martedì 6 marzo 2012

La Arti Marziali sono una cosa brutta.

Combattere, lottare, è brutto, sporco, oscuro.
Combattere, confliggere corpo a corpo, sudarsi addosso, premere l’un contro l’altro, mescolare odori diversi, compreso quello della paura, questo è praticare Arti Marziali.
Per questo diffido dei bei corsi, di Arti Tradizionali come di sport da contatto o di nuove (!?) specialità da strada, sia che in essi vigano le pelle parole, le belle teorie, le dissertazioni metafisiche e guai a mettersi le mani in faccia, sia che in essi vigano il guizzare di muscoli, le urla ed i comandi in stile “marine”, le “pompate” a terra e poi tutto il tempo a scazzottarsi.
Diffido perché senza “botte”, non c’è Arte del combattere, solo disquisizioni intellettualistiche, pretese di sapere e saggezza  che crollano alla prima sberla presa per strada o, per mezzo di una bocciatura scolastica, un licenziamento al lavoro, un abbandono nella coppia, una disobbedienza del figlio, nella vita quotidiana.
Diffido perché scazzottarsi a sfogo è solo, appunto, uno sfogatoio senza alcun intervento dentro le parti Ombra di sé, dentro le pulsioni profonde che agitano ogni essere umano: ti sei sfogato, punto e basta. Come correre a perdifiato in salita o una “sveltina” in auto con una prostituta o una sbronza con gli amici. E dopo poco, sei il solito di prima. (1)
 
Sere or sono, un aitante giovanotto, ai primi passi nel nostro Dojo dopo alcuni mesi di pugilato, disse pressappoco così “ Mai mi è successo che così tanto uomini mi mettessero le mani addosso”.
Ecco, fare Arti Marziali, è mettersi le mani addosso. Che non è tirare un pugno in faccia o proiettare l’altro al suolo: questa è tecnica, è restare al di qua dello scontro.
Le “mani addosso” sono entrare consapevolmente in una relazione fisicoemotiva con l’altro, perdersi e ritrovarsi nell’abbraccio con l’altro allo scopo di non morire, violarne la sfera intima accettando di farsi inevitabilmente violare la propria che altrimenti non c’è relazione.
E’ amigdala ( la parte limbica del nostro cervello) che si nutre di pulsioni orrende (2) in cui non c’è posto per la vita altrui.
 E’, in un percorso che comprende il metacomunicare, dunque anche le emozioni ( che sono emos – sangue – azioni ), scandagliare la sofferenza psichica interiore, quell’anima primitiva, dionisiaca, che la società “per bene” stenta ad accettare, tuttalpiù confinandola  in giochi di società (gli sport e le trasgressioni di massa ben recintate, in discoteca per esempio) e che tu stesso, tu che pratichi, non sai dove mettere nel tuo personale teatrino “per bene”.                                            
Per questo, per me, praticare realmente Arti Marziali significa che ogni  incontro è per l’individuo anche un incontro con se stesso, un’occasione unica per approfondire, grazie alla conoscenza conflittuale dell’altro, anche la conoscenza conflittuale  di se stesso, accostandosi alle proprie reazioni e cercando di individuarne e metterne a fuoco le motivazioni oscure e profonde, quel “giardino segreto” di cui scrisse, più di trent’anni fa, un grande karateka come Henri Plée. Così il rapporto con l’altro, anche quando nello scontro fisico in “simulazione” soccombiamo, è comunque indispensabile perché l’Io possa misurarsi con la realtà, con l’ambiente e  servirà a migliorare quell’altro rapporto altrettanto fondamentale che è per ognuno di noi il rapporto con se stesso.
Altrimenti, per me non è “Arte Marziale” ma, appunto, “seghe mentali “(3) , che siano sostanziate da forme da imitare, esercizi a coppia da memorizzare e lunghe sedute di meditazione, o che lo siano da sfuriate fisiche tra pesi, sudore e pugni e calci e lotta a terra giocati nell’illusione dell’invincibilità e nel timore dell’aggressione (4).

