E noi con un’anima, con il cuore e il coraggio a sfidare
ogni paura.
Ancora noi, identità in movimento, tracce lasciate in anni
di pratica che ogni taglio, ogni estrazione, cancella e ricrea.
Vedi un mondo a testa in giù, ti chiedi che mondo sia
questo qui. E in questo mondo capovolto che senso abbia uccidere per non
morire, e non mentire mai.
Kata, forme in coppia, tre passi e un’estrazione, tre passi e un contrattacco. Le lame sono affilate, perché qui non si gioca ai samurai, qui si pratica di vita contro morte, qui danzano uomini e donne veri, la cartapesta dei Maestri della finzione, dei loro studenti della finzione con le loro inutili spade di latta, non abita qui.
Mettere il cuore in una lama
non può mai essere teatralità, è un incendio in un bosco, è un buco nero nel
ventre. Kenshindo, la “Via dello spirito della spada”,
opera nel “qui ed ora”, più che sullo sviluppo lineare di un programma
stabilito, è attenta alla figura che emerge dallo sfondo, privilegia l’evento e
la discontinuità introspettiva, la crescita del guerriero.
C’è una parte di me, la sola che mi vuole bene, che scorre
e sfila via rapida, incurante dei mostri che l’assalgono. E questa cosa di
voler spaccare, mentre ora metto tutto in ordine.
E’, lo so da un pezzo, il cuore dentro di ogni acciaio che
luccica, è il nostro Spirito Ribelle che si ritrova a dialogar di spada.
a Milano
la pratica Kenshindo
Il Sensei ti apre la porta, ma tu la varchi da solo |
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