Una
Domenica mattina per me e Lupo, a soddisfare la sua richiesta di visitare il
“Museo degli strumenti musicali”, sito nei bellissimi locali del Castello
Sforzesco.
Una
domenica mattina insieme: nessun impegno marziale per me, lo studio posticipato
al pomeriggio per lui.
Un
sole abbagliante, luminosi nuovi raggi dorati per mura vecchie, antiche, a
rincorrersi dentro le ombre di scale e scalini. Poche persone tra le teche,
nelle stanze che promettono incontri discreti e affascinanti.
Io
non lo so se è così sottile il filo che tiene insieme quegli strumenti, il cui
legno si colora di tinte autunnali, su cui è facile riconoscere la passione di
mani artigiane votate al senso artistico e potente del fare, del costruire di
mano propria per offrire all’altare dell’arte, del suono, una voce, una
melodia.
Io
non lo so se riesco ad essere dentro o fuori questa corrente di oggetti esposti
che celano una vita vissuta, vita di studi solitari e pubbliche esibizioni,
note ripetute all’infinito e cascate libere di musica denudata alle orecchie
del pubblico.
So
che Lupo è felice, curiosando tra violini e viole, strumenti a fiato e a
pizzico.
Abbiamo
lasciato alle spalle i cocci di stupida rabbia per niente, quel malumore che a
volte ti avvelena le ore e nemmeno sai da dove venga, l’invidia che ti sputa
addosso la gente e quel loro denigrarti acido, quel darti dello scarso,
dell’incapace, solo per nutrire un loro ego strabordante e maniere da capitan
Fracassa. Abbiamo lasciato alle spalle quello stesso nostro orgoglio che ci
impedisce di apprezzare il quotidiano e con esso, il tempo che si allontana per
non tornare mai.
Ce
la godiamo alla grande, io e lui, scoprendo che del mandolino, col “napoletano”
esiste anche il “milanese” ed il “romano”, e chissà mai quale sarà la
differenza; incantati davanti alla maestosità di un clavicembalo e curiosi di
capire di corde nascoste dentro un manico.
I
silenzi tante volte già intrecciati tra di noi, a sottendere parole che
sappiamo superfluo usare, e le domande tra di noi, che si sovrappongono nel
tentativo inutile di colmare ignoranze grandiose come cattedrali.Un paio d’ore e più di un padre con suo figlio, di un figlio con suo padre. Immersi nel mondo antico dell’arte che è musica.
Poi
ci ricongiungiamo con Monica, per una pizza da “Fusco”. Quei pizzaioli che,
accanto alla palazzina Liberty, per molti anni deliziarono una parte di Milano
e decine e decine di giovani convinti di cambiare il mondo in un pugno di
giorni, sono tornati in un minuscolo locale in via Cadore, accanto al nostro
Dojo. Lì, pizza e birra a raccontare a Monica di una Domenica mattina di
avventure e curiosità, di arte.