venerdì 13 giugno 2025

Corpo e immaginazione: Le pratiche somatiche tra l’immaginario del Taiki Ken e di Bachelard. Ovvero del perché di sollevare manubri, kettlebell e ghisa non mi importa nulla

“Il Movimento non ha uno scopo ma un Senso.

Lo scopo si trova fuori di noi, il Senso dentro di noi”

(S. Spaccapanico Proietti) (1)

1. Introduzione: L'Immaginazione Come Strumento        Corporeo


Gaston Bachelard , filosofo (1884 – 1962) definisce la reverie come una forma di immaginazione aperta e contemplativa, un esplorare della mente che si libera dalle costrizioni della logica e della razionalità. Diversamente dal sogno, che spesso segue percorsi involontari, la reverie è un'attività poetica e creativa, in grado di ampliare la percezione sensibile e di arricchire l'esperienza estetica.

Nell'esperienza sensibile, la reverie consente una connessione profonda con il mondo circostante, trasformando elementi quotidiani in oggetti di meditazione poetica, capaci di farci approdare a stati di coscienza espansa. Attraverso questa dimensione onirica della coscienza, Bachelard evidenzia come la sensibilità e la percezione umana possano essere elevati dall'immaginazione, creando un dialogo intenso tra il soggetto e il suo ambiente. In questo senso, la reverie diventa un ponte tra realtà e sogno, tra percezione e emozione, tra il vissuto e il possibile.

Citando ed amplificando un suo esempio: Nel guardare (non vedere, ma guardare. 2) il ramo di un albero, trascuriamo la forma esteriore per immedesimarci nella forza di torsione dello stesso, il suo sforzarsi di evadere dal tronco per esplorare l’ambiente attorno, oppure nello sforzo del tronco di trattenere l’evadere del ramo, oppure ancora nella spinta, nella propulsione del tronco ad indirizzare il ramo all’esterno. Sarà la sensibilità dell’osservatore, l’esperienza carnale da lui vissuta in quel momento, a privilegiare l’uno o l’altro aspetto.

La reverie di Gaston Bachelard, intesa come fantasticheria poetica e stato di coscienza espansa, trova ampie affinità nella concezione taoista, soprattutto nella visione della spontaneità e della contemplazione naturale.

Nel Taoismo, il principio del wu wei ovvero l'azione senza sforzo, richiama l'idea di una rêverie fluida e naturale, dove la mente si lascia trasportare senza costrizioni. Inoltre, lo Zhuangzi (Zhuang Zhou), (uno dei testi fondamentali del Taoismo), descrive stati di coscienza simili alla rêverie, in cui il pensiero si libera dalle strutture rigide della logica e si apre a una percezione intuitiva del mondo.

Ad esempio, nel sogno della farfalla di Zhuangzi, il filosofo racconta di aver sognato di essere una farfalla e, al risveglio, di non sapere più se fosse un uomo che aveva sognato di essere una farfalla o una farfalla che stava sognando di essere un uomo. Questo paradosso esprime una visione della realtà simile alla rêverie bachelardiana, dove il confine tra immaginazione e realtà si stempera e l'immaginazione diventa un mezzo di esplorazione esistenziale.

Due culture diverse per ambiente ed epoca storica, eppure simili nell’approccio alla realtà

“Non vi sono solo fantasmi e spiriti nel mondo, vi sono fantasmi e spiriti entro il corpo”

(T. Cleary)



Il Taiki Ken, ma generalmente tutte le Arti Marziali che si definiscono “interne”: Neijia / Naido (3), se correttamente (e tradizionalmente) praticate, non possono non fondarsi sull’uso dell’immaginazione come l’abbiamo descritta nelle righe precedenti.

Immaginazione e visualizzazione, reverie, sono componenti fondamentali per sviluppare la consapevolezza corporea, fisicoemotiva, ed aumentare l'efficacia dei movimenti. Per esempio:

