“Si
parla molto (e poco si fa!) dell’imparare ad imparare e dell’insegnare ad
insegnare. Occorrerebbe incrociare i significati e parlare di imparare ad
insegnare, oltre che di insegnare ad imparare. (…) Certamente è importante
considerare le emozioni come energia psichica. Certamente è un segnale dare
importanza alle relazioni, che sono i contenitori di energia psichica verso gli
oggetti d’amore dei soggetti. Non vi può essere apprendimento senza oggetti
d’amore. E questi ultimi svaniscono senza relazioni che trasportano energia dei
soggetti. Né è possibile alcuna trasmissione (relazione, comunicazione, ecc.)
senza soggetto. Chi impara è il soggetto e se quest’ultimo non esiste, come può
imparare? Il soggetto produce energia e la convoglia verso oggetti d’amore che
gli procurano benessere”.
(E. Spaltro)
Era
un bel po’ che lo “filavo” questo film. Grazie a Giovanni, che mi presta il dvd
e complice l’assenza da casa di Monica e Lupo, mi accoccolo sul divano e do inizio alle danze.
Danze
sincopate, a tratti spezzate, pause impreviste e scene rigonfie di emozioni.
TJ
è un ragazzino che ha perso la madre in un terribile incidente d’auto, ora vive
a casa della nonna, acanto ad un padre assente nella sua presenza, perché
incapace di riprendersi dal lutto. TJ è
abbandonato a se stesso, ossessionato dal tentativo di recuperare la macchina
in cui la madre ha perso la vita.
In
questo distruttivo paesaggio quotidiano, irrompe Hesher, uno sbandato e
randagio rockettaro che vive senza regole, immerso nella più sincera violenza.
Sarà
proprio lui, l’anarchico folle e fuori dalle righe, a svolgere quel ruolo maieutico, formativo, che
permetterà a TJ di riprendere in mano le redini della sua vita, come farà anche
il padre.
Film
sull’educazione e, di più, la formazione, ci ricorda ad ogni scena che sovente
sono i cosiddetti maestri ( e con loro le consolidate prassi educative
dominanti) l’ostacolo più pericoloso per l’apprendimento.
Ci
mostra come sorpresa ed imprevedibilità consentano la messa in crisi della
comprensione. Ciò che si capisce porta inevitabilmente ad un’altra
comprensione, ovvero un futuro prevedibile. In formazione, camminare senza il
mito di voler comprendere permette di scoprire, trovare intuizioni sorprendenti
dietro ogni angolo, permette di non fissarsi in schemi e risposte preordinate,
permette di … vivere .
Hesher
risponde bene alla domanda “Che cosa
serve a questo organismo per crescere ?”. Domanda che non è presente (anzi,
è tenuta ben alla larga) dall’educazione scolastica come da quella sociale.
Queste ultime intente a costruire automi perfettamente uguali gli uni agli
altri, perfettamente compatibili, anche nelle trasgressioni, con il modello
socioculturale dominante, piuttosto che
accompagnare i giovani ad accrescere la propria capacità unica di costruire
significati alle cose.
Hesher
sovverte ogni ordine, ogni previsione e ogni cautela educativa. Mostra la
fallacia del concetto di verità assoluta; che ci sia una ed una sola risposta
“giusta”; distrugge il concetto di identità isolata, ovvero che “A è A” sempre
e per sempre; la convinzione nella causalità semplice, singola e meccanica; le
differenze fatte solo in forma di paralleli ed opposti; il concetto che il
sapere è dato ed emani da un’autorità superiore, indiscutibile.
Pellicola
ad alto contenuto esplosivo ( in tutti i sensi, vista la passione di Hesher per
bombe e fiamme), snobbata dalla critica, più attenta a qualche sbavatura nella
scenografia che al contenuto e, ma dai ?, poco gradita dal grande pubblico,
quello del nozionismo scolastico, del bisogno di certezze, quello uscito da una
scuola noiosa, inutile quando non altamente dannosa che ha subìto senza mai
ribellarsi.
Ecco,
a dire il vero, io l’avrei terminato alla penultima scena: solida ed insieme
perturbante. Ho il dubbio che quanto aggiunto sia solo il tentativo di mostrare
un happy end consolatorio e privo di incertezze, contraddicendo così, il
“carattere” scorbutico del film stesso. Ma, forse, per il business andava bene
così.
Un
film che consiglio, ovviamente, a tutti i maschi che sono padri o lo diverranno
( e cosa si sono persi quegli uomini che, dando spazio al loro capriccioso
“bambino interiore”, non hanno voluto figli, un po’ per pigrizia, un pò
accampando scuse le più disparate, un po’ scegliendo accanto a sé o un’altra
adulta d’età anagrafica ma anch’essa bambina dentro, o una donna – mamma, più
anziana e magari che ha già figliato, così il ruolo di figlio lo possono occupare loro); a tutti coloro che si
occupano di educazione e, di più, di formazione.
E,
ovviamente, a tutte le donne e le mamme perché aprano uno spiraglio in più sul
mondo maschile.
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