone mai”, non accettano, come scrissi in altri post, di “perdere per guadagnare”. Queste vivono ogni spinta o attacco come nemico da cui difendersi in un modo o nell’altro, mai permettendo l’ingresso dentro la propria chinesfera (2), dentro l’area occupata dalle proprie braccia, come strategia fondamentale per volgere la situazione di crisi a proprio vantaggio.
Nella pratica più specificatamente di aiuto, in particolare nella prospettiva gestaltica, la Scuola in cui mi sono formato: “individuo e gruppo sociale non sono entità a sé, ma parti di una stessa unità in reciproca interazione, per cui la tensione che può esistere tra di esse non è da ritenersi l’espressione di un insolubile conflitto, ma il necessario movimento all’interno di un campo che tende all’integrazione e alla crescita.
(omissis)
La capacità del terapeuta di creare un contesto in cui il paziente possa sviluppare la propria integrità si attua attraverso una “danza” tra terapeuta e paziente. Non è la tecnica esercitata da una persona esperta su un’altra persona che chiede aiuto, è la co-creazione di un confine di contatto in cui i valori, le personalità, i modi personali di affrontare la vita giocano un ruolo fondamentale. È la danza che il terapeuta, con tutta la sua scienza e la sua umanità, e il paziente, con tutto il suo dolore e la sua volontà di guarire, creano per ricostruire il ground su cui poggia la vita di relazione, il senso di sicurezza nella terra e nell’altro, e quindi il lasciarsi andare nell’intimità.”
(https://www.gestalt.it/definizione-psicoterapia-gestalt-therapy-hcc-italy-psicologia-cosa-e/)

Il convincere
il convincimento (si realizza) mediante uno scambio ‘dialettico’, ovvero la contrapposizione delle tesi (pg. 25)
E’ la pratica diffusa ovunque, ma non da noi, nei giochi / esercizi citati in precedenza,
Le braccia si ergono a strenua difesa, l’atteggiamento emotivo è quello di alzare una barriera che impedisca l’accesso e da cui partire per invadere lo spazio dell’opponente.
L’atteggiamento corporeo non prevede il rilasciamento muscolare (3) ma una tensione continua, un succedersi di contrazioni o, all’opposto, nelle pratiche formali e “di facciata”, un totale rilassamento indice di assenza di desiderio, di slancio vitale.
Strategia e tattiche sono conseguenti a ciò.

Il manipolare
Il criterio alla base della manipolazione consiste nel forzare  la volontà del soggetto, rispetto alle informazioni trasmesse o alle pratiche cui l’individuo viene sottoposto, attraverso metodi che lo “costringono” a cambiare. (pg. 24)
Qui si gioca una profonda differenza negli esercizi e giochi succitati, in cui il praticante non solo rifiuta ogni relazione di contatto ma, per esempio portando le proprie braccia estese, tende ad escludere ogni scambio.
Ma la differenza investe anche e soprattutto il modo di insegnare / imparare.
Ne ho già scritto più volte, qui mi limito a sottolineare la differenza che è divergenza totale tra un metodo direttivo che “ forza(re) la volontà del soggetto” per piegarlo ad essere un vaso vuoto da colmare con il sapere prestabilito, un passivo imitatore e copiatore di uno stile, un fare, codificato e preconfezionato e, invece, un investimento sulle potenzialità del praticane, sulle sue risorse inconsce che “stimola nell’interlocutore sia la parte cognitiva che quella emotiva” (omissis) “attiva contemporaneamente l’emisfero destro e sinistro del cervello, inducendo risposte contemporanee del telencefalo, la mente ‘moderna’ e del paleoencefalo, la mente ‘antica’” (pg. 17).

Uno sguardo a Oriente
“Per gli occidentali il nesso causa – effetto ha guidato per secoli l’osservazione e la spiegazione della realtà, mente per gli orientali causa ed effetto sono legati da una relazione circolare, come ben espresso dal simbolo del Tao: non esiste nulla che sia diretto a uno scopo senza che questo scopo si ritorca poi su ciò che lo ha prodotto.
Questa concezione filosofica non coincide con la ‘causalità circolare’ (Wiener, Ashby, Von Bartalanffy), ma è una visione che permea totalmente il senso orientale della vita. Come evidenzia ancora una volta Francois Jullien, non esiste una visione eroica del lottare contro le avversità sino a superarle, ma solo un piegarsi alla naturalità delle cose.” (pg. 28)
Qui sono io a smarrirmi.
Se mi ritrovo perfettamente nel motto “Wu wei” inteso come non eccedere, non tirare troppo la corda, mi riesce difficile leggere qualsivoglia pratica marziale, per esempio il Tai Chi Chuan che si rifà al taoismo, come rinuncia alla lotta. Mi pare un controsenso.
Non mi resta che, nel mio praticare e proporre le Arti Marziali, abbracciare un ecumenico incontro tra taoismo e la causalità circolare citata sopra!!