  • Immaginare l'energia interna: Il praticante visualizza il Ki (Chi, energia vitale) che scorre nel corpo, percependolo come un flusso continuo che guida i movimenti.
  • Visualizzare una forza elastica: Si immagina il corpo come una molla o un arco teso, pronto a rilasciare energia in modo spontaneo e naturale. Come ebbi già modo di scrivere in precedenti post, fisicamente si tratta di un corpo e di un bacino che lavorano in direzione opposta e contraria agli arti.(4)
  •  Simulare (non fingere, non pensare a, ma simulare) un combattimento: Attraverso la visualizzazione, si lavora per intuire le movenze dell'opponente e si sviluppa una risposta intuitiva, spontanea e fluida.
  • Connettersi con gli elementi della Natura: Diverse pratiche prevedono l'immaginazione di elementi naturali, come il vento o l'acqua, per costruire una forza pastosa, rendere i movimenti più armoniosi e adattabili, costruire un corpo forte e flessibile non solo nei muscoli superficiali ma coinvolgendo anche muscolatura profonda, tendini, tessuto connettivo e articolazioni. Su questo, ricordo, insisteva particolarmente il Maestro Sun Li, dello Iken, come il Maestro Tokitsu, dello Jiseido. Questi scrive: “Per quanto riguarda il rafforzamento (omissis) ho scoperto che potevo ottenere effetti simili (all’uso di carichi esterni) dagli esercizi con il metodo jia – jie: il prestito immaginario dell’yi chuan" (K. Tokitsu in’ Yi Chuan. Metodo energetico di Wang Xiang Zhai’)

D’altro canto, diversi studi scientifici esplorano il rapporto tra immaginazione e movimento, mostrando come la visualizzazione mentale di un'azione attivi circuiti neurali simili a quelli coinvolti nell'esecuzione reale, concreta, del movimento:

  • Una tesi dell'Università di Pisa analizza le basi neurofisiologiche dell'immaginazione motoria e le sue applicazioni nella riabilitazione e nello sport. Gli studi citati mostrano una forte correlazione tra azioni immaginate ed eseguite, con attivazione delle stesse aree corticali. (5)
  • Diverse riviste scientifiche hanno esplorato l'allenamento ideomotorio e il suo impatto sulla forza muscolare e sulla resilienza motoria. L'elettromiografia di superficie ha dimostrato che l'immaginazione di un movimento può generare segnali bioelettrici simili a quelli prodotti durante l'esecuzione reale. (6)

Insomma, pensiero taoista, pensiero filosofico occidentale, pratiche marziali cino-giapponesi, letteratura scientifica contemporanea, tutti concorrono ad evidenziare la capacità della pratica ideomotoria per migliorare le prestazioni fisiche.



2. La Materia dell'Immaginazione in Bachelard

La materia vissuta è un concetto che si intreccia profondamente con la dimensione sensoriale e immaginativa dell’esperienza umana: Non è solo materia fisica, ma materia percepita, interiorizzata e trasformata attraverso il vissuto soggettivo.

Immergersi in pratiche corporee rette da uno stato di reverie trasfigura il mondo materiale. In questo stato, non solo gli oggetti, gli ambienti non vengono più percepiti solo nella loro concretezza fisica, assumendo un valore simbolico e poetico, ma lo stesso agire fisico si arricchisce di una potente formazione fisicoemotiva, che investe tanto un rafforzamento fisico integrale, quanto dona ad ogni gesto una ricchezza emotiva personale. Se il Maestro Hiroo Mochizuki affermava che ogni umano flette l’avambraccio sul braccio e nessuno agisce il movimento opposto, facendo di questa affermazione geniale intuizione didattica nella diffusione del suo Yoseikan Budo (lo stesso gesto che è controdiretto e calcio diretto all’indietro è anche proiezione al suolo per spinta. Pare ovvio, ma è terreno ancora sconosciuto ai più a distanza di oltre mezzo secolo da questa geniale intuizione), possiamo aggiungere che lo stesso gesto “meccanico” ha significato e simboli diversi per ogni soggetto praticante. Questo comporta non solo l’importanza di una didattica ed una pedagogia / andragogia che tenga conto della soggettività dell’allievo, ma consente allo stesso, col tempo e la consapevolezza, la creazione di un suo stile particolare, unico, di gestualità e movimento.

Se una tavola di legno può diventare un frammento di ricordo infantile, una finestra aperta può evocare una nostalgia di libertà o un senso di vertigine, lo scatto del braccio avanti, l’evitamento del tronco, assumeranno contorni e un “senso” diverso per ogni praticante.

Attraverso la reverie, ogni gestualità si anima di significati, di memorie e di stati d’animo. La percezione del mondo fisico non è più solo oggettiva, ma si fa intima e sensibile, dando luogo a una forma di esperienza che è profondamente soggettiva, artistica. È un modo di abitare il mondo che trascende la pura funzione degli oggetti e delle azioni e che li trasforma in presenze vive, capaci di dialogare con la nostra interiorità.

“E’ il buco del centro (della ruota, del non essere) che la rende utile. Il vuoto del vaso lo rende utile. Porte e finestre, buchi della stanza, la rendono utile.

