“Fa
più rumore un albero che cade, piuttosto che una foresta che cresce”
(Lao
Tse)estate 2008 pronti per le foto ! |
Perché, se evidente è lo straniamento di alcuni,
l’autoescludersi di altri, l’incertezza di altri ancora, è altrettanto vero che
la qualità della nostra pratica è salita, si è evoluta ed ha ancora margini di
crescita enormi ed impensabili.
Ma, la foresta, ogni foresta, è tale solo se animata da alberi, tanti alberi.
In un semplice e composito affresco che sa di yin e yang,
l’albero che cade e la foresta che cresce sono una necessaria compresenza.
estate 2008 Kenshindo |
Allora a confrontarsi insieme, per capire “La sofferenza di permanere nell’ignoranza”
(Takuana Soho), ovvero l’indugiare della mente come illusione, come succube del
katana.
A capire le trasformazioni, quelle che vediamo con gli
occhi, fuori, e quelle che fatichiamo, o non vogliamo vedere, dentro, col
cuore.A capire il sapore di una pratica che trae la propria forza e l’efficacia da un ulteriore scavo interno, fisico emotivo.
Aprile 2006 Seminario Wing Chun Boxing |
Certo, è più facile leggere la foresta, le sue ombre che
danno piacevole quiete e sono anche spaventosi mostri di buio al calar del
sole; la rassicurante possanza dei fusti maestosi che però raccolgono ai piedi
un intrico di radici e terriccio che fa instabile l’equilibrio ed il camminare;
le sottili ed armoniose voci dei piccoli suoi abitanti che sono laceranti ed
inquietanti stridori animali al buio della notte; è più facile, vado scrivendo,
se nella foresta ci entri e ti ci
aggiri. Fuori, che ne sai ?
Certo, ognuno è libero, come ci è entrato, di uscire
dalla foresta. Libero di farlo in silenzio, che sono fatti suoi, che sarà la
sua personale buona educazione a suggerirgli, o meno, un “grazie”, “one gaeshi masu”, che è stato, almeno
per un po’, un piacere scambiare insieme.
stage estivo 2004 danza del Pa Kwa attorno al fuoco |
A volte c’è chi esce biascicando a destra e a manca,
addossando ad altri quelle travi che sono invero le mura della sua di casa;
confondendo illusione, che è percezione deformata, con allucinazione, che è
assenza di immagini.
Allora la foresta, che da secoli sa non confondere la
follia con la pazzia, l’estro anticonformista anche più irriverente, dalla
distruzione, ne piange sì l’uscita, ma ancor più irrora attorno a sé
quell’odore di forte e selvatico che la contraddistingue. Perché lei è la
foresta.Maggio 2006 Seminario Tai Chi Chuan maschi guerrieri e padri |
La ragione, tutto sommato, è un buon amministratore, ma non scopre cose nuove, le cataloga come le è comodo, come le conviene. Lo sciamano preferisce di gran lunga l’immagine per transitare al linguaggio articolato, alla pratica marziale condivisa.
stage estivo 2006 |
Poi, nella foresta, è hon,
fondamentale, che regni il divertirsi, il godere appieno e giocoso dello starci
dentro, anche quando faticoso. Se non ti diverti, non impari. Senza desiderio c’è solo routine, nella
foresta come altrove, come in tutte le “foreste” di ogni tuo quotidiano giorno.
Sempre che il viandante ami il desiderio, coltivi sogni da realizzare poiché,
lasciati là a marcire, come scriveva il poeta, “diventano pestilenza”. Sempre che accetti di buon grado di essere
imperfetto e di esserlo per sempre, che lungo il percorso non troverà mai la
perfezione, ma saprà solo ridurre le imperfezioni !!
Sempre che il viandante, qualunque viandante, abbia
fiducia nella virtù del prossimo, che, come scriveva Montaigne “è un indizio non irrilevante che ne abbiamo nella nostra”.Sempre che il viandante, qualunque viandante, desideroso, per suoi motivi personali, di “uccidere” il padre ( o il fratello maggiore o … lo sciamano !!) abbia l’ardire di ammetterlo e di farlo, senza chiedere e pretendere che sia quest’ultimo a colpirlo, ad “offendere”, così da avere il pretesto per armare la propria mano, per la foresta abbandonare.
Allora, che siano “scazzottate
oneste” ( grazie Gianluca per questa semplice ma profonda e bellissima definizione).
Scazzottate di puro divertimento in cui, per chi lo
voglia, riconoscersi abitante della
foresta, la sua e quella degli altri. Altrimenti, saranno solo
“scazzottate”, e va bene pure così, ma molto, molto meno “oneste”.
A
metà degli anni ’60 Kahneman, che allora era un giovane docente di psicologia
alla Hebrew University, accettò un incarico ben poco stimolante: tenere lezione
a un gruppo di istruttori di volo dell’aeronautica israeliana sulle teorie
psicologiche di modificazione comportamentale e le possibili applicazioni
nell’addestramento al volo. Kahneman insisté sul fatto che ricompensare i comportamenti positivi funziona, mentre
punire gli errori non serve a nulla. Uno degli istruttori lo interruppe,
suscitandogli un’intuizione che avrebbe stimolato le sue ricerche per decenni.
“Mi
è capitato di elogiare un allievo per una manovra molto ben eseguita e ho
notato che nell’esercitazione successiva la manovra gli riusciva molto meno
bene” disse l’istruttore di volo “E mi è capitato di inveire contro una persona
per una manovra mal fatta, e quasi sempre la volta dopo gli è riuscita meglio.
Non mi venga a dire che le ricompense funzionano e le punizioni no: la mia
esperienza lo contraddice”. Gli altri istruttori si dissero d’accordo. Kahneman
era convinto che le esperienze degli istruttori avessero un fondo di verità.(Daniel Kahneman, nel 2002 insignito del premio Nobel per l’Economia, citato in “La passeggiata dell’ubriaco” di L. Mlodinov)
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