Kenshindo
L’acciaio snudato nel vento e nella notte, primi rossori di un’alba ormai prossima.
Kenshindo (*), la “Via dello spirito della spada”.
A volte mi chiedo se possa cambiare, alterare la sua forma
per non farsi avvistare, o anche se possa avere tali allusioni sull’acciaio
lampeggiante, da farsi invisibile alle mie ondate di furore e alle mie paure.
Come se il mondo, tutto quello che sono e che provo,
potesse girare alla rovescia.E’ questa l’autentica e misteriosa forza di un katana,
Attorno a noi, la Natura che non ha voce, ma un suo
linguaggio sì. Abbiamo solo da ascoltarlo in silenzio, respiri profondi e passi
a scivolare sul terreno. Respiri profondi in cui dare il tempo al naso di essere
paziente, di scomporre gli odori.
“La spada è generosa",
penso, scende falciando più condiscendente dello sgretolarsi delle fortificazioni,
più semplice di una cascata d’acqua. Davanti a me, ai miei piedi, sibilo evaso
nell’aria.
Carbonio lavorato a multistrato, kobuse
kitae composto da uno strato
esterno ad alto tenore di carbonio piegato, con al centro un cuore in acciaio
morbido. Martellato ripetutamente e piegato più volte.
Acciaio bollente e poi improvvisamente raffreddato, opera
forte e dura ed insieme sensibile.Ma non importa impugnare un Nihonto, un katana autentico. Importa immergersi nello spirito del conflitto, del taglio che trancia e non lascia speranza alcuna. Allora ogni katana, ogni “riproduzione” di katana, fa allo scopo.
Falciate discendenti ed ascendenti, rapido guizzare di lama in direzioni opposte; fa parte del gioco, come un sorriso assassino fissato nel fotogramma di un film dell’orrore, come quando mi faccio di lato per non vedere lo scontro, e rimando ciò che è inevitabile.
Ma qui non si può più fare.
Le stuoie saranno allineate davanti ad ogni spadaccino. Lo guarderanno senza occhi, mentre il tanfo di paglia bagnata si dissolve nell’aria.
Ognuno avrà un suo pulsare di cuore, ognuno avrà un suo rantolo di pancia.
Sarà il Tameshigiri a chiudere la notte di ogni praticante Kenshindo.
Mentre agli altri, gli adulti che se ne tengono lontani, i
ragazzi ed i bambini a cui la giovanissima età impone un passo diverso, più lieve,
giocheranno di mani nude. Chissà, poi, forse, qualcuno, più avanti, avrà l’età
o il coraggio di entrare nel mondo spietato, che non fa sconti di sorta, di
Kenshindo.
Fu praticando Yoesikan Budo, con il Maestro Mochizuki Hiroo
ed i suoi assistenti, in particolare, per la spada, il Maestro Fabrizio
Tabella, che mi appassionai al tirar di spada. Anni in cui ebbi qualche rado
approccio al Kendo (e molte chiacchiere marziali) con il Maestro Mario Bottoni,
personaggio controverso ed inviso ai più ma che, per me, fu enorme e piacevole
fonte di riflessione (così lo ricorda un amico, a poco dal suo decesso http://www.kendo.it/wordpress/?p=951).
Praticando un’Arte moderna, ancorché basata su radici
antiche, come lo Yoesikan Budo, mi fu facile invogliarmi ad entrare nel mondo
“Tradizionale” di una Scuola antica come era il Katori Shinto Ryu. Docente la
Maestra Luisa Raini, ero l’ultimo, più scarso e meno considerato allievo in
mezzo a chi o già era famoso, come il Maestro Claudio Regoli, o lo sarebbe
diventato di lì a qualche anno, come il Maestro Andrea Re. Ebbi l’opportunità
di incontrare Maestri europei di quella Scuola e persino il leggendario Maestro
Sugino Yoshio.
Furono gli anni di spada con il Maestro Yamazaki Ansai, i
seminari con un altro grande (e ostico) delle Arti Marziali giapponesi come il
Maestro Cesare Barioli, poi l’introduzione all’esoterica arte del Kashima Shin
Ryu con il Maestro Francesco Dessi, preciso nello spiegarmi che quella era una
versione adattata all’Aikido in quanto diffusa dal Maestro Inaba. Questi era
fuoriuscito dal tempio di origine della Scuola, che non ammetteva la sua
divulgazione a non giapponesi, e ne dava pertanto una sua personale
interpretazione. Poi venne l’incontro con il Maestro Sabino Leone, già
“commilitone” negli anni ’80 quando entrambi seguivamo il Maestro Tokitsu, che
mi mostrò l’eccezionale e flessuosa Scuola del Maestro Kuroda Tetsuzan.
Poi… è venuto il Kenshindo:
non uno stile né una Scuola, quanto piuttosto:
“Kesnshindo non è
“cosa”, realtà reificata. Kenshindo è arte della spada. Essa, come ogni
espressione artistica, non mostra alcun prodotto oggettivo, è modo espressivo
distante dal fatto e prossimo all’evento. Kenshindo abita il corpo del
praticante ed è (esiste) solo nel continuo divenire del movimento. E’, come per
la nostra pratica a mani nude, “emozioni in movimento”. E’ ridare all’individuo
il senso del corpo come luogo delle nostre dipendenze e luogo della nostra
potenza, come casa del mondo reale attraverso i sensi, come immagine di un
mondo possibile attraverso l’agire.” (dall’omonimo opuscolo, che verrà
integralmente ripreso nel mio libro di prossima pubblicazione “Contatto. Praticare le Arti Marziali
Asiatiche come terapia e percorso formativo di individuazione, trasformazione e
crescita”)
e Domenica 29 Maggio
“La Notte del Guerriero”
otto
ore di formazione marziale “non stop”
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