(Lao tzu)



3. L'Immaginazione Somatica nel Taiki Ken

Il Taikiken, Arte Marziale giapponese ispirata allo Yi Quan cinese, enfatizza il movimento naturale e l'intuizione corporea. Uno degli aspetti più affascinanti di questa disciplina è l'uso dell'immaginazione nella pratica marziale: il praticante non si limita a ripetere tecniche predefinite, ma sviluppa una sensibilità istintiva attraverso esercizi di visualizzazione e percezione interna.

Nel Taikiken, l'immaginazione gioca un ruolo chiave nel migliorare la fluidità e l'efficacia dei movimenti ed è pratica consolidata l’agire immergendosi in ambienti che, con varia intensità, contrastano ogni gesto rafforzando la percezione e la concreta efficacia meccanica: Camminare come se si fosse nel fango, sentirsi sospesi nell'acqua, affrontare folate di vento, fino alla creazione personale e personalizzata dei modi di “contrasto” esterni più consoni alla personalità di ogni singolo allievo.


Il Taikiken non impone schemi rigidi, ma invita ogni individuo a scoprire il proprio modo di muoversi, basandosi sulle proprie caratteristiche fisiche e mentali. Questo rende la pratica altamente personalizzata e profondamente connessa alla percezione interiore di ognuno.

Dunque, percepire la fluidità e la resistenza senza la necessità di un impatto reale, di un peso esteriore, ma agendo di corpo come se questi ci fosse. Sviluppare propriocezione, equilibrio e forza interiore attingendo ad un lavoro interno: Neijia / Naido. Altrimenti, che Arte Marziale interna sarebbe se il praticante utilizzasse pesi e manubri per potenziarsi fisicamente e marzialmente?

 



4. Conclusione: Un Corpo Artistico

ll legame tra il gesto immaginato e la rêverie bachelardiana si radica nella concezione di Gaston Bachelard e prima di lui dei taoisti, dell'immaginazione come forza creatrice e trasformativa. La rêverie, secondo Bachelard, è uno stato di coscienza sospeso in cui il pensiero si dimentica di sé e si lascia trasportare dalle immagini senza vincoli razionali.

“Tranquillità nel disturbo significa perfezione”

(Chuang tzu)

Il gesto immaginato, in questo contesto, può essere letto come un atto mentale che anticipa o evoca un movimento senza necessariamente compierlo fisicamente o, nel compierlo realmente, arricchito di presenze estranee, esterne, queste sì immaginate (non pensate, ma immaginate 7.) capaci così di trasformare l’attore in tutto il suo essere fisicoemotivo.

In una pratica siffatta, il gesto diventa un'esperienza artistica e sensoriale, un modo per abitare il possibile e dare forma a mondi interiori, il terreno per creare una personale gestualità dall’interno verso l’esterno (8) e non viceversa, come accade generalmente nei masticatori di arti e stili e tecniche imparate copiando, memorizzate ripetendo, ed apprese con l’addestramento da fonti imposte, da quella che è l’autorità del momento.

E’ chiaro che la rêverie non è un sottrarsi alla realtà, ma anzi un modo per intensificare la percezione e arricchire l'esperienza. Il gesto così vissuto si inserisce in questa dinamica come un atto che non solo prefigura l'azione, ma la trasforma in un'esperienza estetica e artistica.

Il corpo è lo strumento attraverso cui percepiamo e interpretiamo il mondo. Non è solo un mezzo meccanico, ma un veicolo sensoriale e poetico che ci permette di costruire la realtà attraverso l’esperienza diretta.

“L'uomo vero respira dai talloni”

(Chuang Tzu)

La fenomenologia (9), nelle sue diverse correnti, ha evidenziato come il corpo sia radicato nella percezione e nella relazione con lo spazio, rendendo la realtà non un dato oggettivo, ma un fenomeno vissuto. La sensibilità corporea diventa così un atto creativo, un modo di dare forma al mondo attraverso il movimento, il tatto, la postura e il respiro.

Se nelle diverse arti figurative, nella letteratura, il corpo è sovente rappresentato come un ponte tra il visibile e l’invisibile, tra il concreto e il simbolico, a maggior ragione nelle pratiche in cui è esso stesso ad esprimersi si trova il terreno di caccia per esperienze di stati di coscienza espansa, di contatto sottile con il mondo “dentro” di noi quanto “altro” da noi.

Per questo amo così tanto il fare marziale,

purché praticato in chiave artistica e non meccanica, imitativa.

