Come sapete non sono un gran lettore di romanzi: sono,
piuttosto, un divoratore di saggi.
Ma quel leggere, nelle pagine di uno dei pochi critici a
cui do fiducia, di McCarthy come degno e forse unico erede di Faulkner, quel
Faulkner che mi impressionò negli anni adolescenziali in cui era la letteratura
a riempire la mia mente, mi ha indotto a raggiungere la biblioteca per
prelevare
“La strada”.
Ho scelto “La strada” banalmente spinto anche
dall’omonima pellicola cinematografica: mai vista perché la crudezza con cui
veniva presentata mi impediva di vederla con Lupo ancora piccolo. Una pellicola
che, per i temi trattati, mi ha sempre intrigato.
Il libro tratta di un padre e un figlio (chiamati l’uomo e il bambino perché
non c’è assolutamente nessun motivo per dar loro un nome) che viaggiano
all’interno di un mondo distrutto da una non meglio specificata catastrofe. Il
loro obiettivo è raggiungere il mare, sapendo già di non trovarci granché, mantenendosi
vivi tra desolazioni della natura e incontri con uomini disperati disposti a
tutto pur di sopravvivere.
Non una gran trama, non grandi azioni, non grandi e
piccoli personaggi, niente passioni e sentimenti e tutto quel che, sempre,
riempie ogni libro in circolazione.
E’ la “semplice” storia di questi due che mi è penetrata nel
cuore, mi ha fatto mancare più volte il respiro, mi ha incupito dopo ogni
sessione di lettura.
E questo suo essere romanzo appassionante ma portatore in
me di una pessimismo tale da rovinarmi il sonno, mi ha indotto subito a
chiedermi “Dove è la parte Yin in questo
groviglio di Yang assassino e desolante?” “Perché non vedo la luce, anche piccola, anche flebile, in questo muro
di tenebre color della pece che così mi atterrisce?”.
Per giorni e pagine del libro sono rimasto intrappolato
tra queste due domande.
Poi, per cercare una via d’uscita, perché so che Yin e
Yang, in proporzioni sempre variabili, danzano intrecciati tra di loro in ogni
manifestazione terrena, qualsiasi essa sia; perché pratico e propongo le Arti
Marziali come confliggere, come dura terapia d’urto per conoscersi e rinascere
più sani e consapevoli, ho scomposto i grandi interrogativi in interrogativi
più piccoli, più modesti.
- I bei ricordi, quelli che ti suggeriscono che hai ben
vissuto, che è valsa la pena vivere, possono diventare un pesante fardello? Nei
momenti bui, nei momenti disperati, diventano una risorsa, un appiglio a cui
aggrapparsi per continuare a confidare in un futuro possibile oppure diventano un
morbo che ti affloscia fino a spegnerti?
- Calato in una situazione complessiva ormai moribonda,
dove la speranza ti appare come il vano delirio di un condannato a morte, cosa
faresti? Ti lasceresti morire? Ti daresti la morte? o continueresti, appunto,
lungo la strada?
- Posto davanti all’ineluttabile di uccidere per non essere
ucciso, di mangiare di tutto (carne
umana?) per sopravvivere, ne saresti capace? In caso affermativo, sei certo di
saper restare un uomo “buono” ( la parole del libro) o diverresti anche tu come
i cattivi? Perché, nel libro, pare certo che padre e figlio siano i buoni ma...
lo saranno per sempre? E quale è la differenza tra uomo buono e uomo cattivo?
Perché togliere di mezzo e magari nutrirsene altri essere uomini pur di
sopravvivere tu e chi ami è per forza roba da “uomini cattivi”?
- Avrebbe un senso e saresti capace di togliere la vita a
chi ami per evitargli una sorte di reclusione, sofferenza e schiavitù?
Nell’eventuale incapacità di farlo, quanto giocherebbe la speranza residua di
un capovolgimento della situazione e quanto una inconfessabile vigliaccheria?
- Davvero, come si sono estinti i dinosauri, ci
estingueremo anche noi e lo faremo distruggendo il nostro mondo e
distruggendoci a vicenda? Bestie affamate ed impazzite?
Non è che a questi interrogativi abbia saputo dare una
risposta, ma il covarli dentro mi ha permesso di continuare e finire questo
splendido e struggente libro che mi stava mettendo KO.
Intanto, nel proseguire delle pagine, ho scoperto di
emozionarmi fino alle lacrime per un padre a cui ogni giorno chiede un continuo
sacrificarsi nel tentativo di fare sopravvivere a tutti i costi il figlio e l'uomo lo
fa privandosi di tutto per darlo a lui. Un padre che protegge e difende il
figlio: legge antica, è una cosa naturale, ma che sento, provo, ogni giorno in
quelli che, al confronto del protagonista del libro, sono certo sacrifici
piccoli, ma pur sempre privazioni, passi a lato, un mettersi in secondo piano
per lasciare spazio al bimbo che diverrà uomo. Bimbo che … “porta il fuoco”,
perché ogni bimbo, non solo quello del libro, porta il fuoco, la speranza.
La nostra società, insomma.
E questo mi sconvolge, spingendomi ancora ed ancora a
procedere nella mia personale “strada”, fatta di ricerca interiore, costruzione
di relazioni sincere ancorché conflittuali, di piccoli mondi, come lo è stato e
lo è tutt’ora lo Spirito Ribelle ZNKR,
in cui coltivare, difendere e proporre una vitalità coraggiosa, autentica e
sana.
Unico antidoto alla realtà de … “La strada”.
Leggetelo questo libro. Vi aprirà un mondo dentro.
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