lunedì 23 novembre 2015

Museo degli strumenti musicali


Una Domenica mattina per me e Lupo, a soddisfare la sua richiesta di visitare il “Museo degli strumenti musicali”, sito nei bellissimi locali del Castello Sforzesco.

Una domenica mattina insieme: nessun impegno marziale per me, lo studio posticipato al pomeriggio per lui.
Un sole abbagliante, luminosi nuovi raggi dorati per mura vecchie, antiche, a rincorrersi dentro le ombre di scale e scalini. Poche persone tra le teche, nelle stanze che promettono incontri discreti e affascinanti.

Io non lo so se è così sottile il filo che tiene insieme quegli strumenti, il cui legno si colora di tinte autunnali, su cui è facile riconoscere la passione di mani artigiane votate al senso artistico e potente del fare, del costruire di mano propria per offrire all’altare dell’arte, del suono, una voce, una melodia.
Io non lo so se riesco ad essere dentro o fuori questa corrente di oggetti esposti che celano una vita vissuta, vita di studi solitari e pubbliche esibizioni, note ripetute all’infinito e cascate libere di musica denudata alle orecchie del pubblico.

So che Lupo è felice, curiosando tra violini e viole, strumenti a fiato e a pizzico.
Abbiamo lasciato alle spalle i cocci di stupida rabbia per niente, quel malumore che a volte ti avvelena le ore e nemmeno sai da dove venga, l’invidia che ti sputa addosso la gente e quel loro denigrarti acido, quel darti dello scarso, dell’incapace, solo per nutrire un loro ego strabordante e maniere da capitan Fracassa. Abbiamo lasciato alle spalle quello stesso nostro orgoglio che ci impedisce di apprezzare il quotidiano e con esso, il tempo che si allontana per non tornare mai.

Ce la godiamo alla grande, io e lui, scoprendo che del mandolino, col “napoletano” esiste anche il “milanese” ed il “romano”, e chissà mai quale sarà la differenza; incantati davanti alla maestosità di un clavicembalo e curiosi di capire di corde nascoste dentro un manico.
I silenzi tante volte già intrecciati tra di noi, a sottendere parole che sappiamo superfluo usare, e le domande tra di noi, che si sovrappongono nel tentativo inutile di colmare ignoranze grandiose come cattedrali.
Un paio d’ore e più di un padre con suo figlio, di un figlio con suo padre. Immersi nel mondo antico dell’arte che è musica.

Poi ci ricongiungiamo con Monica, per una pizza da “Fusco”. Quei pizzaioli che, accanto alla palazzina Liberty, per molti anni deliziarono una parte di Milano e decine e decine di giovani convinti di cambiare il mondo in un pugno di giorni, sono tornati in un minuscolo locale in via Cadore, accanto al nostro Dojo. Lì, pizza e birra a raccontare a Monica di una Domenica mattina di avventure e curiosità, di arte.



 

 

 

martedì 17 novembre 2015

Le mani che ci sono



Raduno Kenpo  Taiki Ken
Sabato 14 Novembre

 
Gruppo Kenpo
Tra spicchi di sorriso di rari passanti frettolosi che si perdono tra i vialetti, entrano a scaldarsi in un bar, si celano dentro un cellulare gracchiante, spuntano i nostri visi, le nostre mani, pronti ad indossare una  giacca blu e lasciare che il cuore sotto batta sempre più forte.

Piccolo gruppo di “artisti guerrieri” del Kenpo.
Per effetto del tempo che scorre e forse anche del tempo che, filtrando tra le finestre, è sole e luce e cielo azzurro macchiato di bianco, l’effluvio di corpi e gesti  si rivela un moto di marea  che scende in ognuno di noi, occupa spazio e tempo, mostra accoglienza e durezza, forza e vulnerabilità, rabbia e gioia.  

Un lento riversarsi, Kiko, pratiche di salute ed ascolto profondo. Nessuno può seppellire il cuore. Tuttalpiù fingere di dimenticarlo. Come se non si stesse male  nelle stanze della solitudine, quand’anche affollata di amici facebook, televisione e passatempi che sono sempre più “sprecatempi” quotidiani; come se non si stesse male a camminare a vuoto tra direzioni che ingolosiscono per poi mostrare il “cul de sac” che non da scampo; come se non si stesse male a consolarci da soli nelle giornate in cui cerchiamo e non troviamo altre navigazioni.
Kiko che è un susseguirsi di “reverie”, fantasticherie ed immaginazione su alberi immensi, fanciulli in preghiera dinanzi al Buddha, uccelli notturni a dispiegare le ali.

