Alcuni anni or sono feci la conoscenza “ravvicinata” di due fratelli, ambedue uomini di potere: Il primo, platealmente arrogante, iroso, sfacciato nei modi; il secondo, tanto gentile ed educato nei modi, quanto altrettanto capace di far del male, di accaparrarsi posizioni di potere eliminando ogni ostacolo senza però darlo a vedere, subdolo ed educato, sempre.
MI chiedevo se, di fronte a loro, fosse preferibile vedere
la fregatura, l’arroganza del potere, affrontare /subire la prevaricazione
dichiarata o, invece, preferire essere fregati “in guanti bianchi”, con modi
educati, senza nemmeno accorgersene, quasi in modo indolore.
Il
potere del cane
Come non parteggiare per il secondo scansando la protervia
e i modi scorbutici del primo?
Eppure, sarà Peter, l’anima apparentemente candida, con gli
strumenti dell’inganno e della perfidia, ad avere la meglio.
Sarà che la pellicola, forse,
anticipa un cambiamento radicale: al macho tradizionale, esecrabile nei modi e
nella sua concezione delle relazioni, si va sostituendo il giovane “per bene”,
tendenzialmente asessuato e, se così fosse, il finale di questa avvincente
pellicola non lascia certo presagire un futuro migliore per noi tutti.
Sarà che lo sguardo di Peter sul bacio della mamma e del
suo nuovo compagno induce il dubbio che la sua sete assassina non sia finita.
Sarà che, in questi anni di caduta anche forzata della
figura maschile e di pretesa uniformità maschio e femmina (1), tramontata
la ricerca freudiana del padre come riferimento ai problemi adattivi
dell’individuo per lasciare spazio al complesso di Narciso, non si vada verso
un domani ormai prossimo in cui dover riprendere e adattare il complesso di Edipo (di
Elettra?) in funzione di figli ormai ben poco maschi, in una società efebica,
sessualmente “liquida”.
Chissà che la figura di Phil,
che tenta con Peter di ripetere il percorso di crescita da lui avuto con Bronco
Henry, mentore ed amico più grande, anche nei suoi aspetti più equivoci, forse
omosessuali, non ne esca in qualche modo riabilitata, almeno di fronte al
perfido sadismo ed alla sottile manipolazione del ragazzo.
Chissà che la figura di Rose, la madre di Peter, vista come
vittima ma anche dai tratti aggressivo – passivi (2), non paventi un
futuro prossimo di giovani ambigui “innamorati” della figura materna al punto
da eliminare qualsiasi uomo le si metta al fianco.
Chissà che, leggendo la pellicola, al tumulto ed alla danza
selvaggia delle emozioni e passioni ben visibili nel macho Phil, ovvero nella
doma dei cavalli, non si vada sostituendo, negli anni a venire, la loro
espressione latente, sotterranea ma non meno tossica, persino assassina, quella
che anima il giovane Peter e che nella pellicola vediamo manifestarsi nelle
prime automobili, il “meccanico” di contro all’”animalesco”; quel meccanico
che, col progresso, porterà all’alienazione dalla Natura e lo sfruttamento
indiscriminato, la dipendenza dal potere delle compagnie petrolifere,
l’inquinamento grave dell’aria. (3)
Per mio gusto, ho provato a
leggere nelle espressioni corporee dei vari attori la “mappa” che, certo “non è
il territorio”, ma che avrebbe potuto darmi qualche indicazione sui loro tratti
caratteriali, sulle difficoltà e storture di adattamento: l’incedere dell’uno,
l’uso delle mani e lo sguardo dell’altro, la postura, ecc. quasi a prevedere,
almeno in parte, lo sviluppo delle loro relazioni.
Perché, inutile negarlo, noi siamo corpo e il noi-corpo
ci rappresenta.
Il potere del cane.
Regia di Jane Campion
Visibile su Netflix
2. Il comportamento passivo aggressivo è un modo deliberato e
mascherato di esprimere sentimenti di rabbia nascosti. Nella pellicola, Rose occulta
una scarsa autostima offrendo un’immagine sicura di sé quale “capa” di
un’attività commerciale e madre consapevole, almeno fino all’incontro con la
mascolinità eccessiva ed aggressiva di Phil là dove, incapace di confrontarsi,
agisce in dipendenza affettiva e tentando un controllo manipolatorio su figlio
e nuovo marito.
trasformativo: passo
indispensabile è la presa di consapevolezza della propria rabbia,
individuandone credenze,
valori e introietti e imparando a rispettare la diversità dell’altro. La
rabbia non sparisce con la
repressione, ma può anzi divenire pericolosa per la
persona e gli altri.”
“Le persone spesso subiscono i
propri stati emozionali e questo a causa di un’insufficiente
esperienza che permetta loro
di imparare a riconoscerli ed esprimerli. Il risultato è un’inadeguata
gestione dei rapporti
interpersonali e la tendenza ad agire o ingoiare le emozioni, invece di farle
funzionare come ponte
comunicativo e relazionale. Per questo è necessario imparare a
maneggiarle in
modo da acquisire quelle capacità di contatto con se stessi e con gli altri,
che
favorisca una gestione
costruttiva” ( il “grassetto” è mio)
(https://www.igf-gestalt.it/wp-content/uploads/2014/03/TESI-SIMONA-TONTI.pdf)
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