Per questo comprendo e giustifico gli allenamenti / addestramenti con pesi, kettlebell e ghisa per chi voglia rapidamente raggiungere prestazioni agonistiche, sportive, di livello, modo certo più rapido di un percorso di crescita artistica interiore (Neijia / Naido). Praticanti /atleti legittimamente interessati unicamente alla performance sportiva, alla coppa o a un titolo di campione e non alla pratica artistica e tantomeno alla personale crescita interiore.

Questo è pure comodo modo alla portata di chi legittimamente non è interessato a sapere di sé e del suo posto nel mondo ma piuttosto ad ottenere una cintura nera, un grado “superiore”, una muscolatura possente, la conoscenza di cento forme e mille tecniche (waza), purché non pretenda che io, o altri artisti del Neijia / Naido gli riconosciamo la figura di praticante, di esperto, di una qualsivoglia Arte che si richiami al lavoro interno, qualsiasi nome ad essa appiccichi.

 

1.   1.   Masso-fisioterapista ed osteopata, ideatore del ‘Movimento Biologico’

2.     2"Vedere" deriva dal latino "vidēre", indica la percezione visiva, la capacità di percepire immagini e oggetti con la vista. "Guardare", invece, ha origine dal germanico "*wardōn" (o "*werdōn"), che significa "osservare, stare in guardia, proteggere", e implica un volgere lo sguardo attivo, intenzionato e coinvolgente consapevolmente la sfera emozionale.

3.     3Una concezione generalmente diffusa, ancorché grossolana, definisce le Arti Marziali esterne basate sulla forza muscolare, mentre le Arti Marziali interne sulla trasmissione del Ki, energia interna. Senza dilungarmi oltremodo, personalmente intendo, per “interno”, il formarsi attraverso il sistema parasimpatico e non quello simpatico, l’attivazione della muscolatura profonda, dei tendini e del sistema mio-fasciale in sinergia con il campo emozionale, ovvero una pratica consapevolmente fisicoemotiva, fino al coinvolgimento degli organi interni; il tutto volto, attraverso l’esperienza dello scontro, del conflitto, alla conoscenza e al miglioramento di sé e dell’ambiente circostante. Dubito fortemente che qualsiasi Arte Marziale priva di queste caratteristiche, anche se la si etichetti nel quadro delle Arti “interne”, possa definirsi tale e possa consentire al praticante di percorrere correttamente e sensatamente il percorso dal Bujutsu (il combattere per sopravvivere) al Do (il vivere individuo autodiretto, entusiasta, erotico, attore propositivo all’interno di una comunità).

4.     4. Ogni percorso immaginativo si sostanzia sempre di un movimento fisico ben preciso ed attuato investendo correttamente catene cinetiche, torsioni articolari e spirali, senza le quali si tratta solo di … vaneggiamenti!!

5.    5.  Andrea D’Arata ‘Immaginazione motoria: basi neuro – fisiologiche e applicazioni’ presso Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale. 2016

6.     6. Tra gli altri, Alessandra Calcinotto ‘Valutazione degli effetti dell’immaginazione ideomotoria attraverso l’elettromiografia di superficie’ in Scienza e Movimento. Gennaio – Marzo 2015

7.     7. “prima viene l’immagin’azione e poi la visione dipendente da una vista che percepisce influenzata da immagini già acquisite, sia pure ancestralmente” (S. Guerra Lisi & G. Stefani ‘Il corpo matrice di segni’)

8.    8.  La consapevolezza interiore aumenta l'efficienza fisica, che a sua volta permette di migliorare la tecnica. Stiamo quindi parlando di una tecnica che scaturisce dall'interiorità verso l'esterno, anziché seguire il percorso inverso” (J. Whitmore ‘Coaching’. Citato in https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2025/06/le-tre-qualita-che-fondano-una-buona.html)

9.    9.  La fenomenologia è una corrente di pensiero che si occupa dello studio dell’esperienza vissuta, ovvero di come le cose appaiono alla coscienza umana. Oltre che alla filosofia, la fenomenologia può essere accostata ad altre discipline che si interessano dei fenomeni della vita, come la psicologia, la sociologia, la pedagogia e l’antropologia. Queste discipline, infatti, si basano sull’analisi dei modi di essere e di agire degli individui e dei gruppi sociali, cercando di cogliere il senso e il significato delle loro esperienze. La fenomenologia, quindi, offre un metodo e una prospettiva per esplorare la realtà umana in tutte le sue sfaccettature, senza ridurla a schemi astratti o a leggi universali (https://www.ilpensieromediterraneo.it/la-fenomenologia-cose-in-definitiva/)

 

 


 

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