Poi le gesta antiche, che ancora sanno di lotta e di scontro, Bujutsu, a sconfiggere un avversario che somiglia tanto, troppo, ancora a noi.
“Artisti guerrieri” amanti del silenzio, che sanno di non appartenere a nessuna di queste guerre esposte e mostrate se non alla propria, che è guerra, conflitto di conoscenza e trasformazione e non di potere sugli altri.
Calci e pugni e proiezioni al suolo. Visioni reali di gesti concreti. Nessuna tiepida illusione, nessuno scampo, che un abbraccio non può farci scomparire né un insulto affermare, una maschera copre solamente ma non toglie ciò che siamo e mai ci sarà concesso di rinascere per incontrare di nuovo la dolcezza di una madre o di un padre.
Allora solo arte del confliggere, per “artisti guerrieri” che oggi si incontrano accettando di camminare a testa alta, un sorriso, una risata condivisa, come gesto più prezioso per voler bene e farsi ricordare, senza paura  di sbagliare perché questo ci aiuta a crescere ed imparare e a credere nel meraviglioso dono che ci è stato dato: vivere. E, mani e cuore che ci sono, vivere da artista, da guerriero.

Poi, il tradizionale rinfresco di fine Raduno, occasione lieve per festeggiare, ancora una volta insieme, il mio compleanno, i miei sessantaquattro anni.
I primi a festeggiare, poi .... arriveranno altri amici ed amiche
 
"Lu - il procedere: Contenere l'Animus negativo ed essere gentili, amabili, perché così si domina anche gente aggressiva"
(I Ching)

 






lunedì 9 novembre 2015

Colui che danza la danza dell’acqua e del vento


Nel corso della vita  ognuno di noi diventa ciò che è. Lottare per realizzare la propria esistenza significa lottare – secondo il lessico di Heidegger – per l’autenticità”
(M.J. Sigrist)

 

Eudaimonia, strana parola che emerge dal lontano passato del mondo greco, a significare benessere, prosperità.

Mi ritrovo eterno studente  perché la materia di studio marziale è infinita come infinite le vie ed i viottoli del vivere e poi  perché so di sapere poco se non niente. Io che mi chiamo eretico e, con una punta di orgoglio vacuo, “L’ultimo degli indipendenti”.
Un tempo, tempi di un amore incondizionato, di primo figlio adorato e di mostri rifiutati che nutrivo di malavoglia, mi piaceva “stralunato stregone sognante”.
Ora non so, di me e di come sono, un amore che non luccica nell’oscurità ma vale oro, un altro figlio che è pulsazione vitale, quei mostri con cui sono finalmente venuto a patti e la barba bianca a ritagliare le rughe del volto.
Artista marziale e d’equilibrio fragile e precario nel vivere, mai vergognandomi di essere e fare il mio mestiere.
Che benessere e prosperità siano il pane quotidiano, annusato, mangiato, di una pratica Tai Chi Chuan che è acqua che scorre, che è vento che scorre.

Sarò irriverente a guardare col naso in su i profumi ed i colori di tutto il mondo, a calpestare un terreno che è madre di me e di tutti noi, sarò pauroso a chiedermi quanto cresco e quanto insieme invecchio, in quest’avventura che è più grande di me ma io la percorro ogni giorno, ogni giorno a danzare la danza dell’acqua e del vento che è Tai Chi Chuan.
So che per vivere è necessario che il sentimento e le emozioni siano ampi e profondi come il mare, come il mare calmi nella quiete e possenti nella tempesta; siano alti e solidi come la montagna, come la montagna violenti nelle slavine e subdoli nei crepacci; siano legna da ardere che dà un fuoco grande  ma se non lo foraggi sempre, presto si spegne; siano freddo acciaio tagliente ma se non lo lucidi accuratamente, lo sporco della ruggine ne soffocherà ogni abilità.
E, difficile per me, bisogna saper perdonare perché ciò faccia rima con amare, avendo il coraggio anche, quando occorre, di trovare la rima di parole ed azioni con odiare e violare. Soprattutto, lottare.

Per come io la intendo, la vita non è uno spettacolo di muscoli e pacchiano apparire col sottofondo di musiche da consumare e subito dimenticare. Il tempo e le energie e la passione che ci spendo è una lenta emorragia  che niente e nessuno potrà fermare.
Allora danzo, per come posso, tra le onde della vita. Danzo, per come so e posso, sui ritmi del mio Tai Chi Chuan, quello che la sera offro agli amici ed allievi Davide e Giovanni, tra le mura solide di un locale che odora di sudore e passione maschia.

Eudaimonia, antica cultura greca a noi così vicina, spericolato accostare ad un’arte nata sulla via della seta e oggi praticata da me, anziano milanese venuto alla luce il giorno, mese ed anno di quella che fu una delle peggiori, se non la peggiore, tragedia ambientale italiana.
Voglio, così, regalarmi un tramonto lungo e tinto di rosso acceso, in cui campeggi una stella dalla scia irriverente, una luce seminascosta che, nata da dentro, incontri chi mi sta accanto. Una luce, una fiamma, un colore scintillante  che scavalchi ogni confine, una danza dell’acqua e del vento che io chiamo Tai Chi Chuan a comporre i versi della mia libertà, a proporsi, oggi qui allo Z.N.K.R., domani non so, per ogni libertà che altri vogliano incontrare.