giovedì 17 dicembre 2015

Star Wars 7


Da vedere, per immergersi in due ore di spensierata assenza da ogni problema, due ore di assoluto svago, di immagini enormi ed enormi “panzane. La Walt Disney la fa da padrone e ci mostra il “lato chiaro” della vita, le iperboli e gli eroi di celluloide, inserisce battute ironiche e figure a tutto tondo.

Chi si ricorda i patemi d’animo, anche solo accennati, le mani a scavare nel contorto animo umano, l’Ombra e i suoi richiami delle opere di Lucas, sia, invece, qui disposto ad accogliere una simpatica favola per bambini. Bambini ben pasciuti, tenuti al caldo e protetti, accuditi  ogni ora del giorno da quella instancabile mamma robot che è la televisione, con un progetto di vita che, presumibilmente, li porterà, quando avranno “dieci centimetro di pelo sotto le ascelle”, a continuare un’anaffettiva e priva di erotismo vita nel gregge.  

Allora … via le mani dagli occhi, ma soprattutto via dai pensieri, dai tormenti che sfondano emozioni e ti mangiano l’animo.
Diventa semplice far  finta che niente ti appartenga, che il tuo respiro sia solo meccanica di mera sopravvivenza.
Tutto accade, sullo schermo, qui ed ora, e ti viene elargito, in elegante carta patinata, come un dono di Natale.

Qualche critico, nel disperato tentativo di sfoggiare un po’ di sapere colto  (e che diamine, avrà pensato, sono un critico cinematografico e dunque pur sempre un intellettuale) e regalare al film una minima patina di pensiero adulto e critico, ha preso la figura di Ky Loren, il nuovo cattivo, come esempio di tormento tra Bene e Male, e per fortuna che non si è spinto nelle paludi del complesso edipico per spiegarci l’uccisione del padre. Poi c’è chi ha agitato le immagini di violenza di massa sui villaggi per celebrare un presunto crudo realismo, una “violenza genocida effettivamente percepibile”.
Troppo poco, e troppo generosamente appiccicato ad una pellicola di puro svago, per colpirmi davvero.

Che di svago, e pure piacevole, si occupa Star Wars 7. Si tratta solo di decidere se ti vanno due ore di vacanza nel fantastico mondo zuccheroso della Walt Disney.
I bambini, eravamo in sedici di cui dieci tra bambini e ragazzi, se la sono goduta allegramente.
Io pure.

Certo, nella sala accanto davano Moby Dick. Però, se ricordo un libro affascinante e tormentato, altro che lettura per ragazzi come a indicare un testo superficiale, piuttosto un corposo addentrarsi nelle viscere e nell’oscuro dell’uomo, non vorrei trovarmi davanti un film che sia la solita “caramella” al miele dolciastro per fan di face book, battitori insaziabili e compulsivi sui tasti del WhatsApp, rincoglioniti  da una società di un’unica stagione sempre quella, un unico pensiero ( o “pensiero unico”), un unico gusto. Un “unico”, insomma, che lasci sopravvivere mediocremente senza mai rischiare di vivere.
Mah, ci penserò.

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