Scrivo di riscaldamento di stampo ginnico, fatto di saltelli, corsa, piegamenti sulle braccia ecc. “Ginnico”, appunto, quello generalmente diffuso sia nelle palestre che in Dojo e Kwoon.
Un artista marziale, uno che pratica e studia l’arte del confliggere, dello scontrarsi, del simulare il salvare la pelle togliendola ad un altro, dunque che contatta la pulsione di morte, come avviene nell’arte della spada; uno che pratica e studia l’arte dell’energia interna, dell’accrescere il proprio potere personale, dello stare bene, stare meglio, al mondo, come avviene nell’arte del Chi Kung, ecco, questi che se ne fanno di un riscaldamento “ginnico”?
Ad un valido riscaldamento
chiediamo che induca una pluralità di effetti benefici: combattere la passività
dei corpi sollecitando il gusto di muoversi, attivare i fondamentali schemi
motori, bilanciare il tono posturale, tutti elementi certamente presenti nel
riscaldamento di stampo “ginnico”. Questo è solo un primo passo in cui,
comunque, le proposte “ginniche”, per essere valide, devono già avere un senso
compiuto, un progetto meccanico – motorio. Il riscaldamento “ginnico” sarà
tanto più efficace quanto più sarà costituito di esercizi “ginnici” diversi a
seconda dell’importanza data poi nell’allenamento alla catena postero –
mediana, deputata all’impegno nell’agire, allo scontro, oppure alla catena
antero – posteriore deputata ad appoggio e rimbalzo, ecc.
Nella pratica di Arti Marziali, perché il riscaldamento sia
davvero una porta aperta sulla pratica artistica del simulare uno scontro per
la vita e/o l’arte della scoperta della consapevolezza di sé e dell’autodeterminazione
sulle proprie scelte, credo che occorra ben altro. Infatti, strutture
corporee diverse sostengono differenti funzioni psichiche, in modo
relativamente specifico.
Mi pare evidente che l’atteggiamento mentale,
fisicoemotivo, di un individuo teso a perdere peso, ad aumentare la massa
muscolare, a gareggiare nella pallavolo, ecc. non sia lo stesso di chi simula
(non finge, “simula”) un assassinio, l’uccisione del suo opponente. Stati
mentali simili (seppur non uguali) si potrebbero trovare in chi pratica sport
da combattimento, ma, a mia esperienza, non ho ancora trovato luoghi dove
questo particolare stato mentale, fisicoemotivo, sia davvero esplorato e
costruito anche attraverso pratiche motorie, un riscaldamento, ad hoc,
specifico. (1)
A mia esperienza, occorre accompagnare il praticante
marzialista verso uno stato fisicoemotivo diverso da quello con cui ha varcato
la soglia del Dojo: Una disposizione espansa di coscienza; una disponibilità a
lasciare il linguaggio verbale per abbracciare il pensiero analogico e il mondo
delle immagini; uno sprofondare nel mare delle emozioni; un contattare la
personale componente distruttiva sapendola gestire ed indirizzare.
Così io intendo il
“riscaldamento”: apertura verso l’avventura artistica marziale, combattente;
altrimenti è solo una pratica “ginnica”, più o meno buona a seconda delle
conoscenze del docente, che prepara ad una pratica altrettanto ginnica,
sportiva. Cosa del tutto lecita, ma che, occupandomi di Arti Marziali, non mi
interessa.
Per questo il “riscaldamento” che io propongo si avvale di
esercizi e giochi atti a facilitare il passaggio ad una condizione
fisicoemotiva in cui i corpi protagonisti siano corpi artistici, più che
atletici, corpi che sappiano stare nel conflitto.
“L’esistenza dell’artista è armoniosa perché
egli riesce nel difficile impegno di
dominare le opposte paure, quella di vivere e
quella di morire”
(A. Oliverio Ferraris,
psicologa e psicoterapeuta, ‘Psicologia della paura’)
“La
riluttanza ad uccidere (che sia innata o appresa), il senso della sacralità
della vita umana, le emozioni, il rimorso, la compassione:
tutto può essere superato e
azzerato tramite l’addestramento”
(D. A. Grossman, ex tenente
colonnello dell’esercito USA, ‘On combat’)
Perché c’è una differenza: non
meglio o peggio, ma di cuore della pratica, di testo stesso della pratica e di
obiettivi tra praticare fitness o sport e arte marziale: Contattare la pulsione
di morte, la spinta alla distruzione, è l’elemento senza il quale non esiste
alcuna pratica marziale, combattente, e questo contatto inizia già nel
riscaldamento.
1. Due osservazioni in merito:
La prima è che, nella simulazione di una uccisione, il
percorso marziale sano è individuare in se stessi la prima e fondamentale
preda da cacciare, altrimenti si scade in un delirio distruttivo e di
onnipotenza dagli esiti disastrosi.
La seconda è che prassi ed atteggiamenti beluini ed
iperaggressivi, quando evidenti nelle competizioni sportive, per esempio nelle
MMA, dove l’arbitro deve intervenire per evitare che un atleta infierisca
sull’avversario ormai fuori combattimento, testimoniano di un contatto con la
pulsione di morte del tutto incontrollato. Fuori controllo probabilmente perché
ignorato nella sua esplorazione consapevole proprio nell’allenamento,
riscaldamento compreso. Infatti, dopo i combattimenti più cruenti e lo stacco temporale
imposto dall’arbitro e dai tempi dello spettacolo: “Terminate le ostilità,
le relazioni tra avversari tornano per lo più normali” (A. Dal Lago ‘Sangue
nell’ottagono’).
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