(1)     I tipi caratteriali nevrotici tentano di ottenere che l’ambiente rafforzi le loro illusioni, inclusi i modi in cui, a seconda del carattere, affrontano la realtà ed esprimono se stessi. Il fine di cercare il tipo di rinforzo adatto è di mantenere lo status quo con una pulsione energetica abbastanza bassa per non affrontare il dolore e l’angoscia del legame nevrotico e la piena responsabilità della propria vita. (…) E’ enorme l’investimento nel mantenere intatto il carattere e il livello muscolare e nell’appoggiare l’illusione dell’immagine di sé idealizzata. L’unione di questi elementi ha funzionato nell’infanzia contro una minaccia negatrice della vita e continua  funzionare ora di giorno in giorno”. (L. Marchino: La Bioenergetica)
(2)     Durante un corso di Difesa Personale rivolto  alle donne, alcuni allievi che mi facevano da assistenti scoprirono, con loro grande sorpresa e turbamento, il gusto inebriante e piacevole del sopraffare una donna. Gusto che, giustamente, alla loro mente / educazione risuonava orrendo. Ma è proprio qui, nella melma scomposta delle emozioni sconosciute e brutali, delle pulsioni, che il praticante, attraverso le Arti Marziali come io le propongo, scopre se stesso ed impara a gestirsi. Disconoscere la violenza e reprimerla significa solo colludere in modo distruttivo con l’odio che si soffoca in sé, negare il mostro che abita in noi sperando che mai si affacci allo scoperto, che mai esploda, perché represso ed incontrollato, in un banale diverbio stradale o in una lite in famiglia, con conseguenze disastrose e letali.
(3)     La sega mentale malefica consiste nell’identificazione dell’Io con un suo simbolo e nella creazione di sofferenza in seguito alla supposizione di minaccia a tale simbolo estesa all’intero Io”. (G.C. Giacobbe: Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita)
(4)     Tutte queste paure di essere aggrediti per strada, alimentate da docenti / sifu / maestri che su ciò coltivano il loro  business, mi hanno stufato. Credo che il cuore della DP, oggi, stia  nel riconciliarsi con le proprie ferite emozionali, le proprie paure e mutilazioni, quei fantasmi perturbanti che ci limitano nel vivere e su cui ricalchiamo vecchi copioni. Di contro, “la salute di un individuo dipende dalla possibilità di essere creativo, cioè di ‘autorealizzarsi’, e coincide con l’espansione fiduciosa delle proprie potenzialità, con il dispiegarsi delle caratteristiche neoteniche proprie della specie umana” (A. Carotenuto: La mia vita per l’inconscio). Questo è sapersi difendere: avere per tutta la vita una visione personale, responsabile e consapevole di quello / come sto facendo. Il sapersi destreggiare in uno scontro di strada è, per così dire, tanto un mezzo nell’apprendimento quanto un effetto collaterale del praticare !!




"Ho iniziato a capire che un guerriero deve dare prova di sé non solo in battaglia ma anche nella vita. Vive in nome di un codice (…) Il combattimento è un’estensione di quel codice, non la sua fonte".
(colonnello D. Grossman: On Combat)

Post illustrato con le immagini del nostro  31° Kangeiko, stage invernale, tenutosi a Maserno – Montese (MO) nei giorni 25 e 26 Febbraio. Fatica fisica e fatica emozionale, mettersi alla prova in un ambiente diverso dal quotidiano, condividere nel gruppo. Anche questo ci differenzia, anche questo mostra cos’ è realmente “Formazione Guerriera”.






3 commenti:

  1. “ogni pugno che tiro ha un senso..”
    Frase liberamente presa da un saggio Taoista Varesotto


    La semplicità di un pum pum cha!! E tutto ha inizio.Una semplice percussione per creare, dare vita al tuo ritmo. Come nell’hip hop, (ad esempio), poi puoi aggiungerci un giro di basso che ci stà, una schitarrata o miriadi di suoni. Così un pugno e un altro pugno, a cui aggiungi un calcio o una gomitata,punch punch chaf!!
    Una musichetta in testa, o meglio ancora nelle viscere e batti il tuo tempo, dai un senso a ogni tuo pugno, ogni tuo colpo batte un preciso istante del tuo “essere” ed io, non lo avevo ancora colto.
    Se ascoltate i Kodo, percussioni giapponesi in cui suonano tamburi da 900 kili vi renderete conto di come la muscolatura dei suonatori si espande a ogni suono, in maniera diversa, a seconda dell’intensità e della foga mantenendo un loro tempo. Emozioni che vibrano.
    Per non parlare di Pina Bausch e dei suoi balletti dove, esplodevano in emozioni gli stessi artisti.Corpo mente e spirito.
    Ognuno a modo suo. Proprio come il nostro fare Wing Chun.

