giovedì 24 maggio 2018

Bestie di scena



Mille volti a formare granelli di un immane deserto umano. Mille corpi nudi a formare una macelleria che dimentica l’umano.

Sono uomini e donne che, spogliati di ogni cosa e pregni solo del proprio corredo biologico, sono oggetti o tuttalpiù animali dominati da una forza sovrana, che ne decide vita o morte.
Gli attori, dopo un frenetico riscaldamento che è già parte integrante dello spettacolo, mentre gli ignari spettatori si siedono, chiacchierano, disinteressandosi di quel che accade sul palco, a cadenza apparentemente del tutto casuale si spogliano gettando, con gesti che sanno di rabbia, gli abiti a terra e tra il pubblico. Inizia un contorcimento stravolto che è vergogna della nudità.
E solo gli attori in scena sono nudi, noi pubblico no: si vergognano più loro, i nudi, o più noi nel non esserlo ma invece ad essere lì a guardare gambe e seni e peni e natiche?

Qui avviene qualcosa che è ben diverso da quel che ci propone la religione cattolica. Là Adamo ed Eva, nel giardino, erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna (Gen 2:25). Sarà Il serpente tentatore a spingere Eva a mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male, imitata poi da Adamo, e il primo effetto qual è?:” Allora si aprirono gli occhi ad entrambi e s’accorsero che erano nudi; unirono delle foglie di fico e
se ne fecero delle cinture. (Gen 3:7)”

Qui, nel toccante spettacolo di Emma Dante, al Teatro Strehler di Milano, gli attori erano normalmente e tranquillamente vestiti, ancorché intruppati militarmente in un riscaldamento vieppiù incalzante e sono sempre gli attori, nessuno li costringe, a spogliarsi con ordine e ritmo, per poi vergognarsene, laddove le loro mani, impazienti e maldestre, tentano un goffo ed improbabile coprirsi a vicenda le parti intime o gli occhi per qualche secondo.

Da dietro le quinte, una mano ignota (un serpente tentatore che assume le vesti di un Moloch, la grande entità che esige grandi sacrifici, che si diverte a manipolare quei poveri essere ignudi?) offre cose, attrezzi, ruoli che gli attori si buttano ad interpretare o ne sono costretti: la bambola, lo spadaccino, la ballerina…
Ognuno degli attori è ingabbiato in un ruolo ossessivo, ripetitivo, che fa dimenticare quella indifesa nudità semplicemente perché si riappropriano di un senso che non necessita di costumi di scena, ma, nel farlo, entra in un meccanismo nient’affatto virtuoso, invece alienante.
Una sorta di liberazione dall’ossessiva vergogna della nudità come dell’individualismo che spreca ogni talento in un ruolo, in un gioco estraneo ai più, avviene come per caso o apertamente contro l’indifferente e banale malvagità del Moloch dietro le quinte, quando i corpi nudi prendono a sostenersi a vicenda, a proteggersi a vicenda.

Ho letto, in questi giorni, diversi approcci critici allo spettacolo, diverse interpretazioni scritte da addetti ai lavori che di teatro ne sanno ben più di me.
Chi ha scritto di aspetti di sadismo gerarchico o di banale ripetitività del quotidiano, chi ha sottolineato la povertà dell’esistenza corporea, materica quindi fallibile, elementare nella sua finitezza ma smembrata in segmenti di indefinita complessità.

Io, al netto di un portato emozionale che mi ha visto coinvolto per l’intero spettacolo e che ho condiviso con Monica, seduta acanto a me, preferisco cogliere l’aspetto liberatorio della nudità che dimentica la vergogna nell’aiuto reciproco e solo quando abbandona cose e ruoli; preferisco il Moloch beffato e reso inutile da questi uomini e donne che, ognuno a loro modo, si liberano e si fanno gruppo; preferisco immaginarli in un percorso di individuazione che straccia ogni alienazione, ogni dominio imposto: li preferisco splendidamente nudi e chi se ne frega se le natiche sono anche flaccide, le cosce cellulitiche, le gambe stortignaccole, i seni penduli.
Mi rendo conto che, da buon ribelle, in un impasto che sa di anarchico e di conservatore, forse, sul versante intellettuale, ho piegato lo spettacolo alle mie idee. Forse, al saluto finale con gli attori che, fuori scena, si sono in qualche modo rivestiti, avrei preferito vederli orgogliosamente nudi e mi trovo a giustificarli dicendo tra me e me che ora sono vestiti del loro autentico vestito “qualunque” (e non più intruppati) come a dimostrare che prima hanno dovuto passare attraverso la vergogna della nudità e la sua accettazione, attraverso il sopruso dell’autorità e la ribellione a quell’autorità.

Ma, appunto, io sono uno Spirito Ribelle.
Beh, se non lo avete già fatto, andate a cercare dove verrà replicato lo spettacolo e andate a vederlo, così mi scriverete la vostra di idea!!


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