Che sarebbe il trionfo degli
eventi di ogni tipo. Tra questi, dopo un piacevole intrattenimento a base di
musica jazz in pieno centro città, eccomi, questa volta con Monica e Kalì,
all’interno del cortile dell’Università Statale a sprofondare tra installazioni
di design con pretese artistiche.
Tutti i gusti sono giusti? Sì, ma anche comprendere il
senso di ogni gusto.
Se non sai di arte non puoi capire e giudicare? Forse, ma
ancora meglio è, a mio avviso, “sapere” di contesto storico e sociale (la
struttura) in cui sorgono le diverse arti (la sovrastruttura) e come una
influenzi l’altra fino a confonderne i confini: Marx insegna.
Dunque, diamo per condiviso che
il ventesimo secolo è stato tanto gravido di innovazioni scientifiche e ha
aperto la strada al dominio della tecnica, quanto portatore di corpose concezioni
filosofiche soggettivistiche e umanistiche oltre a simil religioni le più
astruse possibili (1). Questo ha comportato, per l’arte, in particolare pittura
e scultura, il tentativo di misurarsi con gli aspetti non evidenti all’occhio
umano, quelli più o meno celati del reale: Come era possibile rappresentare la
“realtà” del mondo atomico e sub atomico o delle onde elettromagnetiche, quello
non visibile ad occhio nudo? E come dare “forma” alle istanze teosofiche e
fenomenologiche?
In campo pittorico e scultoreo, nascono il “belvismo”
(fauvismo) con Henri Matisse (uno dei miei pittori preferiti!!) e Albert
Marquet; il cubismo avviato da Fernand Léger, Georges Braque, Pablo Picasso, Joseph
Csaky; i primi passi dell’astrattismo con Vasilij Kandinskij e Paul Klee; la musica
dodecafonica, in cui” i dodici suoni della scala cromatica temperata sono
posti in relazione uno con l’altro senza che i loro rapporti siano in alcun
modo riferibili a una nota fondamentale” (in enciclopedia Treccani) creata
da Arnold Schönberg; il minimalismo
sacro di Arvo Pärt; il free jazz lanciato in primis da Ornette Coleman; nella danza la rivoluzione di
Mary Wigman per cui “La forma che avevamo imparato non era più decisiva per
la danza come arte, ma il contenuto stesso, cercando una forma di espressione
si sforza di crearlo a partire da se stesso”, Martha Graham che “Nello
spirito del grande capovolgimento operato dall’arte moderna, dalla pittura alla
danza, non cerca di ricreare uno spettacolo visuale ma una realtà poetica
nuova, di far sbocciare nuovi rami sull’albero della realtà” (Roger
Garaudy, in “Danzare la vita”), passando per Merce Cunningham a cui capita di “trascrivere
ogni gesto possibile su un pezzo di carta e di tirare a sorte o a testa o croce
le loro sovrapposizioni e le loro successioni” (ibid);
e poi ll “teatro delle crudeltà” di Antonin Artaud in cui utilizzare tutti i
mezzi d’azione capaci di scuotere e sconvolgere lo spettatore, ottenendone la
partecipazione incondizionata e il “teatro povero” di Jerzy Grotowski.
Che piacciano o meno, ecco il senso di una pittura ed una
scultura distante, avulsa dal rappresentare e interpretare il “reale” per come
ci appare per entrare invece nel campo dell’invisibile, dell’immateriale, del
personale più esasperato.
Scritto questo e accettato
l’assunto che: “L’opera d’arte non è solamente fatica, lavoro, studio,
tecnica, ma anche follia, visione, azione, vuoto, nulla, scherzo, tutte cose
che, come quelle faticose, difficili e noiose, fanno parte, a pieno diritto,
della vita” e pure che “L’importante è pensare, in ogni caso e
possibilmente prima degli altri, la cosa giusta, al momento giusto” (2),
personalmente:
- Trovo davvero interessanti quelle opere di design in cui
convivono espressioni personali (artistiche? Può darsi) dell’autore e soluzioni
“tecniche” atte a migliorare la vita quotidiana, il lavoro quotidiano,
dell’uomo.
- Trovo davvero un obbrobrio, una presa per i fondelli,
quelle opere che si pretendono artistiche mentre sono solo esposizione di un
ego gonfiato a dismisura e rappresentato in oggetti ed installazioni che nulla
hanno a che vedere col termine “design”, ovvero la “progettazione di oggetti
d'uso comune mirante a conciliare funzionalità ed estetica” (dal
vocabolario Treccani).
Questi ultimi dovrebbero stare in una mostra a sé,
di presunta arte contemporanea.
A proposito di quest’ultima,
penso alle tele dipinte di bianco di Robert Ryman: il suo primo quadro,
nell’ottica di cui sopra, è opera d’arte, perché ci interroga su “il dramma
del vuoto e del modo in cui può essere colmato, nell’arte ma anche nella nostra
vita quotidiana” (il libretto “paraculo” di cui sopra), ma tutti gli altri,
identici, tutti bianchi? Non sono più intuizione, né pensiero anticipatore e
realizzato prima, sono solo riproduzione piatta, che potrebbe pure essere fatta
in serie da una macchina o… da un qualsiasi imbianchino.
Qui ci sarebbe da aprire un capitolo sul rapporto tra
mutazione economica e sociale, narcisismo diffuso, pretesa di apparire sempre e
comunque, consumo senza uso, assunzione di “nessun limite” come mantra
quotidiano, e i tanti presunti artisti per i quali vale il “porsi come un
‘ego’ solitario, imperioso e unico, in una sorta di delirio di onnipotenza
infantile, altro elemento che caratterizza la modernità” (Jean Clair, in
“Breve storia dell’arte moderna”).
Ma ve lo risparmio e mi preparo, prossimamente, ad andare a
vedere la mostra fotografica di Helmut Newton; intanto, dopo la sbornia di
stronzate incastonate nel bellissimo cortile dell’Università Statale di Milano
(meglio, molto meglio, la cornice del quadro!!) vado a cercare, in rete, immagini
delle opere di Fernando Botero e Juarez Machado, i miei due
pittori contemporanei preferiti.
“Il
culto dell’anti – cliché diviene a sua volta cliché. L’anarchia, coltivata per
se stessa, si trasforma facilmente in conformismo” (R.
Garaudy)
1. Per esempio, in campo scientifico, la rivoluzione nella
fisica operata da Albert Einstein; l’opera dei tre precursori dell’informatica,
ovvero l’americano Vannevar Bush, il britannico Alan Turing e l’ungherese John
von Neumann; la televisione e primi elettrodomestici; il DNA, la molecola a cui
è affidata la codificazione delle informazioni genetiche e costituisce la
sostanza fondamentale del gene, responsabile della trasmissione dei caratteri
ereditari; l’elettroencefalogramma, strumento che registra le onde cerebrali,
suddivise in alfa e beta; il primo reattore nucleare, dove l’atomo viene
“bombardato” e, “spezzandosi” (fissione nucleare), produce energia. In campo
filosofico e del pensiero ecco la fenomenologia, l’esistenzialismo, la
psicoanalisi, il neo spiritualismo, l’antroposofia, scientology e la new age.
2. Francesco Bonami, critico d’arte, in “Lo potevo fare
anch’io”, libretto autenticamente “paraculo” a partire dal sottotitolo “Perché
l’arte contemporanea è davvero arte”.
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