“Non
c’è motivo di studiare delle cose che non mi interessano per niente e finirei
col dimenticare subito”
(Il protagonista,
James, rivolgendosi al padre)
Dai,
sul divano, a vedere “Un giorno questo
dolore ti sarà utile”, pellicola del
2011 a firma di Roberto Faenza.
Monica resiste mezz’ora circa, poi, in preda a
crisi di sbadigli, se ne va a nanna.
In
effetti il film ha un andamento lento, privo di ritmo.
Poi,
man mano, la pellicola prende il volo ed entra nel vivo dei temi che più a me
stanno cari: l’educazione dei figli, il maschile, l’adolescenza, la paternità,
l’individuazione.
James,
l’adolescente protagonista, non ha alcuna voglia di entrare in contatto con il mondo che gli
sta attorno. O meglio, non ha alcuna voglia nei modi in cui questo mondo
esterno gli si propone.
Esemplare
questa sua frase, rivolta alla madre: “Ho
un padre che sta per fare un intervento di chirurgia estetica, una madre il cui
matrimonio è durato un week end appena, una sorella che scrive le sue memorie
all’età di 23 anni … e vorresti mandare me da una strizzacervelli ?!”.
James
è il tipico adolescente in rotta di collisione con coetanei superficiali e conformisti, con
adulti che pretendono di decidere del suo futuro, con una società dai valori
appiattiti sull’apparenza e il profitto. Un coacervo di personaggi che ci
mostrano la pochezza culturale di una collettività in cui l’imperativo è
sentirsi sempre giovani, in cui è pressoché impossibile stabilire
relazioni durature e profondamente
sentite, in cui ci si aggrappa a guru improvvisati e formulette motivazionali
per sperare di uscire dal proprio buco nero, in cui è più semplice proiettare
sugli altri che prendersi sulle spalle la responsabilità della propria vita.
Eppure
James, tra tentennamenti e goffe cadute, il suo progetto di vita lo sta
costruendo. Aiutato in questo da una nonna che, in stile gestaltico, lo
accoglie in casa, abolendo il modello del '’si fa così e non cosà'’, incoraggiando invece in lui la capacità di ascoltare
la sua differenza e di farne strumento per raggiungere i suoi scopi,
destabilizzando quello che la società si aspetta da lui. E da una “life coach”
che, anche lei in stile gestaltico, lo accoglie … per le vie della metropoli,
accompagnandolo nella corsa dentro la vita.
Saranno
questi due incontri, e lo screzio acido con un amico gay, a fargli capire che
non ci si può sottrarre alla vita ed ai suoi scontri, anche se ancora non si sa
che cosa si vuole da quella vita. Sarà con loro che James capirà che si cresce,
si diventa individui adulti autodiretti proprio attraverso le relazioni che,
per quanto conflittuali, ci fanno fare esperienza, ci mostrano il nostro
personale cammino. Anche il dolore, è un cibo prezioso alla tavola
dell’adultità.
Purtroppo, come “maschiaccio”, mi tocca dire
che Faenza affida la crescita di James a due figure femminili ( la nonna e la
“life coach” ) e ad un’occasione di relazione conflittuale con un gay. Insomma,
noi maschi, nel film, non facciamo una bella figura, tra un padre “sottaniere”,
per nulla attento ai modi a suo modo maschili “in erba” del figlio, un anziano
professore ammiccante, due adolescenti rinkoglioniti dal fumo, un adulto perso
tra l’amore e la dipendenza dal gioco e via dicendo.
Mi
consola l’immagine post finale, quella che fa capolino tra i titoli di coda. In
essa è James che corre felice nel parco “trainandosi” appresso il padre e il marito
della madre. Come a dire: Largo ai giovani maschi !!
Film
non eccelso, mi hanno commosso e coinvolto molto di più, su questi temi, “Come
Dio comanda” (nel mio blog, il 2 Ottobre
2012) o “Hesher è stato qui” (il 3 Giugno 2011), ma decisamente godibile e, al
solito, da vedere per chiunque sia interessato ai giovani, figli o meno che siano.
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