Sentimenti contraddittori mi danzano dentro. Seguendo i ritmi del cuore mi trovo spaesato a non capire.
Ma, poi, perché capire, voler capire a tutti i cost?
Chiudo gli occhi per non vedere, dai vetri della finestra
di casa, correre le prime ombre della sera. Una mano contro il cuore, l’altra a
tirare i fili delle mie ferite, delle domande senza risposte.
Siamo invasi da gente che si mostra sorridente, sempre, sui
social e più nessuno che abbia imparato a stare male, a reggere l’urto della
sconfitta senza fingere di “stare bene”, di appellarsi alla “resilienza” o di
cercare riparo presso un farmacista della mente dispensatore di ricette
salvifiche.
Siamo invasi dall’ossessiva ricerca di capire, capire
qualsiasi cosa vicina o lontana, semplice o complessa; di emettere giudizi su
tutto e tutti.
Eppure….
Forse non capire è chiudere la porta ovvia del conscio,
dell’interpretare l’altro da sé solo ed unicamente secondo i propri parametri,
le proprie sicurezze, ed affacciarsi invece all’inquietante e libera stanza
dell’inconscio, aspettando pazientemente un senso che ci indirizzi, coltivando
l’arte della consuetudine a non pretendere di capire subito.
Per comprendere a fondo qualcosa occorre accettare di non
comprendere subito, immediatamente, risposta pronta e repentina ad ogni
questione, ad ogni domanda, ma entrare in quella disposizione fisicoemotiva che
richiama alla passività, alla vulnerabilità, all’attesa. Al Tao.
Forse per accettare di vivere occorre accettare anche la
mancanza, la sofferenza, che sono anche loro nutrimento del nostro vivere. Non
fosse perché, per dirla con Meister Eckhart: “Nulla sa più di fiele del
soffrire, nulla sa più di miele dell’aver sofferto”. Unico modo per
costruire esperienza.
La tempesta nel cuore ha aperto
correnti scure e profonde, ora danzo ritmi marziali, forti e flessibili
insieme, più leggero di un alito di vento, più denso di un grumo di gomma.
E’ anche questo il messaggio, la voce che passa allo Spirito
Ribelle: Intuizione, apertura, accettare lo smarrimento, stupirsi una volta
e poi una volta ancora, scompensare certezze ed aprire varchi di dubbi,
accettare di non comprendere aspettando la percezione del corpo.
Attraverso la pratica corporea del conflitto, che è conflitto
con se stesso prima ancora che con l’altro, portiamo dentro la pienezza del
vivere, dentro il nostro quotidiano, l’accettazione del disagio, della
sofferenza e del non capire. Costruiamo, o almeno tentiamo di costruire,
individui vitali ed erotici. Soprattutto individui vivi.
“La
cosa non si esaurisce nel suo scopo, ma si attua nel suo svolgimento”
(G.W.F.
Hegel)
Nessun commento:
Posta un commento