Pratichiamo all’aperto, giardini Indro Montanelli, Milano. E questo ci impedisce di cingere ai fianchi l’acciaio, quello vero, quello affilato.
Quello che, guerrieri veri, ci fa inseguire i morti perché non siano loro a inseguirci, ci fa sospendere in un tempo senza fine che abortisce il nascere di un nuovo giorno portatore di pensieri distorti
E’ Sabato 19 Settembre,
primo
Seminario Kenshindo
della
stagione 2020 – 2021.
E’ katana e kodachi da
“allenamento”, impugnati e vissuti come acciaio vero, quello affilato.
Inizia, ancora una volta, il
viaggio di un uomo, di un guerriero, che si rifiuta di essere intrappolato
nelle tagliole delle mille lacrime, delle mille scuse, delle mille
recriminazioni, delle mille accuse al destino abusato.
L’uomo, il guerriero, che combatte nel circo che porta alla
morte uccidendo se stesso, e non gli altri, per sopravvivere; spargendo sangue
forse non innocente, il suo, quello che stava cercando nella sua vita: stare in
piedi e combattere per non farsi umiliare, per non morire.
Sta a lui, fronte
allo specchio, spezzare le catene di suddito obbediente davanti a chi lo ha
incatenato.
Sta a lui mutare l’incubo che gli tormenta la mente in realtà di vitalità ed erotismo appassionato.
Ryo - to, la scherma con due spade, lunga e corta, a tracciare confini labili, che solo il coraggio può attraversare ed attraversare ancora.
Corpo sapiente, centro interiore, profondo, che detta gesti
e traiettorie altrimenti impossibili nella loro rapacità, nella loro azione
fulminea che non offre scampo e tutto divora.
Guerriero implacabile, con
l’anima mortale, al suo fianco fratelli della ribellione a spezzare le catene
che lo vorrebbero schiavo.
Mi chiedo se davvero posso io
dire che le cose potrebbero non essere come sembrano, se davvero posso io
scompigliare i fatti della vita come mi sono proposti, come mi sono imposti.
Poi mi arrendo al potere dell’acciaio. Che è libertà, è violenza per la liberazione contro nemici che si mostrano e quelli che sono nascosti.
Ora una sola spada, a
ripercorrere duelli prestabiliti.
Ho scelto io di giocare e con ciò sono
libero di scegliere da che parte stare.
Non contemplo l’autodistruzione e nemmeno l’inganno. Le
persone malate, quelle corrose dal pensiero unico, dominante, girano
tutt’intorno, ognuna così simile a feroce tiranno.
Però so anche che ogni persona accanto ha briciole di fuoco
sotto la cenere, ogni persona accanto forse sta combattendo una sua personale
battaglia di cui io non so nulla e per la quale si rifiuta di cedere.
Allora so che devo essere gentile, sempre.
Sento che non voglio
rinunciare, che è un diritto, persino un obbligo morale, lottare per una vita
migliore da condividere con chi ci sta, con chi non abbandona la propria spada
su uno spoglio altare.
Alti e bassi, cadute e risalite nella corsa della vita,
quella che non si ripeterà più.
In cerchio, tra allievi che sono amici da anni, alcuni da decenni, il respiro si è fatto calmo e profondo.
Ho scelto io di giocare e con ciò sono libero di scegliere da che parte stare. Guardando i loro volti, ascoltando i loro cuori, so di aver scelto bene, di aver scelto la parte che forse non vincerà, ma mai si piegherà al volgare, al superficiale, alle scorregge di un potere truffaldino e lestofante che tutto, anche la mia anima, vuole divorare.
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