Lo scorrere degli anni è anche
l’ingresso, ormai da un triennio, nella decade che, a Dio o al grande Coniglio
o al Manto del Mistero piacendo (ognuno di voi scelga quale, o altro, punto di
riferimento ed origine più gli aggrada), mi sta conducendo verso l’ottantesimo
compleanno.
Mentre chiedo alle Moire, inflessibili divinità del
destino, di concedermi altri anni da vivere in salute, mi sovviene una severa
riflessione.
Credo, ne sono certo, che ad ognuno sia data la facoltà di
imparare, sempre.
Non lo fermi il tempo, e tutto quello che ti è accaduto non
puoi fare che non sia successo. Ti resta però, sempre, l’istante del “qui ed
ora”, sfrontata sfida all’eterno.
Così, qualcosa accade dentro e fuori di me, e mi gusta
farne strumento sensibile per provare a comprendere l’altro che mi sta accanto.
Perché osservare la diversa organizzazione del movimento di ognuno apre le
porte della consapevolezza, la sua quanto la mia. E’ il dono che porta
l’insegnare. E’ una porta aperta sull’espressione artistica.
Il mio compito, compito di
Sensei qui allo Spirito Ribelle, non è insegnare un gesto “tecnico”, un
modo giusto per muoversi, non è obbligare alla fedele copia del gesto dato. Il
mio compito è proporre esperienze motorie, concrete esperienze fisicoemotive
perché ogni allievo, ogni praticante, porti in figura quel suo movimento dal
quale origini il suo personale stile di movimento, suo e solo suo, non
omologabile a quello di altri.
Il mio compito è vegliare perché, ad ogni incontro, nessuno
dorma sull’orgoglio di quanto appreso in precedenza, ma sempre si nutra ed
arricchisca delle prove che fa di sé corpo, delle sensazioni del proprio corpo
e di come le legge ed interpreta attraverso le proprie percezioni, fino alla
capacità di essere testimone non giudicante del movimento degli altri.
Ogni individuo non può non essere, non può finire prima di
essere cominciato. O almeno questo è l’imperativo che mi sorregge nel tentativo
di proporre una Via di conoscenza e crescita, Via che è Budo.
Poi, certo, a fronte del furore e della reiterata
insistenza di una cultura iper moderna, quella che vuole ad ogni costo
fagocitare il potenziale “cliente”, che spinge alla pubblicità invasiva, quella
per cui ogni modo è buono per accaparrarsi un allievo, quella del marketing
compulsivo, balugina il motto della Tradizione asiatica: “Quando
l’allievo è pronto, il Maestro arriva”. Punto.
Però… forse residuo di una concezione di vita, di una
cultura occidentale che non si rassegna ad attendere ma vuole, pretende, di
fare, quale modo c’è (sempre che ci sia modo), di accompagnare il curioso,
quello che ci incontra per caso e suo malgrado, ad essere pronto?
Mentre ci rifletto, ecco
un’ipotesi, una possibilità dalle tinte fosche: Che grottesco scherzo sarebbe,
pensiero irriverente, se a non essere pronto fosse il Maestro, se fosse questi
a non cogliere i diversi sentieri che comunque portano dentro il Sapere. Se
l’ameba, improvvisamente e di suo, sapesse trasformarsi tigre.
Oppure, e qui le tinte da fosche si fanno nero pece, senza
via di scampo, se il destino, quello ricco e provvido di fortuna, spettasse
alle amebe e non alle tigri… già, perché, segnali inquietanti ovunque, pare
proprio che l’estinzione a breve tocchi a queste ultime e non alle prime.
Ricordando la fascinosa Patty Pravo, questo non lo vivo
affatto come un “pensiero stupendo”.
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