Davide, ragazzo ‘bene’, trascinato suo malgrado nel fango
dei combattimenti clandestini, non veste keikogi né onora Dojo,
ma ogni colpo è un drammatico haiku di sopravvivenza.
Le Arti Marziali qui non ci sono, eppure ci sono.
Non c’è kata, non c’è rispetto, ma il corpo comunica, come in
ogni disciplina che nasce dal vuoto per domare il caos.
Minuto, l’allenatore, non insegna la Via del guerriero, ma una
semplice e raccapricciante via del dolore, dove il tatami è cemento e il
saluto è mostrare le mani nude.
Ciononostante, nel dramma della violenza, batte kokoro,
il cuore marziale: Il combattimento come specchio dell’anima, il combattimento
come rito di passaggio, la sofferenza come maestro silenzioso.
La pellicola non celebra l’Arte, la profana, la distorce, la
obbliga a urlare. Ma proprio lì, nel suo tradimento, ci ricorda quanto sia
sacra, quanto rantoli nel profondo di ogni umano. Quanto sia importante
riconoscerla.
Mani Nude è il lato oscuro del Bushido, dove l’onore è violentato
dalle scommesse e il guerriero non anela alla pace interiore e nemmeno alla
vittoria, ma ad una impossibile redenzione
Una pellicola che non sprona ad imparare a combattere, ma a
sopravvivere con tutte le proprie pur esili forze. Non indica la Via, ma il
prezzo pesante di averla smarrita.
Poca, pochissima musica a sostegno delle riprese, chiaro /
scuro a regnare sovrano, recitazione essenziale ed asciutta. Bellissimo. Per
stomaci forti e curiosi, per ricercatori di sé e dello stare al mondo.
In TV su Paramount plus
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