O cosa ?
“Io non possiedo altro che la mia morte, la mia esperienza della morte, per dire la mia vita, per esprimerla, per portarla avanti. E’ necessario che io crei della vita attraverso tutta questa morte. E il modo migliore per giungere a questo è la scrittura”. Così si esprimeva Jorge Semprun (1923 - 2011 ) scrittore e poeta sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti.
A noi, noi che siamo artisti del corpo, del combattimento, spetta sostituire “scrittura” con “Arti Marziali”.
Con ciò entrando nel campo “interno” (Neijia) delle pratiche marziali
Un campo, ohibò, sovente arato e seminato (infruttuosamente !!) da chi, pur usando il termine “interno”, ne sfregia e vilipende ( per come la vedo io) il cuore, l’essenza. Tanto da etichettare come “interno” quel che “interno” non è affatto.
I praticanti fisicisti.
Quelli che muovono il corpo utilizzando una meccanica che studia il corpo come fosse una macchina, per altro una macchina ottocentesca. Quelli delle “ripetute” e dei “carichi”. Eppure:
D: Per chi fa sport a livello agonistico, conosci sistemi diversi dalle tecniche convenzionali di allenamento per migliorare le prestazioni sportive?
R: Esistono molte possibilità. Le metodiche tradizionali normalmente trascurano o utilizzano solo casualmente alcuni principi basilari del funzionamento del corpo. La ripetizione meccanica di un gesto sportivo, come per esempio un tiro in porta, ha lo scopo di sviluppare un certo riflesso, in modo che il corpo lo 'impari' in profondità. Ma se conosci esattamente qual è il riflesso coinvolto, allora puoi lavorarci in modo ancor più diretto facendo eseguire al corpo, in modo attivo o passivo, il movimento che evoca quel riflesso nel modo più puro. Se nel tiro in porta è coinvolto un riflesso controlaterale, questo può essere perfezionato lavorando sul corpo secondo lo schema dei riflessi crociati che presiedono ai movimenti controlaterali (per intendersi, quelli che collegano il movimento di un braccio con la gamba del lato opposto), anche senza toccare la palla. Quando poi il giocatore riprova il tiro, troverà nel suo corpo una scioltezza e una coordinazione che prima non aveva.
Questo perché ogni individuo, anche quando ripete mille volte un movimento cercando di perfezionarlo, di fatto tende a riprodurre solo gli schemi che già possiede, con tutti i loro limiti. Riuscire a evocare un riflesso più sofisticato e più efficace con un lavoro sul corpo lento e profondo, al di fuori del contesto sportivo, significa permettergli poi di utilizzarlo nel contesto abituale in modo assai più efficiente.
( dall'intervista a J.Tolja della rivista svizzera per maestri di sport 'Macolin' )
Una meccanica tanto ignorante da considerare il corpo privo di memorie preconsce ed inconsce, privo di emozioni. Entrare nella vita è, di fatto, “prendere corpo”, dunque qualsivoglia aspetto materiale ( fisiologico, comportamentale, sonoro, ecc.) di un essere vivente è una traccia che riporta ad un vissuto psichico e viceversa. Basti pensare a quali memorie conserva la nostra pelle; memorie addirittura preconsce, che fu la pelle la prima condizione del prendere corpo, del confine tra ciò che c’era “dentro” e ciò che c’era “fuori”: senza un confine non avremmo la forma che “lascia la propria orma quale segno confine di sé” (S. Guerra Lisi). Eppure ogni postura non è solo atteggiamento fisico nello spazio, ma anche espressione emotiva che tramite tale atteggiamento si manifesta.
Un muovere il corpo, questo “fisicista” che si affida al sistema simpatico ( osteomuscolare), dunque al superficiale, al “ginnico”, invece che al sistema parasimpatico (organi interni e viscere), dunque ad un lavoro profondo, questo sì “interno”.
Gli intellettuali.
Quelli che disquisiscono a partire dai libri, dagli scritti dei maestri del secolo scorso ( in genere nemmeno sapendo leggere i caratteri “cinesi”, ma affidandosi alle traduzioni in lingua inglese, quando non alle traduzioni in italiano di traduzioni in lingua inglese di testi scritti in … cinese). Quelli che dissertano sulle differenze tra … e tra …. Quelli che pretendono di conoscere una fare pratico attraverso la comprensione dei testi ed attraverso questa comprensione libresca giudicano la qualità di una pratica. Quelli che stanno a vedere se il dito mignolo della mano destra è posizionato come si legge ( loro leggono nella traduzione) nell’antico testo del Sifu Cian Fru Saglia. Quelli che di “interno”, ovvero della ridda di emozioni che agitano l’individuo, dell’individuo come organismo omeostatico, dove l’organo fisico rinvia a realtà psicofisiologiche, fisicoemotive, le più disparate, nulla sanno e per nulla si interessano. Vuoti contenitori di gesti inconsapevoli, attori di un corpo morto, del tutto dimentichi che il corpo è, invece, realtà semiotica che ci permette di leggere comportamenti, espressioni, emozioni (emos-azioni) dell’umano.
Che c’è d’ interno in tutto ciò ?
Che c’è, nelle pratiche suddette, di scavo emozionale, di processo di individuazione, di salutistico, inteso come individuo creativo, che si autorealizza, fiducioso delle proprie potenzialità a partire dalla scoperta e dal relazionarsi con la propria Ombra, con le proprie insoddisfazioni ed i propri malesseri, come terreno su cui crescere e trasformarsi?
Nulla. Nulla di “interno”, inteso, appunto, come Neijia Kung Fu = “lavoro duro, faticoso dentro”. A scoprire, attraverso l’agire corporeo, l’estraneità che abita dentro ognuno di noi.
Nulla del “morire”, inteso nelle sue diverse sfaccettature di simulazioni del combattere contro uno o più avversari in uno stato di regressione al primitivo, all’istintuale, all’animale; di un morire intellettuale per dare spazio e voce alle pulsioni (eros e thanatos); di un morire come dolorosa incapacità di trovare la propria autonoma risposta al vivere, al “Perché vivo ?” a cui il praticante sano, risponde, attraverso il suo fare, affrontando le domande “Chi sono ?”, “Cosa voglio dal mio esistere?”.
Già, problemi, domande, troppo profondi, troppo “interni”, per i praticanti fisicisti e per quelli intellettuali, due caratteristiche, a volte, unite nella stessa persona, che si domanda per quante ore debba stare fermo, immobile nella posizione dell’albero, quante volte avrà da ripetere la forma 108, lui che pratica uno stile “interno”, per progredire nell’arte ?
Invece di chiedersi chi è, ora, e come sta vivendo, ora.
Domande a cui, in un momento di giocosa ed infantile stupidità ( perdonatemi) mi vien da rispondere con una citazione tratta da un film famoso:
“La vita è un temporale, prendersela in culo è un lampo”.
E, permettetemi, dietro all’aspetto un po’ naif di questa mia, a ben leggere, ci sta una risposta decisiva per chi attraversa il suo tempo, spende le sue ore di vita che più non torneranno, fermo in posizioni statiche o ripetendo modelli memorizzati “aspettando Godot”, aspettando la salute, la saggezza interiore e, magari, pure la capacità di “menare le mani” sì, ma …. In modo “interno” !!!!!!!!!!!!
Post illustrato con fotografie scattate durante la festa di via Cadore, in cui siamo stati presenti con un banchetto espositivo ed una lezione aperta di Tai Chi Chuan