Rotonda
della Besana. 11 Marzo 2017
“Molti
sono i sentieri che conducono alla vetta dell’unico e identico monte; le
differenze fra questi sentieri sono tanto più visibili quanto più in basso ci
si trova, ma esse svaniscono arrivando alla vetta. Ognuno deve imboccare il
sentiero che parte dal punto in cui egli si trova: chi continua a girare
attorno al monte in cerca di altri sentieri non sale alla vetta. Non
avviciniamoci mai a un altro fedele per chiedergli di diventare ‘uno di noi’:
avviciniamoci invece a lui con il rispetto dovuto a uno che è già “dei Suoi”,
che è già di Colui che è e dalla cui invariabile bellezza ogni essere
contingente dipende”
(A.K.
Coomaraswamy)
Pensiero profondo, rivolto a temi ben più alti, a “Misteri”
ben più Tradizionali del praticare Arti Marziali. Ma che trovo calzante anche
per la pratica marziale, che è pratica di conflitto, dunque di equilibrio tra
mille spinte e contrasti che tendono a lacerarci, a spezzarci; di ascesa, attraverso
il senso esoterico delle Tenebre, verso l’autoconsapevolezza e
l’autodeterminazione. Pratica guerriera per guerrieri, intesi come lo erano
nelle antiche civiltà indoeuropee, intesi, ora, nel terzo millennio, come
coraggiosi costruttori del proprio destino e testimoni viventi di un diverso
futuro possibile. E in questa palude disgraziata e corrotta, non è poco.
Così, ad ognuno il suo sentiero, senza avere noi la pretesa
di avere imboccato l’unico giusto; consapevoli, però, di avere imboccato quello
che “parte dal punto” in cui ci
troviamo e prendendo le distanze dal presuntuoso o dall’inetto che “continua
a girare attorno al monte in cerca di altri sentieri” e mai così arrivando
alla vetta; riservati e schivi, che non siamo “venditori di saponette”, verso
l’ “altro fedele” che percorra altri
sentieri, perché sappiamo che, forse sì o forse no, lo incontreremo di nuovo
sul cammino comune.
E siamo nuovamente qui, ai giardini della Rotonda della
Besana, come ormai da anni abbiamo scelto di fare.
Nere figure a muoversi nella strategia del Wing Chun, tagli
diagonali e cuneo penetrante, percosse brevi e ficcanti mentre il corpo scivola
lungo traiettorie sfacciate ed audaci.
Che danza di lotta e di scontro stiamo danzando noi adesso?
Passione e sangue che agita il cuore,
mentre il coraggio terribile di un attimo di abbandono, di vulnerabilità ci
prende la mano, sì che un tempo intero di prudenza non potrà mai sconfessare. Per
questo e questo soltanto, noi siamo qui ora.
Ognuno di noi, nella lotta, nello scontro, vede solo ciò che
le porte, aperte o chiuse, ci permettono di vedere,
semplici
cuori e corpi umani che battono dovunque.C’è un tempo da tenere, un ritmo da incontrare e volgere a proprio vantaggio, senza sforzo apparente, scivolando dentro l’intimità dell’altro, con uno sforzo reale, violando l’intimità dell’altro.
Che danza di lotta e di scontro stiamo danzando noi adesso?
Chi, guardandoci tra il verde ed i muri bianchi di una costruzione bellissima a
impreziosire la nostra Milano, potrebbe mai capirci, perché a noi piacciono i
corpi che lottano e gli sguardi che si sfidano e io, capo di questo sparuto branco
di lupi cacciatori, mi ritrovo sovente confuso e spiazzato a correre da una ipotesi
all’altra finché non smetto di spiegarmi per ad altri spiegare e,
semplicemente, accetto questo fare maschio e flessuoso, questo nostro
scontrarci tra pugni e gomitate e calci che sono la nostra personale Via verso
l’individuazione, verso un coraggioso ed autodeterminato stare al mondo . Per
questo e questo soltanto, noi siamo qui ora.
“Non ti viene mai in
mente che la vita è una cosa seria e che c’è chi cerca di ricavarne qualcosa di
decente invece di fare il coglione a tempo pieno” scriveva Jack Kerouac,
uno degli artisti i cui libri hanno accompagnato la mia adolescenza.
E mi guardo attorno, in questa Milano che cresce e si
dilata e a volte soffre, altre si entusiasma. Un intreccio in cui si confondono,
senza plausibili distinzioni, a volte in un reciproco abbraccio avvelenato, gli
slanci vitali e aggressivi di centri e circoli culturali di sinistra ed ultra
sinistra, le iniziative riccamente culturali e dal sapore elitario dei magnati
della moda, il debordare arrogante di parole ed odori d’Arabia, l’incessante
flusso di aitanti e ben pasciuti giovani dalla pelle nera, le abili mani ladre
di zingare fintamente rattrappite e fintamente povere.
In questa Milano dove, in un Sabato di Marzo, uno sparuto
branco di lupi si è sfidato a conoscersi, a trasformarsi. Anche se l’uomo lupo,
contrariamente al fratello animale, non è una specie protetta ma piuttosto
assimilato alla nera bestia cattiva delle fiabe infantili. Anche se l’uomo
lupo, l’uomo guerriero, pare non avere posto alcuno in questa società di
imbelli e pacifisti raccattati, società di decadenza e prepotenti d’alto bordo
in doppio petto o dalle consonanti mute ed aspirate quando prepotenti di
strada, di furbetti e vanesi, di aspiranti vip ad impazzare sui social.
Eppure, la mia formazione più vecchia, più datata, ancora
si ricorda di riflessioni sulla inversione di rotta ad opera di processi o
progressi che Antonio Gramsci definiva “molecolari”. Eppure c’è posto e tempo
se “Quando nelle lunghe notti gelate
levava il muso alle stelle gettando lunghi ululati nello stile dei lupi, erano
i suoi antenati morti e ridotti in polvere, che levavano il muso alle stelle e
ululavano nei secoli attraverso di lui.”, così scriveva Jack London in
quell’avvincente libro che è preziosa guida alla vita, ossia “Il richiamo della
foresta”.
Allora ancora ed ancora, a praticare le nostre Arti
Marziali. Per non smettere di credere e lottare.
Un grazie a Tina
per la simpatica visita. Nonostante abbia smesso di praticare, ci viene sovente
a trovare ai Raduni, Seminari, Stage, feste conviviali. E’ sempre una gioia
rivederti.
Un grazie ad Elise,
che, venendoci a trovare, ha rinnovato l’emozione del nostro primo incontro,
proprio un anno fa, in questi giardini, per identica iniziativa.
Una Scuola è realmente tale, è viva, quando a viverla non
sono solo i praticanti,
ma anche ex praticanti, amici e conoscenti che,
comunque, ne percorrono, a tratti, il cammino.
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