venerdì 18 gennaio 2019

La strada




Come sapete non sono un gran lettore di romanzi: sono, piuttosto, un divoratore di saggi.
Ma quel leggere, nelle pagine di uno dei pochi critici a cui do fiducia, di McCarthy come degno e forse unico erede di Faulkner, quel Faulkner che mi impressionò negli anni adolescenziali in cui era la letteratura a riempire la mia mente, mi ha indotto a raggiungere la biblioteca per prelevare
La strada”.

Ho scelto “La strada” banalmente spinto anche dall’omonima pellicola cinematografica: mai vista perché la crudezza con cui veniva presentata mi impediva di vederla con Lupo ancora piccolo. Una pellicola che, per i temi trattati, mi ha sempre intrigato.

Il libro tratta di un padre e un figlio (chiamati l’uomo e il bambino perché non c’è assolutamente nessun motivo per dar loro un nome) che viaggiano all’interno di un mondo distrutto da una non meglio specificata catastrofe. Il loro obiettivo è raggiungere il mare, sapendo già di non trovarci granché, mantenendosi vivi tra desolazioni della natura e incontri con uomini disperati disposti a tutto pur di sopravvivere.

Non una gran trama, non grandi azioni, non grandi e piccoli personaggi, niente passioni e sentimenti e tutto quel che, sempre, riempie ogni libro in circolazione.
E’ la “semplice” storia di questi due che mi è penetrata nel cuore, mi ha fatto mancare più volte il respiro, mi ha incupito dopo ogni sessione di lettura.
E questo suo essere romanzo appassionante ma portatore in me di una pessimismo tale da rovinarmi il sonno, mi ha indotto subito a chiedermi “Dove è la parte Yin in questo groviglio di Yang assassino e desolante?” “Perché non vedo la luce, anche piccola, anche flebile, in questo muro di tenebre color della pece che così mi atterrisce?”.

Per giorni e pagine del libro sono rimasto intrappolato tra queste due domande.
Poi, per cercare una via d’uscita, perché so che Yin e Yang, in proporzioni sempre variabili, danzano intrecciati tra di loro in ogni manifestazione terrena, qualsiasi essa sia; perché pratico e propongo le Arti Marziali come confliggere, come dura terapia d’urto per conoscersi e rinascere più sani e consapevoli, ho scomposto i grandi interrogativi in interrogativi più piccoli, più modesti.
- I bei ricordi, quelli che ti suggeriscono che hai ben vissuto, che è valsa la pena vivere, possono diventare un pesante fardello? Nei momenti bui, nei momenti disperati, diventano una risorsa, un appiglio a cui aggrapparsi per continuare a confidare in un futuro possibile oppure diventano un morbo che ti affloscia fino a spegnerti?
- Calato in una situazione complessiva ormai moribonda, dove la speranza ti appare come il vano delirio di un condannato a morte, cosa faresti? Ti lasceresti morire? Ti daresti la morte? o continueresti, appunto, lungo la strada?
- Posto davanti all’ineluttabile di uccidere per non essere ucciso, di  mangiare di tutto (carne umana?) per sopravvivere, ne saresti capace? In caso affermativo, sei certo di saper restare un uomo “buono” ( la parole del libro) o diverresti anche tu come i cattivi? Perché, nel libro, pare certo che padre e figlio siano i buoni ma... lo saranno per sempre? E quale è la differenza tra uomo buono e uomo cattivo? Perché togliere di mezzo e magari nutrirsene altri essere uomini pur di sopravvivere tu e chi ami è per forza roba da “uomini cattivi”?
- Avrebbe un senso e saresti capace di togliere la vita a chi ami per evitargli una sorte di reclusione, sofferenza e schiavitù? Nell’eventuale incapacità di farlo, quanto giocherebbe la speranza residua di un capovolgimento della situazione e quanto una inconfessabile vigliaccheria?
- Davvero, come si sono estinti i dinosauri, ci estingueremo anche noi e lo faremo distruggendo il nostro mondo e distruggendoci a vicenda? Bestie affamate ed impazzite?

Non è che a questi interrogativi abbia saputo dare una risposta, ma il covarli dentro mi ha permesso di continuare e finire questo splendido e struggente libro che mi stava mettendo KO.

Intanto, nel proseguire delle pagine, ho scoperto di emozionarmi fino alle lacrime per un padre a cui ogni giorno chiede un continuo sacrificarsi nel tentativo di fare sopravvivere a tutti i costi il figlio e l'uomo lo fa privandosi di tutto per darlo a lui. Un padre che protegge e difende il figlio: legge antica, è una cosa naturale, ma che sento, provo, ogni giorno in quelli che, al confronto del protagonista del libro, sono certo sacrifici piccoli, ma pur sempre privazioni, passi a lato, un mettersi in secondo piano per lasciare spazio al bimbo che diverrà uomo. Bimbo che … “porta il fuoco”, perché ogni bimbo, non solo quello del libro, porta il fuoco, la speranza.


 Libro cupo, capace di sradicare ogni certezza e infondere mille paure. Libro che pare prefigurare il destino di una società del consumo senza uso, dell’apparire frivolo, della malattia di ogni sentimento forte ed autentico, del lascivo perdersi in mollezze e disgustose ambiguità elette a quotidianità, a valore.
La nostra società, insomma.
E questo mi sconvolge, spingendomi ancora ed ancora a procedere nella mia personale “strada”, fatta di ricerca interiore, costruzione di relazioni sincere ancorché conflittuali, di piccoli mondi, come lo è stato e lo è tutt’ora lo Spirito Ribelle ZNKR, in cui coltivare, difendere e proporre una vitalità coraggiosa, autentica e sana.
Unico antidoto alla realtà de … “La strada”.
Leggetelo questo libro. Vi aprirà un mondo dentro.





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