“Senza
toccare con mano l’acqua e il fuoco, non si può dire di conoscerli davvero”
(Takuan Soho)
“Senza
toccare con mano l’acqua e il fuoco, non si può dire di conoscerli davvero”
(Takuan Soho)
I
piedi ben piantati a terra. Sono dentro la forza di gravità. La terra è sia attrito per ogni minimo
spostamento che base di slancio per ogni traslocazione. Essa è il femminile, la madre che ci ha
nutriti, nutriti di forza e di valori, su cui poggiamo per ergerci, maschili,
nell’esplorazione attorno a noi. Ed ogni volta che “spicchiamo il volo” a lei,
sempre a lei, dobbiamo tornare. Nel contempo, in un cerchio che, come
tale, non ha né inizio né fine, in una
visione che fa giustizia di ogni tentativo di schematizzare, di rinchiudere in
uno steccato, colgo la sensazione del mio peso che mi porta verso terra,
centripeto, dunque energia yang, quanto del suo essere pesante, dunque energia
yin.
Le
mani le avvolgo attorno allo tsuka di “Lama danzante”. La linea forte ed
equilibrata dell’acciaio pare fronteggiare l’aria, il vuoto che sta
tutt’attorno.
Guardo
la stuoia, fallica e ferma, che ho di fronte.
Mi
affido alla sensazione dell’acqua,
come elemento fluido, che tanto sa adattarsi alle circostanze quanto sa
travolgere e rovesciare ogni ostacolo. Nel palato, sulla lingua, formo la
lettera “L”, un suono che richiama il liquido salivale.
“L’acqua permette il movimento” (1). Il
richiamo dell’acqua esige un dono totale, un dono intimo. Così “… presteremo grande attenzione alla
combinazione dell’acqua e della terra, combinazione che trova nell’impasto il
suo pretesto realista” (G. Bachelard “Psicanalisi dell’acqua”)
Sarà
per questo che il mio corpo inizia a vibrare, le mani scivolano sullo tsuka
accettando di non possedere, di non padroneggiare più il katana, tanto da
socchiudersi e, addirittura, aprirsi completamente, mano destra con le dita
rilasciate e volte al soffitto.
Come
a dire, in un processo omologico corpo - mano, che anche il mio corpo è aperto,
centro / diaframma, le cui dita (i prolungamenti, ovvero gambe e braccia) sono
pronte all’azione quanto prive di alcuna intenzione, di alcun progetto,
piuttosto aperte al succedersi delle cose in un qui ed ora del tutto
inverosimilmente immobile, sospeso nel tempo.
Libero
il fuoco che covo dentro. Energia
selvaggia che svetta, incalzante e mai doma, verso l’alto. Quasi a congiungersi,
in un atto violento, con l’aria sopra di me. La forza del fuoco è, insieme, la
sua condanna: per bruciare, ha bisogno di consumare ciò che gli da energia. Per
vivere, moriamo giorno dopo giorno.
Sento
il tronco, che ospita cuore e polmoni, funzioni respiratorie e regolazione
della circolazione, vale a dire il luogo che partecipa integralmente di tutte
le emozioni. E noi prendiamo coscienza delle emozioni grazie al corpo, perché è
attraverso le sensazioni del corpo che le registriamo e le rievochiamo. Uno
scambio incessante in cui convivono una semiotica (2) del corpo rivolta verso
l’esterno, ed una rivolta verso l’interno che struttura l’Immagine di Sé.
Che
immagine ho di me adesso ? (3 Feld) C’entra qualcosa con l’imago junghiana ?
(4)
“Lama
Danzante”, ed io con lei, scendiamo in picchiata, rapidi come un predatore
affamato, a divorare in un solo morso la preda.
Lo
“ha”, il filo tagliente, deve necessariamente impattare preciso, chirurgico se
voglio tagliare di netto. Altrimenti il bersaglio si staccherà scagliandosi
lontano, invece di cadere al suolo immediatamente sotto il makiwara, come
accade ad un esile stelo reciso; oppure esso si mostrerà slabbrato, deformato
come i denti nella bocca di una vecchia donna o in una impressionante figura di
Enrico Baj a testimoniare che la lama ha colpito e frantumato, ma non tagliato;
o, peggio, la lama scemerà la sua potenza arrestandosi impigliata, preda
inerme, tra le trame fameliche della stuoia.
L’acciaio
ha fatto il suo corso. Il metallo,
l’elemento tigre, ha tranciato di netto, in maniera irreversibile, la stuoia;
Il metallo, l’elemento dell’assertività, del taglio netto, dello spirito di
sopravvivenza.
L’eco
del mio urlo si è perso nel Dojo. Le vocali genitali, pulsionali, U ed O, hanno
urlato la loro violenza.
Stringo
tra le mani la pelle che avvolge lo tsuka, ne sento la consistenza, l’appoggio
sicuro dei menuki.
Guardo
il trancio di stuoia, inerte, morto, al suolo. Ho ucciso ed una parte di me ne
è stata uccisa.
by sadjuk |
Respiro
a pieni polmoni, prendo aria e do
aria. L’aria è ovunque, permea ogni cosa, la penetra. L’aria è libertà: ogni cosa che cerchi di
attaccarsi ad essa vede vanificato il suo tentativo. L’aria è calma, immobile,
l’aria è vento e tempesta.
Chi
sono io adesso ?
Paolo,
mio compagno in questa cerimonia di Tameshigiri, alle mie spalle, respira
piano, senza far rumore.
Il
rumore lo faccio io, lasciando “Lama Danzante” a riposare sulla vecchia
cassapanca di legno: una storia secolare alle spalle, Monica che l’ha portata a
Milano dalla natia Bassano, le abili mani di Angelica che le hanno ridato vita
e, con essa, figure di cavalli, angeli, dei e demoni.
Raccolgo
il trancio di stuoia.
L’
odore acre dell’incenso mi riempie il naso. La luce sghemba del sole attraversa
il Dojo.
Ed
io, anche per oggi, sono vivo.
“Noi
non facciamo quello che vogliamo, ma comunque siamo responsabili di ciò che
siamo”
(J.P. Sartre)
(1)
“A
ritmo di cuore: la Danza Terapeutica” di E. Cerruto.
(2)
Semiotica,
dal greco sēmeîon, significa "segno" ed è un settore di studi
che si occupa di tutto ciò che l'uomo usa per comunicare.
(3)
Impossibile
agire efficacemente se l’immagine che abbiamo di noi, la nostra consapevolezza
corporea, è distante da quel che davvero siamo: forme e proporzioni. Su questo,
parole interessanti le scrive M. Feldenkrais nell’introduzione al suo “Judo per
cinture nere”.
(4)
Termine
junghiano che designa il prototipo inconscio, elaborato a partire dalle prime
relazioni intersoggettive reali o fantasmatiche, con cui il soggetto percepisce
gli altri. L'imago, quindi, non è l'immagine, ma uno schema inconscio con cui
il soggetto considera l'altro. Non è neppure una rappresentazione del reale,
sia pure più o meno deformato, perchè, come dice Jung, l'imago di un padre
terribile può benissimo formarsi anche in presenza di un padre buono. L'imago è
connessa al complesso con la differenza che, mentre questo si riferisce
all'effetto che la situazione interpersonale ha determinato nel soggetto,
l'imago designa la sopravvivenza fantasmatica dei membri della situazione
relazionale.
(www.psicologi-italiani.it)
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