lunedì 14 dicembre 2015

Cialtroni in vendita


“Mi ha colpito” disse, quando riuscì a mettersi seduto.
Il vecchio era nell’angolo del ring, appoggiato alle corde.
“Non ascoltare mai stronzate come uno che ti dice ‘Attaccami’. E’ da idioti. Rischi di finire in una situazione che potrebbe non piacerti. Fai il tuo gioco”.
“Ma me l’ha detto lei”.
“Giusto, ragazzo, te l’avevo detto io. Questa è la prima lezione. Pensa con la tua testa e non ascoltare un coglione che ti dà consigli; e, come ho detto, fai il tuo gioco”.
(J.R. Lansdale)

 

 Da qui, nel solco che è grande scavato in quasi quarant’anni di pratica, è tutto più triste, più greve, più di quanto non lo sia già.
La fortuna guadagnata in ore ed ore di fatica e sudore e tempo e soldi spesi  ed energie profuse a tutto corpo, mi dona il privilegio di guardare cialtroni e disgraziati come da una balconata.
Se mi volto indietro, quarant’anni di distanza, ero un “pischello” di vent’anni e poco più, armato solo di tanta rabbia e violenza, giocata per strada, tra pestaggi di gruppo e corpo a corpo, sprangate date e prese, un coltello in tasca qualche volta in mano, la cariche della “pula” e gli agguati ai “fasci”.
E’ andata come è andata, altre volte l’ho, in qualche modo, raccontata. Poco dotato alla motricità, progressi lenti, quanto lenti, mai mollato un allenamento o una gara, mai tiratomi indietro dal fare un’esperienza nuova che mi facesse intravedere una possibilità di migliorare, di imparare sui pugni  o sui calci, sulle schivate e sulla potenza nel colpire.
E le soddisfazioni, quelle nascoste dietro le ore in cui ero messo a rifare forme e gesti già imparati, come fossi uno scolaro ripetente, un po’ più tardo degli altri, per poi trovarmi davanti il Maestro che mi chiede di insegnare ai corsi nei giorni in cui lui non c’è. Ecco cos’era quel purgatorio di ripetizioni della “scuola dell’obbligo”, era il viatico, la formazione per accedere all’insegnamento al posto del Maestro.
Quella dell’altro Maestro che, a cena a casa mia, semplicemente mi chiede di insegnare a mia volta, ai miei allievi, quanto lui va diffondendo, di abbracciare il suo stile la sua Arte perché, correggendomi nel portare l’onda, vede che il mio praticare è proprio come e quel che lui vuole.
Quella degli occhi stupiti, e se ne accorge Monica mentre duetta con me, di chi mi sta attorno, in una palestrina sperduta in terra d’Emilia, poi viene a chiedermi dove e come ho imparato e se può raggiungermi a Milano per imparare a sua volta.
Quella degli scambi con atleti campioni, di molto a me superiori, che vogliono da me quello sparring deciso e senza fronzoli che altri non sanno loro dare.
Queste e altre, poche ma sentite, le soddisfazioni. Tutte strappate a forza, a fatica, da me che resto ancora oggi ospite poco desiderato tra gli invitati alla festa della buona motricità, che resto ancora a faticare e penare per carpire e capire un movimento e come meglio fare.
Soddisfazioni, queste sì tante, nel proporre, nel guidare chi entra allo Z.N.K.R., digiuno di qualsiasi pugno o leva articolare o già messosi alla prova da anni  con i guantoni del Full Contact o gli stili di questo o quel Karate.
Forse, l’allievo arriva solo per quella che altri chiamano fortuna ma io sto con chi ne nega l’esistenza, affermando invece che non è “fortuna” bensì  è l’intuito che incontra l’occasione, forse è la voglia di uscire dal gregge, forse è una banale paura di chissà quale aggressione, comunque ci godiamo il percorso, il momento di anni o di pochi mesi. Ci godiamo  tutto ciò che lasciamo e lasceremo ancora , e anche quel poco, ma così prezioso, che tra un pugno ed una bastonata, le sere nel chiuso del Dojo e quelle a praticare sulla neve o sulla spiaggia, una cena in massa e due chiacchiere tra pochi, schizzati sotto un cielo nero d’inchiostro, andiamo ad incontrare.
Perché non basta essere un buon praticante per essere anche un buon docente e ancor più complesso è essere un buon conduttore di un gruppo. Così mi beo, praticante concedetemi almeno discreto se non eccelso, di aver saputo trovare, tra errori e cadute, un modo così prezioso ed efficace per capire chi ho davanti ed accompagnarlo nel sapere delle Arti; di più, mi beo di aver saputo, con il contributo di tutti, ma proprio tutti, costruire un gruppo che è clan, che è famiglia allargata, in un posto che è sì Scuola e non solo palestra o club. Una Scuola di vita.
E vedo gli allievi, negli anni, crescere e molti altrove andare. Ma ovunque, resta loro addosso quell’imprinting, quel tocco che sa ed odora di Z.N.K.R., che, poco o tanto che sia, resta loro dentro e contribuisce a farli ovunque apprezzare.
Ora, tra maestri e docenti e professori e guru di ogni specie, guardo chi si arrampica sugli specchi, incauto esegeta di un parkour minore; chi, praticante magari ottimo, non ha niente di meglio da dare, agli allievi, che il suo sarcasmo e la sua boria a coprire l’incapacità di accettare il proprio malessere invece vomitandolo su chi davvero in lui crede e si affida per imparare, se tempo, energia e .. soldi gli va a dare; chi ripete monotono formule vecchie e vecchie panzane per continuare un tempo che è morto e sepolto e non ha più niente da dare; chi inventa, fa e disfa, apprendista stregone di  formule e pozioni che promettono ai calvi la ricrescita miracolosa dei capelli e ai grassi di dimagrire in un giorno solo.
Lo so, sarà che me ne sbatto della gloria, della fama e della riverenza di maniera; sarà che, scegliendo di non fare della docenza la mia professione, ovvero quel che da cui dipenderei per portare la “pagnotta” a casa, sono del tutto libero di scegliere sempre e comunque il meglio per i miei allievi, pochi o tanti che siano; sarà che di cialtroni, disgraziati, apprendisti stregoni, maestri italiani che parlano coi verbi all’infinito per sembrare giap, energumeni in tenuta militare che il militare nemmeno l’hanno fatto o se l’hanno fatto erano di presenza in fureria  o a marciare, campioni di un titolo guadagnato in mezzo ad altri tre concorrenti, se c’erano e quando c’erano questi tre, ne ho incontrati tanti; sarà che, come mi disse, più o meno, un amico ed allora allievo “Non è che sono diventato acido, è che, con gli anni che sono passati, non ho più tempo da buttare per le stronzate”; sarà per tutto questo ed altro ancora, che ai cialtroni e ai disgraziati, anche comprendendo che dietro la maschera da duro, magari portano un bambino ferito nell’orgoglio, forse da un padre assente o squalificante, portano una debolezza che fa quasi ( quasi) tenerezza, non ho più niente da dare. O poco, e in cambio di quel poco, ora sono io a volere molto.
 
“per il bambino gli adulti sono degli stronzi
per l’adulto i bambini sono delle piaghe
Per il genitore i bambini e gli adulti
sono dei disgraziati che devono crescere”
(G.C. Giacobbe)
 
Post illustrato con immagini del mio attuale ufficio
  
 
 

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