“ Un
uomo è molto più raro di un uomo onesto”
(G. Simenon “il destino dei Malou “)
Da
decenni sono refrattario ai romanzi, lettura che mi concedo solo nel canonico
mese di “ferie estive”.
Ci
furono, sì, gli anni in cui li “divoravo”. Nella mia adolescenza lessi di
tutto, da Pasternak a Dos Passos, da Hemingway a Goethe. Poi, complice la
“sbornia” politica, mi gettai sui saggi e
… non ho più smesso.
Eppure,
stimolato da quanto ho letto attorno al film “Educazione siberiana” di Gabriele
Salvatores ed in attesa di vederlo ( devo aspettare che Lupo sia via da Milano
!), entro alla Feltrinelli così, per “kazzeggio”, e mi trovo a comperare il
libro di Lilin (1) da cui è tratto il film.
Il mio "Lampo Nero", un UWK della Cold Steel |
Lettura
piena, coinvolgente.
La
cui forza potente, a tratti prepotente,
dell’educazione maschile e al maschile, si mischia fino a confondersi,
ad amalgamarsi, con la cultura e la pratica del delinquere.
Giovanissimi,
bimbi, instradati sulla via della violenza e della delinquenza, in una cornice
di valori, per me, totalmente condivisibili nell’essenza; in una trasmissione
di saperi, dall’anziano al giovane, solida e maschia.
E’
questo che mi ha destabilizzato.
Ci
può stare che oggi e nella società cosiddetta normale il passaggio di saperi,
contrariamente a quanto avveniva una volta nella stessa o, come narrato nel
romanzo, nella società criminale, sia ormai indebolito, quando non addirittura
capovolto, a favore dei più giovani. L’evoluzione tecnologica pone
inevitabilmente l’anziano in posizione down rispetto al giovane. Sono gli anni
post 2.000 quelli in cui, per la prima volta, le parti si sono invertite: sono
i giovani a saperne di più degli anziani, ad insegnare loro.
Ci
può stare, certamente. Anche se il moloch tecnologico oscura, tra realtà virtuale,
un vivere tutto “fast” ed una banalizzazione emotiva dilagante, proprio i
valori, le radici, la Tradizione insomma.
Quel
che più mi ha sconcertato è, tuttavia, il mio spontaneo riconoscermi in una
sorta di educazione “alla siberiana” appunto, che, quando mi guardo attorno,
trovo del tutto scomparsa nella società odierna.
Restiamo
anche solo nell’alveo familiare.
E’
tramontata ( meglio così!) la figura del padre padrone, autoritario e
completamente assente dal quotidiano educare, spettandogli solo il compito di
punire il figlio.
Mi
trovo personalmente distante da quello che il pedagogista Daniele Novara chiama
il “padre pelouche”, tutto amico e complice del figlio. Con ciò incapace di
mostrargli, a partire dall’esempio, obiettivi di vita e confini entro cui
muoversi, di incoraggiarne coraggio ed audacia unitamente al senso di
responsabilità e generosità.
Ecco,
dove è, invece, il padre educatore, formatore ?
Il piccolo Lupo, in piena formazione marziale |
Quello
che sa spiegare e dare le regole invece di limitarsi agli ordini; capace di
stare al fianco del figlio quanto di fargli da contenimento nei momenti
estremi; capace di introdurre il figlio al senso della fatica e del dovere
perché ogni ostacolo affrontato e superato è una prova di crescita e
rafforzamento dell’autostima; una padre in costante tensione tra autonomia e
rispetto.
Quanto
sopra, senza spulciare nella disastrata
istituzione scolastica o nei grotteschi e cafoni messaggi televisivi. Ambedue
complici nell’appiattimento culturale e valoriale, nel sostegno a questi eterni
e nevrotici adolescenti, che restano tali anche a trenta o quarant’anni.
Libro
intenso, appunto, letto in pochi giorni. Libro dai tratti, per me, inquietanti
perché, fatte le debite proporzioni tra la Siberia e l’Italia, tra il mondo
della delinquenza e quello della (apparente ?) normalità, prese le dovute
precauzioni d’uso, mi ci ritrovo.
Perché
non rinnego il mio profondo amore per i miei figli, il gusto di abbracciarli e
baciarli, di non nascondere nulla dei miei sentimenti teneri nei loro confronti,
come l’occuparmi quotidianamente di loro, sin dagli anni della nascita, col
cambio del pannolino, il bagnetto, le visite dalla pediatra, il biberon
notturno, poi la spesa al supermercato, la preparazione delle pappe e poi il
colloquio con le maestre, ecc.
Il
che, per altro, non mi impedisce di indicare loro una Via, di offrire loro
prove di coraggio e maschia generosità, di contenerne gli esuberi disordinati
mai sottraendomi al ruolo di padre.
Quanto
c’è di “educazione siberiana” in tutto questo ?
“Un
padre che, proprio perché ama i figli, ed è profondamente affettivo, non si
sottrae alla sua funzione di fornire loro indicazioni, norme, visioni del
mondo. Un materiale di conoscenze e valori che spesso i figli rifiuteranno, o
accantoneranno per lungo tempo nella loro vita. Un dono paterno di cui hanno
tuttavia assoluto bisogno, per costruire, nel confronto con esso, la propria sicurezza
e la propria libertà”
(C. Risè “Il mestiere di padre”)
(1) Lascio
volentieri ad intellettuali nevrotici ed invidiosi ( toh, quante donne in
questa fila di ipercritici e nei commenti acidi !!) la messa in discussione del
libro a partire dalla veridicità o meno
di quanto narrato
http://www.memorialitalia.it/2012/07/11/bufala-tatuata/ ; http://lapersonaggia.blogspot.it/2013/03/maleducazione-siberiana.html
Sarà perché non sono così
ignorante da non conoscere Bettelheim, Propp, Demetrio e tutto il pensiero che
sa attribuire senso psicologico o allegorico alle narrazioni. O semplicemente
sarà perché sono padre. Così, il libro di Lilin mi permetto di consigliarlo non
solo a tutti i padri, ma anche ai maschi adulti che padri non hanno voluto
essere mancando una tappa fondamentale dell’adultità, e pure a quelli che, nonostante l’età
anagrafica, adulti, in personalità e registro emotivo, ancora non lo sono. Magari,
magari, questi ultimi qualcosa imparano.
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