    Denso questo seminario, pieno di abbracci tra corpi ed emozioni, quel non facile entrare, nella guardia altrui, “rompere” le distanze sia fisiche e anche emotive della relazione, danza conflittuale. Entrare nella parte sporca e puzzolente del conflitto (imparare ciò che abbiamo disimparato), entrarci giocando e col sorriso, con la paura anche, conscio di prenderle comunque per poter entrare nell’altro, che nessuno si fa dare un pugno senza reagire-agire.

    Festeggiamenti poi e gozzoviglie, tutti un po’ provati e allora vai, musiche per il pasto, un folk pungente colpisce gioioso.
    Parole in allegro andante come pure metallo pesante.
    Un duo si scoppia e una chitarra tagliente copre le percussioni. Un suonatore si rifiuta di suonare.
    Ritmi lenti da sonno alcuni, altri euforici ed energici ancora, tutti provati, da un altro seminario del nostro “pastoso” Wing Chun.

    Oss!!
    Giovanni

    RispondiElimina
  2. ...ho passato tutta la restante parte della domenica sul divano a pensare...a cosa mi aveva portato a quello sfogo inaspettato ma che sapevo fosse lì dietro l'angolo...
    Il wing chun ... che brutta bestia :( ancora ennesime sofferenze per superare i miei limiti con cui combatto nella vita di ogni giorno ... ed è qui che ho capito come le arti marziali si "proiettino" poi nella mia vita...
    Tanti NO urlati e tanti NO da cui ri-partire.

    !!! OSS !!!
    Vanessa

    RispondiElimina
  3. Cara Vanessa,

    non rispondo mai ai commenti che alcuni lasciano sul “diario” di Tiziano … ma il tuo commento e le tue emozioni le ho sentite.
    Anche se non ero lì con te, a ri-cercare di praticare le Arti Marziali allo stage invernale di Kangeiko.
    So che cosa si prova ad avere dei limiti. So che cosa si prova a sentire quell’ennesima sofferenza e il combattere nella vita di ogni giorno … è come un funesto balletto che sfila incessantemente … tentando di essere e di sentirsi normali.
    Non solo per i NO urlati come il ruggito di un Orso Ferito … ma dei NO che restano incastrati nella bocca e che poi scendono come frammenti di vetro fino a tagliare le viscere: la sede degli affetti e dei sentimenti.

    La Scuola di Arti Marziali e, se vuoi puoi chiamarla, Dojo, Pedana o come più ti piace … dovrebbe essere un’isola felice ... dove non si è mai stanchi di imparare, è il posto dove gli allievi hanno l’occasione di poter conoscere, non solo il combattimento, brutto, sporco e oscuro che sia … ma imparare a conoscere se stessi … con onestà... lealtà … trasparenza … per ciò che siamo.
    I tuoi NO e i tuoi Sfoghi … sei semplicemente tu ... e non permettere a nessuno che ti dicano il contrario … perché non tutti, che siano praticanti di Arti Marziali e non, hanno il Coraggio, l’Onestà e la Trasparenza di “sfogarsi” e quindi manifestarsi ed esprimersi.

    Ti auguro di continuare ad essere, te stessa … senza maschere, senza menzogna … di sfogarti sempre e ogni volta che vorrai … di fermarti quando ne senti la necessità, ma nel momento che decidi di rialzarti di ri-partire non mollare … perché è in quel momento che quei frammenti di vetro piano, piano si assottiglieranno … non incastrare la sofferenza non legare i tuoi limiti … confrontati sempre e comunque … affiancanti e apriti alle persone che ti ispirano fiducia, e con chi ha “esperienza di vita”.

    Lascia la solitudine su quel divano, esci di casa, mangia un gelato, raccogli le pratoline, (che in questa stagione i parchi ne sono pieni) e perché no comprati un sacco e sfogati sempre e comunque, vedrai che un bel giorno, non troppo lontano, ti ritroverai ad accarezzarlo e scoprirai la fragilità di un fiore, questa è la “pedana”, questa è la vita, esci e goditela.

    Ti abbraccio
    Angelica

    RispondiElimina