La comunicazione performativa
“il linguaggio indicativo, rappresentato da tutte le forme di comunicazione che prevedono un passaggio di informazioni e forniscono spiegazioni sugli oggetti osservati. In questa modalità comunicativa il focus è l’istruzione relativa alla materia in esame.
ìl linguaggio performativo, rappresentato dalle forme di comunicazione che evocano o inducono sensazioni che a loro volta producono effetti i quali vanno al di là del loro valore semantico. Questi tipologia di linguaggio fa sentire, oltre che capire: il focus è l’effetto pragmatico, ovvero l’influenzamento nella direzione proposta da chi comanda.” (pgg. 39 – 40)

Ecco il primo, e diffuso ovunque, metodo che ordina e dispone: “la maggior parte delle pratiche didattiche si fonda sull’assunto che lo studente è fondamentalmente un ricevitore, che l’oggetto (“la materia”) da cui si origina lo stimolo è importantissimo, e che lo studente non ha altra scelta se non vedere e capire lo stimolo così come esso “è”. (N. Postman. L’insegnamento come attività  sovversiva)
Il secondo, invece, che nelle Arti Marziali è proprio della nostra Scuola e MAI ho incontrato in altre:
-       L’atteggiamento dell’insegnante che adotta il metodo dell’inchiesta, si riflette sul suo comportamento. Quando lo vedete in azione, osservate che:
E’ raro che l’insegnante dica agli studenti che cosa pensa che essi debbano sapere. (…)
Egli si rivolge agli studenti soprattutto mediante domande. (…)
In generale, non accetta una sola affermazione come risposta a una domanda.
Le sue lezioni prendono forma sulla base delle risposte degli studenti e non di una struttura “logica” preordinata”. (ibidem)

-       “Al nostro insegnante che adotta il metodo dell’inchiesta, o “induttivo”, importa anzitutto di aiutare i propri studenti a diventare più abili nell’uso di tali metodi.
Egli misura il successo riportato sulla base del cambiamento intervenuto nel comportamento dei suoi studenti”. (ibidem)

-       “Lo studente deve essere il centro di ogni programma da svolgere. (…) i nostri programmi devono cominciare con quello che egli sente, con quello che di cui si occupa, che teme, per cui si commuove” (ibidem)

Il libro prosegue esplorando la comunicazione scritta e la possibilità d’uso della persuasione in diversi ambiti professionali.

Io mi fermo qui, confidando di avere suscitato in te lettore di questo blog la curiosità tale per aprire il libro di Nardone e, leggendolo, utilizzare ed adattare le sue intuizioni ai campi che a te sono più consoni.
Buona lettura!!




1. Il costrutto operativo centrale è quello di “tentata soluzione che alimenta il problema” formulato dal gruppo di ricercatori del MRI (Mental Research Institute) di Palo Alto (1974), evolutosi in seguito in quello di sistema percettivo-reattivo da Giorgio Nardone e che identifica tutto ciò che è messo in atto dalla persona e/o dal sistema intorno alla persona per gestire una difficoltà e che, reiterato nel tempo, mantiene e alimenta la difficoltà conducendo alla strutturazione di un vero e proprio disturbo.
Tuttavia la tradizione pragmatica e la filosofia degli stratagemmi come chiave del problem solving strategico vantano una storia più antica. Strategie che sembrano moderne possono essere rintracciate, ad esempio, nell’arte persuasoria dei sofisti, nelle antiche pratiche del buddhismo zen e nell’arte cinese degli stratagemmi, così come nell’antica arte greca della métis. (https://www.centroditerapiastrategica.com/listituto/il-modello-di-psicoterapia-breve-strategica/)

2. Per chinesfera o spazio personale, secondo la definizione di Rudolf Laban, danzatore e coreografo, a cui si deve un radicale mutamento nelle concezioni e pratiche del movimento, si intende l’area  immediatamente attorno al nostro corpo che ha come centro l’ombelico, in cui si sperimentano lo spazio raggiungibile, ovvero le possibilità di allungamento degli arti senza muoversi dal posto in cui si è (spazio della sfera nel contorno);

3. In cinese, il termine indicato è “song”, che non è rilassato quanto “denso”. E’ il risultato di una corretta formazione fisicoemotiva che investa scheletro, tessuto connettivo, tendini, muscoli e organi interni coinvolgendo, in sintonia, gli aspetti emotivi e la stessa cosmogonia taoista, in particolare i cinque elementi.
Nel campo marziale, in questa direzione, ben si distingue la Scuola Tao Garden del Maestro Mantak Chia, mente, più in generale nel campo corporeo, una notevole impulso è dato dall’Anatomia Esperienziale di Jader Tolja.








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